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Voto: 7.5/10 Titolo originale: عنکبوت مقدس , uscita: 13-07-2022. Regista: Ali Abbasi.

Holy Spider: la recensione del film sullo ‘spider killer’ diretto da Ali Abbasi

15/02/2023 recensione film di Sabrina Crivelli

Il regista iraniano dirige un thriller crudo e ricco di tematiche caldissime, raccontando la storia vera del pluriomicida di prostitute Saeed Hanaei

Holy Spider film 2023 abbasi

Assai raramente – soprattutto di questi tempi – un film è capace di veicolare un messaggio controverso con un linguaggio visivo tanto potente e concreto da scioccare lo spettatore. Holy Spider di Ali Abbasi – presentato in anteprima a Cannes 2022 – trasmette un profondo e proficuo senso di disagio, che forza lo spettatore ad affrontare una riflessione problematica, estremamente complessa e quanto mai attuale.

Ispirato a un caso di cronaca nera iraniana, Holy Spider segue l’indagine giornalistica di Rahimi (Zar Amir Ebrahimi), reporter sulle tracce di un omicida seriale, Saeed Hanaei (Mehdi Bajestani) – ovvero lo ‘Spider Killer’, che ha ucciso, tra il 2000 e il 2001, 16 prostitute nella città santa di Mashhad, convinto di portare avanti una jihad contro l’immoralità ripulendo le strade dal vizio. La polizia, come le autorità politiche e religiose, sembravano essere incapace di porre un freno agli efferati crimini, nonostante crescesse velocemente il numero delle vittime. Tuttavia, si trattava di incompetenza o peggio?

Il tema di Holy Spider è di per sé scottante e le sue implicazioni religiose, morali e sociali tutt’altro che scontate. Anzitutto, Ali Abbasi suggerisce sin da principio che i femminicidi perpetrati da Saeed Hanaei siano qualcosa di più di un atto sadico e spietato di un folle. Figura paradossale, l’assassino è descritto come un reduce di guerra sopravvissuto indenne al conflitto tra Iran e Iraq negli anni ’80.

Holy Spider film posterMartire mancato (con sommo dispiacere personale), come desumiamo da uno dei molti dialoghi semplici eppure incisivi con un commilitone, l’antieroe protagonista di Holy Spider è in cerca di un fine a cui dedicare la sua vita, o meglio di una nuova battaglia a cui sacrificarla. Il nuovo nemico? Le donne che, disperate, vendono il loro corpo sulle strade di Mashhad, nella piazza vicino al Santuario dell’Imām Reżā, luogo sacro e centro di pellegrinaggio islamico.

Le forze dell’ordine e le autorità religiose sembrano tollerarle, ma per Saeed rappresentano, con la loro sola presenza, un affronto inaccettabile contro il volere divino, oltre che contro al pubblico decoro. Eliminarle, una a una, strangolandole – evocativamente – nel loro velo, diviene allora la sua nuova missione.

Ciò che colpisce immediatamente in Holy Spider è il ritratto complesso e ambiguo del killer, le sue motivazioni e la sua personalità. Da Zodiac a Ed Gein e Jeffrey Dahmer, siamo stati abituati a vedere sul grande schermo – soprattutto nei film e nelle serie americane – sociopatici, abili manipolatori o soggetti borderline con tendenze sadiche.

Si tratta di maschere, istantanee patinate e monolitiche di menti malate e profondamente malvage. Lo ‘Spider Killer’ di Ali Abbasi è invece assai differente: è un uomo fragile e confuso, quasi ingenuo in certe sue manifestazioni. Uccide senza rimorso, è vero, ma al contempo non è del tutto responsabile delle sue azioni, e non solo – o principalmente – per incapacità di intendere e volere (che a tratti emerge nella crescente propensione a dissociarsi dalla realtà).

Holy Spider non si limita a esplorare le conseguenze estreme di misoginia e oggettificazione della donna in un thriller angosciante alla Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. Indubbiamente, le vittime del ragno vengono completamente spersonalizzate a causa della vita che conducono, della prostituzione e delle droghe. Il discorso però non è portato avanti solo, o soprattutto, su un piano individuale.

Alla base del operato di Saed c’è un più ampio indottrinamento che induce e determina la sua visione del mondo. Ne risulta la disarmante pericolosità di un uomo comune, un padre di famiglia, reso incapace di discernere il giusto e dallo sbagliato. La soggezione a tratti infantile verso la moglie Fatima (Forouzan Jamshidnejad), il terrore del giudizio dei vicini, gli scatti d’ira eccessivi e quasi ridicoli verso il figlio e la cieca fiducia nel suo credo che lo porta a una grottesca sublimazione schizofrenica dalla realtà (palese nelle fasi finali del processo) sembrano confermare quella che Hannah Arendt aveva definito come ‘la banalità del male’.

Dal singolo alla società, la riflessione di Ali Abbasi diviene poi ancor più problematica quando vengono mostrate le reazioni della comunità ai delitti dello ‘Spider Killer’. I famigliari, i vicini e alcuni – non pochi – degli abitanti di Mashhad ne supportano le azioni, vedendo in lui un eroe della fede.

D’altra parte, se le autorità di facciata fingono di condannare gli omicidi di innocenti, gli investigatori e agenti procedono a rilento, svogliatamente. L’unica a dedicarsi anima e corpo alle indagini è Rahimi, giornalista di Teheran vittima anche lei di soprusi e ingiustizie. Decisa a fermare a ogni costo l’assassino, si scontra con un agenti indisponenti e arroganti, giudici subdoli e ipocriti e cittadini del tutto disinteressati alla morte di donne dimenticate che secondo molti – troppi – si sono meritate il loro truce destino.

Concettualmente campo e controcampo, Saeed e Rahimi divengono i due poli di una descrizione filmica complessa – e ovviamente critica – della società iraniana. Entrambi parte e prodotti di un sistema a cui reagiscono in modi antitetici: l’uno ne segue e applica i principi fino a una sconcertante e sanguinaria iperbole, l’altra lo fronteggia nonostante i rischi, coraggiosamente.

Le donne, le vittime sono altrettanto parte del medesimo gioco iniquo, eppure Ali Abbasi non si limita a mostrarle solo come prede in fuga o ex-post, come cadaveri in attesa di essere ritrovati . Ognuna di loro ha una personalità forte, le viene concesso un ritratto, che ne indaga, seppur brevemente, il carattere, le motivazioni. In tal senso, è particolarmente indicativa l’apertura di Holy Spider.

Holy Spider filmInvece del killer, o di chi porterà avanti le indagini, seguiamo per diversi minuti una delle sue future vittime. La donna  esce di casa nel mezzo della notte, dopo aver rimboccato le coperte alla figlia addormentata. Si trucca vistosamente. La mano le trema impercettibilmente mentre tira fuori dal velo una ciocca di capelli, segno inequivocabile del suo mestiere, e si appresta a camminare per le strade semi-deserte in cerca di clienti. Per l’ultima volta.

L’ambientazione e lo stile di ripresa rinforzano il senso di desolazione che affiora sin dalle prime sequenze. Gli esterni in notturna rievocano l’estetica da noir con quello smaccato uso di contrato chiaroscurale nelle luci, nella fotografia. Tuttavia, rispetto a un classico con Humphrey Bogart, il panorama è decisamente più concreto, neorealista.

Da città santa, Mashhad diviene allora città del vizio, tappa del traffico internazionale dell’oppio che dall’Afghanistan arriva in Europa. Donne emarginate, si trascinano sui marciapiedi come fantasmi nella notte. I lividi parlano dei soprusi e delle violenze che subiscono quotidianamente, senza che si possano rivolgere a nessuno. Benché non sia l’epicentro narrativo di Holy Spider, ma vengano catturato solo in una manciata di sequenze, lo squallore della loro esistenza rimane impresso nella mente.

Una aggressione visiva, che viene acuita dalla resa al limite del tangibile dei macabri omicidi di Saeed: portata a casa la vittima designata, il killer la strangola lentamente. Nulla è lasciato alla fantasia dello spettatore. L’occhio della mdp indulge, con morbosa attenzione, in primi piani e dettagli che catturano ogni sfumatura nel volto delle sventurate: le smorfie di dolore sul volto che si fa cianotico, i rantoli e gli occhi che sembrano uscire dalle orbite, il ritratto della morte per asfissia è dettagliato quanto impressionante.

Holy Spider, insomma, non è per tutti. Non offre un paio d’ore di svago o intrattenimento, né quello è il suo obbiettivo. Quello di Ali Abbasi è un film profondamente disturbante, nella forma come nel contenuto. Allo stesso tempo però, in un mondo di produzioni cinematografiche e televisive banali e dimenticabili, Holy Spider si distingue irrevocabilmente e la forza del suo messaggio e della forma con cui viene veicolato rimangono indelebilmente impressi nella memoria.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Holy Spider, nei nostri cinema dal 16 febbraio: