Voto: 6/10 Titolo originale: Dune , uscita: 15-09-2021. Budget: $165,000,000. Regista: Denis Villeneuve.
Dune – Parte Uno: la recensione del film diretto da Denis Villeneuve
15/09/2021 recensione film Dune di William Maga
Il regista canadese si cimenta con l'improbo compito di adattare il venerato romanzo di Frank Herbert, uno sforzo lodevole per un risultato che lascia solo moderatamente soddisfatti
Dune di Frank Herbert – pubblicato nel 1965 – è stato a lungo considerato ‘inadattabile’ al cinema. L’ambiziosissima versione immaginata da Alejandro Jodorowsky a metà degli anni ’70 (la recensione del documentario a riguardo), come sappiamo, crollò quasi subito sotto il grande peso delle sue altissime aspirazioni, senza mai uscire dalla fase di preproduzione. Non meno famoso è poi stato – naturalmente – l’adattamento del 1984 diretto da David Lynch, funestato delle ingerenze di Dino De Laurentiis, che venne mal accolto al tempo e persino rinnegato dal suo stesso regista.
Sono quindi seguite a inizio anni 2000 un paio di miniserie televisive molto apprezzate (Il destino dell’universo e I figli di Dune), è vero, ma la prospettiva di un adattamento cinematografico definitivo e senza compromessi ha continuato a titillare Hollywood fino a quando Denis Villeneuve, uno dei nomi più apprezzati in ambito sci-fi dell’ultimo decennio, ha rivelato di essere stato contattato per dirigere una nuova versione dell’intricatissima saga di Frank Herbert. Purtroppo, quando la polvere – o meglio, la sabbia … – si è depositata finalmente su questo nuovo Dune, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, la sensazione più imprevedibile (e un po’ deprimente) che ci ha colto – e forse coglierà ogni spettatore entrato in sala con grandi speranze – è l’assoluta ordinarietà del tutto.
Nell’anno 10.191, l’ostile pianeta desertico Arrakis, alias Dune, viene affidato alle cure della Casa Atreides, guidata dal compassionevole Duca Leto Atreides (Oscar Isaac). È un appuntamento importante, poiché Arrakis è ambitissimo per la sua produzione naturale di “spezia”, una sostanza dai poteri mistici e qualità capaci di ‘espandere la mente’ di chi la utilizza.
In precedenza, il pianeta è stato governato dalla malvagia Casa Harkonnen, che ne ha devastato la superficie e il sottosuolo proprio in cerca dell’ambitissimo elemento, conducendo al contempo un’aspra guerra contro la comunità nativa dei Fremen. Al contrario, il duca Leto spera adesso di collaborare proficuamente e imparare dai misteriosi Fremen, che vivono clandestinamente in un sistema di caverne che si sviluppano sotto le distese di sabbi infuocata.
Il viaggio spaziale verso Arrakis è presentato con sicurezza e pieno controllo del mezzo, per non parlare del meticoloso occhio per i dettagli, per cui Denis Villeneuve è rinomato. Le astronavi fluttuano nel cosmo avvolte in un splendore tipico del balletto, conferendo una nuova credibilità alla definizione space opera.
Dune incede con simile grandiosità attraverso sequenze ambientate sui pianeti ‘nativi’ della varie casate, dalla grande cerimonia di benvenuto per l’imperatore Padishah Shaddam IV e le sue scorte agghindata nello stile dei Daft Punk sul lussureggiante pianeta oceanico di Caladan fino a una deviazione nell’inferno goticheggiante degli Harkonnen, un mondo governato dal malvagio barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård, truccato come un bizzarro incrocio tra Jabba the Hut e Marilyn Manson).
Il film è stato girato per il formato IMAX e in alcune scene le proporzioni dello schermo si aprono fino al formato 1,90:1. L’effetto che ne deriva è prevedibilmente glorioso, ma anche così non ci si riesce a scrollare dalla mente l’impressione che, anche se questo Dune riesce a infondere nuova vita al testo originario di Frank Herbert (il budget è pur sempre di 165 milioni di dollari), qualcosa a livello di immaginario visivo e di narrazione non torni, soprattutto (solamente?) a causa della pletora di film di culto che il libro ha ispirato dopo la sua pubblicazione (da Star Wars a Tremors, passando per Nausicaä della Valle del vento). Apprezzabile però l’uso relativamente contenuto della CGI a favore dell’effetto pratico.
Dune – che vanta bei costumi ad opera di Jacqueline West e Robert Morgan e dialoghi non proprio effervescenti scritti da Eric Roth, Denis Villeneuve e Jon Spaihts – sceglie di lavorare astutamente a livello di parabola, ma a farne le spese è il personaggio principale. Paul Atreides (Timothée Chalamet), figlio ed erede del duca Leto e cupo eroe – suo malgrado – dell’epopea in divenire, possiede abilità mentali sovrumane ereditate da sua madre, la perennemente lacerata Lady Jessica (Rebecca Ferguson), appartenente al temuto ordine religioso matriarcale delle Bene Gesserit, e un addestramento adeguato nelle arti marziali e nella scherma ottenuto grazie ai fedeli Duncan Idaho (Jason Momoa, l’unico ad avere un certo senso dell’umorismo …) e Gurney Halleck (Josh Brolin).
Dall’impaziente Paul che si reca su Arrakis alle scene in cui è impegnato nella raccolta della spezia, ci viene costantemente ricordato che potrebbe essere (e probabilmente è) “l’eletto”, ma a differenza, diciamo per dirne uno molto forte nella memoria di tutti, del Neo di Matrix, non arriviamo mai a sperimentare la sua inostacolabile trasformazione in ‘Messia’.
Quando improvvisamente scoppia una sanguinosa battaglia su Arrakis, mentre gli Harkonnen ritornano subdolamente per reclamare il loro paradiso perduto, Paul viene ad esempio protetto dai suoi genitori, trasportato in un bunker e nascosto mentre schermaglie nebbiose e indistinte tra soldati anonimi si svolgono sopra la sua testa.
In modo opportuno, Dune – che è parte racconto di formazione e parte survival – mette in mostra il disagio di Lady Jessica per il destino di suo figlio, e nei panni dell’eternamente meditabondo Paul, Timothée Chalamet coglie come il suo personaggio venga allontanato dalla promessa di grandezza. Parlando con una voce monotona e indifferente che lo fa apparire piuttosto legnoso, l’attore 25enne incarna così un soggetto ‘figurativo’ che sembra allora esistere soltanto per essere inquadrato mentre si staglia contro cumuli di rocce e di dune mentre fissa vacuamente l’orizzonte alla ricerca di qualcosa in lontananza, un risultato assimilabile alle immagini architettate dall’esteta Denis Villeneuve, se capite cosa si intende.
Naturalmente, questa caratterizzazione è più o meno dettata dalla sceneggiatura stessa. Presentandosi come “Parte Uno” sui titoli di testa, i 155 minuti di Dune di Denis Villeneuve finiscono per sembrare un prologo esteso a quello che si può solo sperare sarà un sequel che chiarirà le sue allusioni arcane e i suoi paradossi e che approfondirà davvero la personalità dei suoi personaggi superstiti. E se quel film verrà realizzato (la Warner Bros. non lo ha ancora confermato ufficialmente), potremmo pure azzardarci a sperare che Hans Zimmer decida di confezionare una colonna sonora bis meno innocua.
Non arriviamo neppure ad avere nemmeno una vera idea della portata completa del vasto paesaggio desertico di Arrakis fino all’ultimissimo tratto del film, quando Paul e Lady Jessica sono in fuga e incontrano una tribù di guerrieri Fremen guidati dal tenace Stilgar (Javier Bardem).
È da queste parti che finalmente possiamo vedere anche i giganteschi vermi della sabbia, alias le creature più universalmente riconoscibili e temute dell’universo di Dune, ma è – comunque – solo un assaggio. Questo tipo di anticipazione fugace è però l’evidente modus operandi adottato per l’occasione da Denis Villeneuve, che ha imperniato quasi ogni aspetto della Parte Uno sulle immense possibilità delle ‘cose a venire’.
L’incontro con Stilgar, per dirne una, è l’opportunità per Paul di dimostrare la sua virilità e lasciare che il pubblico a domandarsi cosa ne sarà di lui dopo essersi guadagnato la stima dei diffidenti Fremen. “Questo è solo l’inizio“, dichiara saggiamente la giovane guerriera Fremen Chani (Zendaya) mentre lei e il suo popolo dagli occhi azzurrissimi conducono Paul e Lady Jessica nelle profondità del deserto in chiusura di film, ma dato il vasto minutaggio impiegato in precedenza per raccontare le arcigne macchinazioni politiche e gli scontri a fuoco coi feroci Sardaukar senza un vero scopo, se non quello di movimentare un po’ il ritmo, qualcuno potrebbe non essere così incline a voler scoprire cosa succederà nella Parte Due.
In definitiva, se lodevole è lo sforzo di Denis Villeneuve, il risultato conferma la premessa di ‘infilmabilità’ dell’opera di Frank Herbert. Il regista canadese – al lavoro tra l’incudine e il martello – si può dire che abbia fatto il massimo per mantenere coerenza narrativa e provare ad accontentare tutti a un livello hollywoodianamente ‘accettabile’, ovvero da un lato senza operare stravolgimenti e tagli tali da indispettire gli accaniti e numerosi adepti della saga letteraria e dall’altro di non infarcire il film di troppi termini e sottotrame latrici di spaesamento per i neofiti. Non è poco, ma non è nemmeno molto. Ad maiora.
Di seguito trovate il main trailer italiano di Dune, nei nostri cinema dal 16 settembre:
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