Il diario da Venezia 81 (2024), episodio 2: morte a Venezia, fuori e dentro la sala
31/08/2024 news di Giovanni Mottola
Oggi parliamo dei film Nonostante di Valerio Mastandrea, Maria con Angelina Jolie e dello spagnolo Marco di Aitor Arregi e Jon Garano
Quest’anno c’è stata una grande moria, anche se forse non lo sapete. La Biennale ha celebrato i personaggi legati al cinema; Venezia nella sola giornata di ieri si è dovuta fermare a piangere due suoi figli assai cari. Il primo è Palmiro Fongher, storico vogatore di 92 anni, vincitore di ben 12 Regate storiche sulle 39 a cui ha partecipato.
La seconda è Marisa Bertolini, di anni 87, fondatrice della storica trattoria Da’a Marisa, vicino alla stazione, dove da sempre si può mangiare pranzo e cena a menù fisso, per lo più a base di pesce. Ancora più vecchia di loro era la signora Ester Maguolo, novantaseienne di Mestre morta per le conseguenze di una puntura della zanzara della specie West Nile, che pare stia imperversando per il Veneto.
I figli non solo non si danno pace per il loro lutto, cosa che sarebbe del tutto comprensibile, ma accusano con veemenza il Comune di non aver provveduto alle disinfestazioni e sostengono che la loro mamma fosse in ottima salute e avrebbe potuto campare ancora a lungo. Hanno insomma reagito in maniera diversa da quell’anziano di cui sui muri di Napoli si scrisse che si era spento “serenamente” all’età di 101 anni, raccogliendosi da un buontempone la seguente chiosa a penna: “E volevo vedere che faceva pure storie“.
Anche sugli schermi della Mostra il tema più presente sembra essere la Morte. Morte come premessa per raccontare l’Aldilà, Morte come simbolo per dimostrare per reazione attaccamento alla vita, Morte come rassegnazione, Morte come fine e forse nuovo inizio.
Ad accendere l’argomento è stato proprio il film di apertura, Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton, sul quale ci soffermeremo a parte nel prossimi giorni. Sullo stesso binario si è posto Valerio Mastandrea con la sua seconda opera da regista, Nonostante, con la quale è partito il concorso Orizzonti.
Il titolo enigmatico è tratto da un’espressione coniata dallo slavista Angelo Maria Ripellino quando si ritrovò costretto per un malore nel sanatorio di Dobris, vicino a Praga. Colpito dall’umanità dei malati che vi incontrò e dal loro ottimismo li definì in una lettera “I Nonostante”, cioè come coloro che si ostinano a vivere nonostante siano così vicini alla morte, quasi facendosi beffe di essa, in un modo che gli ricordava “il calvario di un clown, il quale si ingegni di continuare a suonare su un logoro violino che ad ogni momento va in frantumi”.
Molto affascinanti dunque sia lo spunto sia il titolo scelti da Mastandrea, il cui film però, dopo un buon inizio, si mette a girare a vuoto. Egli si concentra in principio sui soggetti in coma, immaginando che vivano una loro esistenza segreta, invisibili a chi non si trova in quelle condizioni.
Quando però l’ingresso in Ospedale di una bella malata scuote il tran tran quotidiano del protagonista, interpretato dallo stesso regista, la storia prende una piega sentimentale abbastanza scontata e annacqua le intuizioni di partenza. Il risultato complessivo rimane così inferiore a un piccolo vecchio film del 1997, In barca a vela contromano, dove pure Mastandrea era il protagonista e al quale sembra quasi essersi ispirato per l’ambientazione ospedaliera e il senso di umanità che emerge dai suoi personaggi.
Spostandosi al Concorso principale, anch’esso ha debuttato con una pellicola in cui il tema della Morte aleggia costantemente. Si tratta di Maria, dove il cileno Pablo Larraín porta sullo schermo, dopo le biografie di Jacqueline Kennedy (Jackie) e quella della Principessa Diana (Spencer), gli ultimi scorci di vita della divina Callas.
Al terzo tentativo ha ottenuto il risultato migliore. Non tanto perché gli altri due non fossero riusciti, ma perché questa volta la presenza di ottima musica interpretata peraltro in maniera eccelsa (la voce è quasi sempre quella della vera Callas) conferisce al film un effetto emotivamente ineguagliabile.
Il regista dosa in maniera efficace uno scintillio estetico zeffirelliano con un’atmosfera crepuscolare da Viale del Tramonto, esplicitamente richiamato nella scena della partita a carte. Ottima la prova, e non era affatto scontato, di un’Angelina Jolie forse troppo bella per essere credibile, ma brava a conferire al personaggio quello strazio decadente che poi avrebbe indotto molti a sospettare a un suicidio mai accertato ufficialmente.
Per amor di battuta verrebbe da dire che la scelta di far interpretare il maggiordomo e la cameriera a due attori italiani, Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, sembra una buona metafora dello stato del nostro cinema. In realtà le due parti hanno spessore ed entrambi sono molto bravi. In particolare Favino, che gode di maggiore spazio rispetto alla collega e dà vita a un servitore capace verso la sua padrona di una devozione non inferiore a quella dimostrata da Erich Von Stroheim nei confronti di Gloria Swanson.
Ultima variazione sul tema Morte può trovarsi nel film spagnolo Marco, diretto da Aitor Arregi e Jon Garano, con protagonista Eduard Fernandez. Qui la morte viene ricordata e in un certo senso celebrata, perché il protagonista Enric Marco, realmente esistito, l’ha vista in tutto il suo dramma con i propri occhi, essendo stato in gioventù prigioniero nel campi di concentramento nazista di Flossenburg.
Rientrato in Spagna, al termine della guerra, si attivò per perpetuare il terribile ricordo di quell’esperienza e commemorare chi da quei luoghi non era più tornato, tenendo conferenze, parlando nelle scuole, scrivendo libri e riscuotendo applausi commossi a ogni sua apparizione. Peccato che si fosse inventato tutto e sia riuscito a millantare per oltre trent’anni esperienze mai vissute, fin quando uno storico puntiglioso non scoprì delle incongruenze nella sua biografia.
A quel punto divenne, seppur in negativo, un personaggio ancor più celebre di prima e una manna per i letterati: Mario Vargas Llosa lo definì un uomo al tempo stesso “spaventoso e geniale” e nel 2014 Javier Cercas gli dedicò un romanzo dal titolo L’Impostore.
La figura di Enric Marco, scomparso nel 2022 a 101 anni, andrebbe studiata nelle scuole. Non soltanto per il fatto storico, ma per far capire che chi cerca di rendersi in tutti i modi monopolista delle cause più nobili è spesso una persona truffaldina. Il film, oltre a raccontare questa interessante vicenda, è ben diretto e ben interpretato.
Il suo momento clou, almeno per i cinefili, avviene quando la famiglia di Enric Marco è riunita a tavola e il protagonista s’indigna all’idea che le nuove generazioni possano conoscere l’Olocausto solo grazie a La vita è bella. I suoi stessi figli dichiarano di aver apprezzato il film, ma lui scuote la testa: “E’ una pagliacciata. E Benigni è un buffone”.
Qualche animo maligno potrebbe pensare che nella sua vita Enric Marco non abbia mentito proprio su tutto.
Il trailer internazionale di Maria:
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