Esclusivo | Intervista a Gabriele ‘AkaB’ Di Benedetto, i dolori di un fumettista che ha voglia di cinema
05/06/2017 news di Alessandro Gamma
Abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata con il disegnatore milanese, spaziando dalla TV alle produzioni indipendenti, passando per Alan Moore e Dylan Dog, per arrivare al ruolo degli opinionisti da social network
AkaB, al secolo Gabriele Di Benedetto, è un personaggio un po’ al di fuori degli schemi classici del fumetto italiano, capace nella sua carriera ventennale di passare dall’animazione a passo uno ai lungometraggi (presentati in importanti Festival), dalle copertine dei CD ai murales e ai libri illustrati.
Abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata con AkaB, spaziando dal cinema alle produzioni indipendenti ad Alan Moore e Dylan Dog, per arrivare alla ‘voglia di regia’ e alla fatica di essere un fumettista, passando per il fagocitante mondo virtuale di Facebook.
Che rapporto hai con cinema e serie TV? Influenzano in qualche modo i tuoi lavori?
Sui serial sono decisamente critico, perché hanno questa anti-qualità di dover necessariamente diluire concetti per tanti puntate. In più, mi dà da pensare che negli ultimi 10 anni abbiano avuto un boom perché contemporaneamente il pubblico ha più tempo a disposizione e subentra questo meccanismo malefico che ruba tempo alle persone e quel tempo ha valore e importanza. Un film in due ore deve raccontarti quello che deve, quindi ha un tempo finito, mentre seguire una serie è praticamente un lavoro. In più io ho poca memoria …
Pensa che mi prendono in giro perché a volte, non ricordandomi a che punto sono arrivato, parto dalla fine di una stagione … So che sembra una follia! Però stando al tavolo molte ore a disegnare, spesso quello che vedo è più un sottofondo. Ultimamente mi è capitato con The Young Pope, una serie pesante e di una noia mortale, ma mie ero messo in testa di finirla … Qui poi subentra il senso di completezza, che una sorta di malattia, cioè recuperare tutte le opere di tal regista che ti piace. Un’impresa che rende a volte difficile ad esempio recuperare le filmografie complete, come quella di Takashi Miike …
Citando quelle che più mi hanno colpito posso dirti ovviamente Twin Peaks, che da ragazzino mi ha aperto un mondo. Poi I Soprano, che è costellato di sorprese vere che rimescolano le carte dei personaggi in modi che non avresti pensato, anche nelle ultime stagioni. Una serie considerata intoccabile come Breaking Bad invece, pur avendo i due protagonisti che reggono benissimo, mi sembra abbia un format che si ripete in ogni stagione e quindi mi rimangono più in testa le puntate ‘strambe’.
Non sei tra quelli allora che pensano che la serie riesca a dare maggiore respiro alla storia
Lo dicono in tanti, ma io non lo credo. Intanto perché si finisce sempre nella ripetizione. Magari non è colpa degli sceneggiatori, ma è proprio lo studio che impone certe cose. Quando cerchi di accontentare il pubblico è normale che il risultato sia mediocre e privo di personalità o spessore.
Quindi il cinema vince sempre …
Si, anche perché cinema e fumetto oltretutto vanno a braccetto, essendo stati formalizzati entrambi circa 100 anni fa a distanza di poco tempo e da lì l’umanità ha cominciato a ragionare per immagini ‘in sequenza’. Ho girato anche molti cortometraggi. Nel 1996, per MTV, avevo cominciato con l’animazione classica per delle siglette. Da lì varie sperimentazioni, coi pupazzi e il pongo, per poi passare a flash e arrivare a esperimenti veri e propri, sia con software di post-produzione che con la videocamera.
Ho mollato in pratica il fumetto per 6 anni e a pensarci non so nemmeno come ho fatto a mantenermi, perché non ci ho mai guadagnato nulla da quello che facevo … Ho realizzato anche clip che venivano trasmesse sullo sfondo durante i concerti. Con il tempo ho cominciato a capirne di più i meccanismi, meno casualità, più decisione e maggiore padronanza del linguaggio. A quel punto mi presero per insegnare in una scuola di cinema qui a Milano, Q Cinema, che ora non c’è più e un’estate, radunando un po’ di alunni e colleghi decisi di girare Mattatoio, che poi finì al Festival di Venezia.
Che ricordi hai di questo progetto?
Nacque per un’esigenza mia di capire che difficoltà e differenze ci fossero tra il girare un corto e una storia lunga. Ed è tutta un’altra cosa, un po’ come giocare a pallavolo e a basket … C’è una palla ma non è lo stesso sport … Devi ragionare su una scala diversa e avere una visione più completa. L’ho girato con un budget ridicolo. Per la location abbiamo usato la villa di Seveso del preside della scuola, un paio di videocamere e un sacco di miniDV che mi regalò mio zio credo. Ci ho messo 2 mesi a girarlo e poi circa 6 mesi a montarlo, perché non l’avevo scritto, è stato molto sentimentale e sperimentale. Il terzo mio film invece, Vita e opere di un santo, l’ho addirittura storyboardato e infatti è un film compiuto a tutti gli effetti.
Quando hai capito che Mattatoio sarebbe diventato un lungo?
Ero partito con l’idea di mettermi alla prova su quel tipo di linguaggio, ma non avevo idea del minutaggio. Avevo fatto dei disegni preparatori con delle idee e delle suggestioni, però giravo sempre e riprendevo qualsiasi cosa. Per me poi il film si sarebbe risolto lì. Avevo adottato un atteggiamento disinvolto anche rispetto alle musiche, visto che non era previsto che venisse proiettato.
Invece quelli della scuola decisero di mandarlo direttamente – senza dirmelo – a Venezia e il modo in cui mi diedero la notizia che era stato accettato fu anche piuttosto stiloso, in quanto mi dissero di scendere all’edicola, comprare il Corriere e andare nella pagina degli spettacoli e lì vidi che Mattatoio era stato selezionato. Ovviamente non ci potevo credere, ma è stato figo leggerlo. Con Vita e opere di un santo si è invece un po’ concluso quel mio periodo legato al cinema.
Essendo Vita e Opere del 2005, hai mai pensato di riprendere in mano la videocamera dopo?
So come può suonare, ma di tutte le cose che ho provato a fare, come disegnare live, video installazioni, dipingere muri, teatro, fare libri, copertine ecc. sicuramente il cinema è quella più divertente e dove mi ci trovo meglio. I fumetti sono in qualche modo una sorta di passaggio precedente al cinema, almeno io li vedo così. Hanno le loro specifiche ovviamente, e talvolta sono meglio dei film, ma sono un linguaggio che usa immagini in sequenza per narrare storie. Anche per me dirlo è strano, ma dopo il terzo film, nonostante la buona accoglienza ricevuta anche nel giro dei festival, mi è sembrato che fosse finita lì, che avessi dovuto arrivare a capire dei meccanismi e poi stop.
Girare film è stato un arricchimento continuo, perché sono stato affiancato da persone valide e appassionate. Il fumetto è invece un grande sacrificio e mi costringe a stare in casa, da solo, per molto tempo, senza possibilità di confronto. Qualche tempo dopo ho girato un corto, Interior, con un po’ di soldi, quindi più vicino a quella che potrebbe essere la situazione ‘normale’, venendo però da un contesto completamente indipendente. La situazione era un po’ imbarazzante, perché mi mancava qualcosa, gestivo solo una parte del lavoro in scena, quasi troppo facile, il che mi toglieva cose che mi piaceva fare.
Penso comunque che questo sia il mio ruolo naturale, mi ci trovo benissimo e non mi pesano affatto alcuni degli aspetti ritenuti faticosi della realizzazione di un film. Di contro, col fumetto sto invece cominciando un po’ ad accusare la stanchezza. Sarà l’età, o forse l’abitudine …Il punto è che fare cinema comprende tutte le discipline che mi interessano, come scrivere e disegnare, nella fase di pre produzione e ha un equilibrio di tempi solitari e tempi sociali che permettono ad un essere umano sensibile, di non impazzire.
Fare fumetti è come fare un film da solo, non solo sei lo sceneggiatore, il regista, lo scenografo, il direttore delle luci, il fonico, il truccatore, il costumista, ecc sei anche tutti gli attori. Francamente un po’ troppo totalizzante e ego maniacale.
Hai mai pensato a trasportare al cinema uno dei tuoi fumetti, con attori veri o in forma animata magari?
Proprio il lavoro che sto attualmente realizzando, Le mani di Zeta, l’ho pensato come un film e ci sto ragionando in questo senso, ci sono flashback molto cinematografici e in più ha una gabbia a sei che gli dà un ritmo continuo. Inoltre con Rup, il ragazzo che gestisce il portale Carboluce, che è un regista, stiamo cercando di mettere in cantiere delle produzioni meno visibili.
Al momento però non posso dedicarmi ad altro. E’ una mia impostazione mentale, che mi obbliga a concentrarmi su un solo progetto alla volta, nell’ultimo caso anche per una questione di mantenimento dello stile del disegno. LMDZ si presta molto al live action con attori veri e anche al teatro, perchè fondamentalmente è tutto ambientato dentro un appartamento e in Italia c’è una certa tradizione in tal senso.
Hai seguito l’evoluzione negli ultimi anni del mondo dell’animazione, dal disegno a mano al digitale?
Ovviamente si, avendo anche realizzato in gioventù dei corti a passo uno. Penso che l’evoluzione verso il 3D sia decisamente meno interessante rispetto al disegno tradizionale, anche se ci sono alcuni casi interessanti come il Capitan Harlock di Shinji Aramaki, visivamente pazzeschi ma di una noia mortale per quanto riguarda la storia. Mi è piaciuto moltissimo La mia vita da zucchina ultimamente. Poi ovviamente ci sono fattori influenti come l’età. Fino a qualche tempo fa ero un divoratore di serie come South Park, I Griffin e American Dad ma adesso non riesco più a guardarli, non mi fanno più ridere, non so perchè … Alcuni amici mi hanno convinto a guardare anche BoJack Horseman, ma proprio non mi ha colpito. La tartaruga rossa invece è un film che francamente per me non va da nessuna parte, ma adoro le opere che trattano l’isolamento ed è splendido sotto il profilo dell’animazione.
Rimanendo in ambito tecnologico, tu sei ancora old school per i disegni giusto?
Si, la tavoletta digitale ce l’ho, ma fondamentalmente la uso come mouse. Penso semplicemente di non possedere la tecnica, non conosco il mezzo. Poi il segno non mi piace, perché lo sento più freddo. Senza contare che io sono uno che inserisce ‘difetti’ in quello che disegna, sporcando molto la pagina e avendo a che fare ad esempio con imprevisti che devi riuscire a risolvere in qualche modo senza possibilità di schiacciare ‘mela+Z’ e tornare indietro. L’errore forse sta lì per dirti qualcosa … Magari un giorno scatterà qualcosa e comincerò anche io a disegnare così e a quel punto sarò molto più veloce!
Qualche anno fa hai partecipato un po’ a sorpresa a un Dylan Dog Color Fest (Tre Passi nel Delirio). Hai in mente di ritornare a lavorare sul personaggio?
Ricordo che l’idea venne fuori al Comicon di Napoli di qualche anno fa, dove dissi che avrei partecipato se ci avessero dato carta bianca, cosa che effettivamente è successa. Poi mi hanno proposto un altro lavoro, io gli dissi che lo avrei fatto ma mi sarei firmato con un nome diverso e questa cosa non gli è piaciuta tanto. Diciamo che io e Roberto Recchioni abbiamo visioni su cos’è il fumetto e su dove dovrebbe andare molto diverse.
La mia strada implica che se sei un bambino di 11 anni con qualche problema, intanto non dovresti leggere quello che pubblico [ride]. Poi è più un discorso di mettersi in discussione, per me come autore ma anche per il lettore, costringendoti ad affrontare le tue zone più oscure. E purtroppo si cresce grazie alle difficoltà, non alle pacche sulle spalle e ai complimenti. Siamo in un momento storico in cui ci sono più bambini ‘agiati’ che persone che hanno voglia di guardarsi dentro.
Quindi il mercato italiano del fumetto è in discreta salute
Direi di si, visto che riesco a camparci addirittura io! [ride] Mi sembra che stiamo facendo dei passettini verso l’esempio francese, ovviamente con una lentezza tipicamente italiana. Inoltre stanno nascendo moltissime convention, dove c’è la possibilità di avere copie ‘personalizzate coi disegni dell’autore e dove i lettori scoprono che faccia hai. A me piace andare a queste manifestazioni, se però non prendono la deriva da centro commerciale come Cartoomics, Lucca o il Comicon. Preferisco esempi più intimi, che hanno sposato l’idea della piccola casa editrice che stampa fumetti, dove non ci sono cosplayer di varia natura. Settimana scorsa ero a Napoli ed è stato avvilente – come disegnatore – vedere tutta questa gente travestita che passeggiava davanti agli stand senza fermarsi. Secondo me forse il 10% dei presenti era interessato al fumetto, anche se mi hanno detto che è quella piazza in particolare a esser così. Mi spiace per il Comicon, era partito benissimo e Napoli è davvero sempre una città stupefacente da visitare.
Poco tempo fa ho letto un tuo post su Facebook in cui dicevi ‘Sono tornato a leggere fumetti’, sotto un’immagine in cui compaiono diverse opere di Shintaro Kago. C’è un motivo particolare?
Ho ricominciato con Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio? Non mi capitava da anni di fermarmi e leggere qualcosa di così divertente e piacevole. Da bambino leggevo molto, soprattutto gli Asterix dei miei fratelli maggiori, I supereori della Corno, Topolino, ecc. Poi ho perso un po’ di vista i fumetti e sono stato ri-folgorato un Natale, quando nell’edicola sotto casa di mia zia trovai la saga di Proteus degli X-Men di Claremont.
Da lì è partito un trip incredibile. All’inizio i Marvel e dopo tutto il resto. Mi appassionava il linguaggio. Andavo tutti i giorni in edicola, una cosa folle, una sorta di dipendenza. Ci spendevo tutti i soldi che mi arrivavano per le mani. Poi sono riuscito a prendere le distanze, a disintossicarmi disfandomi di quelli che avevo non volendo più vederli per casa, anche se continuo a invidiare un po’ i collezionisti che tengono i fumetti inscatolati. Ora ho ricominciato con Shintaro Kago, comprando tutto quello che è uscito di suo, anche se ci sono alti e bassi nella sua produzione, che peraltro è molto più ampia di quello che credevo. Maledetti Giapponesi stakanovisti!
Cosa ti è rimasto dei classici letti durante l’adolescenza? Vedo che hai in giro volumi di Alan Moore e di Frank Miller …
Mi è capitato di rileggerne alcuni negli ultimi anni. A Trieste, a casa di amici, mi è capitato recentemente per le mani Devil: Rinascita, che mi incuriosiva risfogliare più per i disegni di David Mazzucchelli che per la storia in sé. Pensa che la prima volta era proprio la cosa che non mi era piaciuta. Quando ero ragazzino ho avuto per anni difficoltà anche coi disegni di Mike Mignola. E’ tutta questione di educazione all’immagine però, ma conta anche l’età, il momento storico in cui lo leggi ecc. Detto questo, secondo me i libri di Frank Miller sentono il passare del tempo.
Contestualizzati negli anni ’80 sono clamorosi e molto avanti, ma ora quel tipo di linguaggio mi sembra superato. Persino nel Cavaliere Oscuro, ha delle scene di azione ancora oggi clamorose e scritte benissimo, mentre il resto suona un po’ superato. Watchmen di Alan Moore e From Hell ancora oggi non hanno perso un briciolo di potenza. Pensa che all’epoca mi incazzai parecchio per il tratto sgraziato e fuori posto di Eddie Campbell, ma poi quando sono entrato nel meccanismo ho capito che era perfetto e qualsiasi altro sarebbe stato sbagliato. Stesso discorso vale per Dave Gibbons, un mestierante qualsiasi ma adattissimo per raccontare quel fumetto. Questo per dire che è normale partire leggendo cazzate e anormale non evolvere i propri gusti.
A questo punto dimmi cosa ne pensi degli adattamenti per il cinema
Conosco la posizione di Moore in merito e mi fa molto ridere, ma La vera storia di Jack lo squartatore è proprio un’altra cosa, ingiudicabile e impossibile da paragonare alla potenza del fumetto originale. Per V per Vendetta basterebbe l’introduzione di Evey, vera protagonista dell’opera, per farti detestare il film. Riguardandolo a distanza di anni e senza aver troppo in testa il fumetto, pur risultando meno interessante, ha comunque qualcosa da dire.
La leggenda degli uomini straordinari invece preferisco dimenticarlo. Questo preambolo per arrivare alla trasposizione di Watchmen, che mi ero preparato ad odiare, oltretutto con la regia di Zack Snyder, e invece funziona benissimo, compreso il finale, pur senza la piovra gigante.
Cosa mi dici invece dei film e serie TV della Marvel e della DC?
Le serie non le vedo. Per quanto riguarda i film ci ho provato più o meno con tutti quelli usciti, ma mi sembrano tutti uguali e ormai arrivati agli sgoccioli. Un riciclaggio delle solite idee perenne. Ho visto ultimamente Logan, e mi sono piaciuti i primi 15/20′ a essere buoni, premettendo che quelli che vediamo non sono per niente i personaggi di cui portano il nome., lo sforzo di privarli di ogni eroismo e renderli patetici non era per niente scontato.
Tornando sulle nuove tecnologie, hai una pagina Facebook, ma non stai molto dietro a quello che pubblichi
Questo è una cosa che mi interessa molto. Fondamentalmente a un certo punto mi sono reso conto che avevo adottato un comportamento troppo compulsivo. Passavo il tempo a controllare gli aggiornamenti e mi metteva un’ansia personale ogni volta che scrollavo la home del mio diario. Un fiume di informazioni – superficiali – continuo, una finestra sul mondo perenne, piena di opinionisti che commentano tutto. Quindi ho smesso, perché non volevo fare parte di quel flusso. Avendo sempre tenuto un blog però, mi sono sentito di continuare a tenere una pagina pubblica anche su Facebook, dove in pratica butto dentro delle cose e poi in effetti non seguo troppo.
Colgo l’occasione per sottolineare che a coloro che mi chiedono qualcosa sul wall rispondo sempre privatamente. Non c’è bisogno di scrivermi davanti a tutti. In più mi sembra che gli opinionisti che hanno molti follower e commenti, tipo Selvaggia Lucarelli o Recchioni stesso rimanendo nell’ambito del fumetto, vivano già in un inferno. Mi pare che si risolva sempre tutto in qualcosa di iper-infantile del tipo ‘ho ragione io, hai torto tu’ o ‘quello è cattivo quell’altro è buono’ . Vivo benissimo, anzi meglio, senza postare 10/15 cose al giorno, ma mi rendo perfettamente conto che chi ha un forte seguito sui social poi vende più libri. Sono scelte.
Avverti qualche aspetto particolarmente faticoso nel continuare a fare fumetti?
Il primo lavoro che ho fatto nel mondo del fumetto è stato di coordinamento, quindi mi sono allenato col tempo ad avere un occhio particolarmente critico. Ho pertanto la tendenza a vedere dove si sarebbe potuto fare meglio, soprattutto sui miei lavori. Proprio durante quest’ultimo mese, mi sono reso conto che la parte di critico si è molto più affinata rispetto a quella del disegno.
Quindi in sostanza ora detesto il mio lavoro [ride]. Più che altro non ne sono soddisfatto, perché fisicamente non riesco ad arrivare al risultato che mi immagino. Di contro avere la visione di qualcosa di meglio mi spinge a fare di più, ma resta il fatto che al momento è un problema. Ci sono stati momenti in cui sono stato soddisfatto del mio lavoro, ma è sempre qualcosa di effimero.
Tu hai frequentato diversi ambienti e hai sperimentato diverse tecniche e metodi espressivi. Come vedi la figura del fumettista rispetto magari a quella dello scrittore?
Guarda, quello che ho imparato col tempo è che da noi, anche il più scarso degli scrittori viene osannato perché è finito in TV, quando l’unico pregio è quello di essere riuscito a finire un libro. C’è questa assurda idea per cui il più stronzo degli scrittori è uno scrittore e quindi va al Salone del Libro e gli possiamo anche chiedere un’opinione su qualcosa visto il suo ruolo, mentre il fumettista, anche il più bravo, fa solo i disegnetti.
Bisognerebbe spiegare all’universo che chi scrive e disegna fumetti fa il triplo del lavoro di uno scrittore. Per Le Mani di Zeta, il vero lavoro è iniziato dopo la fase di scrittura, perché ora devo trovare il modo di rendere visibile tutto quello che non c’è nelle parole. Avendo frequentato vari ambienti, dalle gallerie d’arte agli street artist, ti assicuro che le idee nella testa dei fumettisti più interessanti valgono 10 volte quelle sentite in quegli ambienti. Diventa una visione completissima se ne hai piena padronanza.
Dimmi qualcosa di Plume, il suo ultimo lavoro appena pubblicato
E’ una raccolta di storie brevi realizzate negli ultimi 15 anni e nasce da un’intervista fatta con Marco Taddei, il quale mi chiese se avessi mai pensato di raggruppare a questo punto della mia carriera tutte le storie brevi disegnate. Questa cosa mi ha fatto ridere e da lì ho cominciato a pensarci. Non a caso la prefazione è sua. Di alcune storie ho rimontato delle vignette, ma non le avevo più rilette da allora. Pensa che ho tenuto in mano il volume finito per la prima volta a Trieste, dove l’ho presentato in anteprima, e sfogliandolo l’ho trovato molto doloroso.
E’ stato strano, ma mi ha fatto ragionare, facendomi capire come può essere recepita una mia storia dall’esterno. In più mi ha fatto ripensare ai momenti in cui le avevo scritte e ricordare che in fondo non stavo tanto male quanto si potrebbe pensare dai disegni, è stata per me una forma di catarsi mettere sul foglio il malessere che comunque c’era. Tra l’altro ho lasciato fuori alcune storie perchè semplicemente non ho potuto ritrovare i file e questa cosa un po’ mi pesa, proprio per il senso di completezza che ti dicevo.
A cosa stai lavorando ora?
Sto lavorando su Le mani di Zeta. Ci ho messo circa 3 o 4 settimane a scriverlo, mettendomi al tavolo tutti i giorni. Ora sono arrivato a pagina 80 con i disegni e ci sto lavorando da 6 mesi, e non sono nemmeno a metà perchè l’idea è di farlo di 180 pagine. Quindi vuol dire che ci metterò almeno altri 6 mesi a completarlo e terrà a freno il mio lato più sperimentale per circa un anno, mi tiene ingabbiato nella sua forma. Al momento è disegnato in bianco e nero, o magari ci aggiungerò dei grigi, per via dell’atmosfera. E’ il libro stesso che mi dice di farlo così.
Il protagonista ha questa ossessione per Zorro e in più lo ricollego alle storie disegnate da Alex Toth, che è il ‘padre’ di Mignola, ed è l’autore che ha portato ad altissimi livelli la sintesi e il bianco e nero. Quindi l’ho sempre immaginato in questo modo. Molto bianco, molto nero. “Le mani di Z” è sicuramente il mio lavoro più complesso e ambizioso, ci sto mettendo dentro tutte le tematiche che non mi fanno dormire la notte, non voglio anticipare troppo ma sono certo che una volta finito sarò incredibilmente più leggero e finalmente libero di dedicarmi alla distensiva esplorazione interstellare.
Di seguito un breve video di AkaB al lavoro su un nuovo disegno:
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