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Il diario da Venezia 80 (2023), episodio 3: CSC, ovvero Chiacchiere Senza Costrutto

06/09/2023 news di Giovanni Mottola

Le proteste del Centro Sperimentale di Cinematografia, i budget milionari dei film italiani, il commento onesto di Luca Barbareschi

orson welles

Nello scorso mese di agosto il Governo ha approvato un emendamento in un decreto legge con il quale ha riformato la struttura del Centro Sperimentale di Cinematografia (da qui in avanti CSC per brevità), suscitando proteste belluine tra gli studenti del Centro e, a sostegno, tutto il gotha del cinema italiano, da Moretti a Sorrentino, da Virzì a Guadagnino.

Sul palazzo sede del CSC è stato affisso uno striscione con la scritta “La cultura non si lottizza – Il CSC non si lega”. Tre studenti hanno fatto fuoco e fiamme nel tentativo di bloccare questa riforma, ripromettendosi di continuare la loro battaglia nel corso della Mostra di Venezia. Uno di loro, il ventottenne allievo del corso di sceneggiatura Francesco Giuliani, ha dichiarato: “Chiunque verrà nominato al vertice del Centro, che sia Pupi Avati o per assurdo anche Scorsese o Orson Welles redivivo, non avrà vita facile“.

Tranquillizziamo il ragazzo: Orson Welles di sicuro non risorgerà per venire a dirigere il CSC, al contrario si sparerebbe se fosse vivo e glielo proponessero. Ora si fa il nome di Sergio Castellitto, quindi auguri a lui.

CSCAndiamo allora a vedere cosa può aver suscitato proteste tanto vibranti. Le modifiche più rilevanti sono le seguenti: l’abolizione della figura del Direttore Generale; l’ampliamento del Consiglio di Amministrazione da cinque a sei membri, tre dei quali nominati dal Ministero della Cultura e uno ciascuno dai Ministeri di Economia, Istruzione e Università (prima mancava quest’ultimo); l’ampliamento da cinque a sei membri anche del comitato scientifico, i cui componenti verranno ora anch’essi nominati dai suddetti Ministeri anziché dal Consiglio di Amministrazione (che, come abbiamo visto, era già di nomina ministeriale, dunque la sua indipendenza era relativa).

Francamente nulla di scandaloso, trattandosi esclusivamente di questioni burocratiche. Però il Governo ha deciso altresì di smantellare all’istante gl’incarichi in vigore, anticipando la decadenza degli attuali membri rispetto al termine naturale del 2025. Su questa arroganza di voler piazzare su qualsiasi poltrona i propri fedelissimi ci sarebbe in effetti molto da obbiettare, così come sulla tempistica della riforma, effettuata quasi di soppiatto in agosto e all’interno di un più ampio ed eterogeneo provvedimento.

Ma, nel merito, riguardo a chi protesta condividiamo l’opinione che ci ha consegnato Luca Barbareschi, una delle poche voci fuori dal coro nel mondo dello spettacolo italiano, a margine di un’intervista effettuata con lui in questi giorni: “Mi fanno ridere: protestano perché dei raccomandati vanno a sostituire altri raccomandati“.

Il CSC non sta dunque perdendo la propria libertà per il semplice fatto che non la possedeva nemmeno prima. A questo punto, preso atto che l’intrusione delle precedenti classi politiche non aveva infiammato gli animi, è un attimo dedurre che dal CSC si vorrebbe fuori soltanto una parte della politica, per inciso quella che ha vinto democratiche elezioni.

Non per ragioni ideologiche, per carità. Ma perché negli anni si è costituito un sistema di amicizie e clientele che per pigrizia nessuno vuole veder crollare, costando troppa fatica e troppo voltafaccia istaurare analoghe relazioni con tutt’altre (si fa per dire) istituzioni.

Qualche numero. Per la gestione ordinaria del CSC sono stati stanziati, per l’anno 2023, 17 milioni di fondi pubblici per la gestione ordinaria, ai quali bisogna aggiungere 37,2 milioni provenienti dal PNRR che, quantunque disegnato a grandi linee sulla base di direttive impartite dall’Unione Europea, è il frutto della discrezionalità del potere politico.

Non sono gli unici danari che lo Stato, nelle sue varie ramificazioni, fornisce al mondo del cinema. Scrivevamo nei giorni scorsi che il film Comandante di Edoardo De Angelis è costato la bellezza di 15 milioni di euro. Passando in rassegna le altre produzioni italiane del Concorso ci accorgiamo che la cifra non è nemmeno abnorme.

finalmente l'laba film 2023 jamesIl record del più caro spetta infatti al film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba (la recensione), con addirittura 29 milioni di budget. Ma a ruota arrivano presto i 12 di Adagio di Stefano Sollima, gli 11 di Io Capitano di Matteo Garrone, gli 8 di Enea di Pietro Castellitto, appena al secondo film in carriera, e i 7 di Lubo di Giorgio Diritti.

In totale fanno 82 milioni di euro per sei film, di provenienza per gran parte pubblica, attraverso Ministero della Cultura, Regioni, e quant’altro. Per non parlare di RaiCinema, produttore di quasi tutte le opere italiane. Siamo pronti a scommettere che nessuno di questi film incasserà a sufficienza da coprire quei costi, forse nemmeno lontanamente.

Dunque perché quei soldi pubblici vengono elargiti, e soprattutto su che basi si sceglie a chi elargirli? Moretti, Sorrentino, Virzì, Guadanino e tutti gli altri protestanti vorrebbero la politica fuori dal cinema. La vorremmo anche noi. Ci piacerebbe però allora che, oltre a tenere chiusa la bocca, facesse altrettanto con il portafogli, lasciando a questi artisti l’onere di trovare, come accadeva ai tempi d’oro, un De Laurentis, un Ponti, un Lombardo, un Cristaldi disposto a credere in loro e convinto di guadagnare con i film che propongono.

Ma ciò non accade, perché il sistema è cambiato e nessuno investirebbe più, nel cinema italiano, cifra impossibili da far anche solo rientrare. Stando così le cose, ecco cosa meritano le rimostranze di tutto il mondo cinematografico nei confronti della politica: solamente delle grandi pernacchie.

Di seguito il teaser trailer di Enea: