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Titolo originale: Salò o le 120 giornate di Sodoma , uscita: 10-01-1976. Budget: $800,000. Regista: Pier Paolo Pasolini.

Intervista | Pupi Avati svela i retroscena della sceneggiatura di Salò e l’incontro con Pasolini

14/10/2019 news di Redazione Il Cineocchio

Il regista bolognese ci ha raccontato come mai non risulta accreditato come autore del copione dello sconvolgente film del 1975, tra aneddoti simpatici e presagi di morte

pupi avati sitges 2019

Dopo averlo incontrato a Milano in occasione dell’evento Cinemarcord (il nostro video con gli aneddoti su La Casa dalle Finestre che Ridono, 8½ di Federico Fellini, Ugo Tognazzi e Katia Ricciarelli), abbiamo ritrovato Pupi Avati al Festival internazionale di Sitges, in Spagna, dove ha presentato la sua ultima fatica, il film Il Signor Diavolo (la recensione).

Nel corso dell’intervista, ci siamo concentrati sulla non troppo battuta esperienza del regista bolognese al fianco di Pier Paolo Pasolini per la stesura della sceneggiatura – dove non risulta ufficialmente accreditato – di Salò o le 120 giornate di Sodoma, film ‘maledetto’ del 1975 ispirato all’omonimo libro del marchese Donatien Alphonse François de Sade.

Salò o le 120 giornate di Sodoma film 1975 posterQuesto il dettagliato ricordo di tutta la vicenda da parte di Pupi Avati:

Il mio rapporto con Salò e l’incontro con Pier Paolo Pasolini è molto articolato e complesso. Tutto partì da un’idea di un press agent di Roma, Enrico Lucherini, di realizzare un film di genere boccaccesco, perché Pasolini aveva girato nel 1971 Il Decameron, che aveva avuto un grande successo commerciale. Pertanto, tutti si erano messi a cercare all’interno della letteratura trecentesca una qualche proposta suggestiva per realizzare altri film che avessero a che fare con sesso e violenza.

Finirono per trovare poi qualcosa di allettante nel 1700, col marchese de Sade, che all’epoca era però all’indice. Questo tipo di libri, non potendo essere venduti pubblicamente, bisognava cercarli a Piazza della Repubblica, a Roma, tra le bancarelle, sotto le quali i venditori celavano appunto tali testi proibiti. Proprio lì comprammo una copia di Le centoventi giornate di Sodoma.

Il lucidissimo regista 80enne ha quindi proseguito, spiegando come è nata la prima stesura del film:

Cominciammo così a scriverne una sceneggiatura per un film che, inizialmente, avrebbe dovuto essere diretto da Vittorio De Sisti, un regista che aveva fatto opere commerciali in precedenza [Inghilterra Nuda, Fiorina la vacca]. Mentre stavamo scrivendo, ci accorgemmo però che si stavano toccando temi molto molto delicati, e che la censura quasi sicuramente avrebbe sequestrato un film del genere. Allora proposi a Cesare Lanza, il direttore della Euro International, che finanziava il film, di rivolgerci per la regia a Sergio Citti, del quale mi aveva molto colpito Storie Scellerate del 1973. Lanza accolse la mia proposta e portò il copione a Pier Paolo Pasolini, per chiedergli se potesse convincere Citti a dirigere il film. Pasolini lesse la sceneggiatura, ma non gli piacque.

Fu allora che conobbe Pier Paolo Pasolini giusto?

Si. Pasolini disse a Lanza che gli sarebbe piaciuto leggere personalmente Le centoventi giornate di Sodoma di de Sade, ma che non riusciva a trovarlo in giro. Mi offrii così volontario per portargliene una copia. Mi recai in via Eufrate 9, suonai il campanello e venne ad aprirmi Pasolini. Lui mi chiese dove lo avessi preso e chi fossi. Gli risposi che era uno degli sceneggiatori che aveva bocciato. Dopo aver scoperto di essere un mio concittadino, mi invitò ad entrare in casa sua, fu molto gentile. Era una dimora semplice, come quella di un impiegato qualsiasi, e ci viveva con la madre e la nipote. Mi fece accomodare e cercai di impietosirlo, di piacergli, spiegandogli quanto significasse per me quella sceneggiatura. Fu allora che mi chiese se sarei stato disposto ad aiutarli qualora avessero deciso di riscriverla, visto che io avevo studiato a lungo de Sade. Naturalmente accettai.

Da lì partì la collaborazione con Pasolini e Citti, con quest’ultimo che doveva essere sempre il regista. Due volte alla settimana andavo a queste riunioni a casa di Pier Paolo Pasolini e fu un’esperienza tremenda, tremenda. Lui mi diede un’edizione dei Meridiani tutta sottolineata di I fiori del male, così che potessi interpolare nel copione di Salò i versi di Charles Baudelaire. Lui diceva cosa voleva – lo sapeva perfettamente – e io scrivevo. Per me, che sono molto cattolico, fu incredibilmente difficile scrivere questa sceneggiatura, ma ero così onorato di fare un film con lui che sorvolai. Senza contare che mi pagavano molto bene e io avevo bisogno di soldi all’epoca.

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) filmPupi Avati rivela però anche qualche momento divertente della storia delle origini di Salò o le 120 giornate di Sodoma:

Fu divertente, perché nonostante parlassimo di coprofagia e di violenza estrema, nell’altra stanza della casa c’era la madre di Pier Paolo che ci chiedeva come avrebbe dovuto cucinare le melanzane per cena! [ride]

Tornando serio, il regista parla quindi delle intenzioni di Pier Paolo Pasolini:

Lui voleva fare un film definitivo, mortuario, come il Requim di Mozart. Quasi una premonizione. Tanto che pensai che volesse chiudere la sua carriera con Salò o le 120 giornate di Sodoma. Era un film eccessivo, andava oltre la dismisura. Per quanto lui fosse una persona carina e affettuosa, il film era molto negativo già sulla carta e nella sua testa. E fu l’ultimo film in effetti, che lui non vide nemmeno mai finito. Comunque, quando finimmo la stesura del copione, la Euro International fallì e questo pregiudicò la realizzazione del film ovviamente.

Poi cosa accadde?

Un paio d’anni dopo, in un ristorante di Roma, avevo appena girato La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio, vidi a un tavolo Pier Paolo Pasolini con Laura Betti. Mi avvicinai per salutarli e gli chiese cosa stesse facendo in quel momento. Mi rispose che avrebbe dovuto girare un film sulla vita di San Paolo con Marlon Brando, che tuttavia non si sarebbe più fatto. Così gli proposi di dirigere Salò o le 120 giornate di Sodoma. Allora, gli riportai la vecchia sceneggiatura e la lasciai lì a casa sua. Non ne seppi più nulla per oltre un mese, fino a quando mi contattarono degli avvocati del produttore Alberto Grimaldi, dicendomi che volevano parlarmi.

Mi recai allora in questo studio legale, dove mi spiegarono che Grimaldi avrebbe appunto voluto produrre Salò o le 120 giornate di Sodoma, solo che la sceneggiatura era finita dentro alla situazione fallimentare della Euro e quindi non avrebbero potuto usare quei credits, tra i quali figurava naturalmente il mio nome. Se fossi stato disposto a rinunciarvi, mi avrebbe pagato un’altra volta la sceneggiatura. Ovviamente accettai! [ride]

Pier Paolo Pasolini in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) setRispetto alla sceneggiatura, ci sono differenze con il film visto poi al cinema?

Dunque, un giorno venne da me Walter Siti, colui che si è occupato dell’opera completa di Pasolini per i Meridiani, che mi portò la sceneggiatura usata sul set dalla segretaria di edizione e vidi che non era esattamente la mia. Infatti, notai che c’era un puntino dopo il numero della pagina, mentre io lo scrivevo – erroneamente – prima.

Questo significa che venne certamente ribattuta. Scorrendola, comunque, era grossomodo la stessa, quindi i cambiamenti sono stati minimi su carta. Ricordiamo poi che Pier Paolo Pasolini, come tutti i registi, i cambiamenti più grossi li faceva sul set. Ad ogni modo, nonostante io non sia accreditato, tutti ormai sanno che il copione è mio. 

A margine dell’intervista, Pupi Avati ha risposto anche ad un altro grande mistero che lo riguarda, inerente al fantomatico documentario Un Gelato al Limòn, di cui non ci sono tracce:

Si, era incentrato su Paolo Conte. Lo seguii per una settimana ad Asti. Lo cerco disperatamente. Lo girai per la RAI, ma forse lo hanno cancellato.

Di seguito il trailer di Salò o le 120 giornate di Sodoma: