Home » Cinema » Azione & Avventura » Ip Man 4: The Finale, la recensione del film di Wilson Yip con Donnie Yen negli USA

Voto: 6.5/10 Titolo originale: 葉問4 , uscita: 19-12-2019. Budget: $52,000,000. Regista: Wilson Yip.

Ip Man 4: The Finale, la recensione del film di Wilson Yip con Donnie Yen negli USA

09/02/2020 recensione film di William Maga

Attore e protagonista si ritrovano per l'ultima volta nel capitolo conclusivo della saga dedicata al leggendario maestro di Wing Chun, spingendo forte sul pedale della discriminazione razziale e regalando combattimenti furiosamente splendidi

ip man 4 film

Undici anni dopo che la sua carriera è stata potenziata e sostanzialmente definita dal clamoroso successo del primo Ip Man di Wilson Yip, il 56enne Donnie Yen è tornato per l’ultima volta a vestire i panni del gran maestro del Wing Chun in Ip Man 4: The Finale. Dopo la morte di sua moglie, a Ip Man viene diagnosticato un tumore alla testa e al collo; suo figlio Jing vuole diventare lui stesso un maestro di arti marziali, ma l’uomo vuole che frequenti invece l’università, e intuendo che la sua fine si sta avvicinando rapidamente, si reca a San Francisco per farlo iscrivere alla locale facoltà, sperando che l’espatrio gli insegni l’indipendenza. Lì incontra il suo ex studente, Bruce Lee, ora lui stesso un venerato insegnante, ma disapprovato dai più tradizionali maestri di kung fu di Chinatown per aver osato insegnare ai non cinesi.

ip-man 4 film poster Wilson YipIl più importante esponente di questi tradizionalisti è il maestro di Tai Chi, Wan (Wu Yue), a capo della Chinese Benevolent Association, la cui raccomandazione è cruciale per far accettare Ip Jing all’università. I maestri Ip e Wan si scornano sulla questione della diffusione delle arti marziali cinesi in Occidente, ma presto emerge un nemico comune: l’istruttore razzista della Marina Militare Statunitense Barton Geddes (Scott Adkins), profondamente indignato dai tentativi del soldato sino-americano Hartmann (Vanness Wu) di far includere il Wing Chun nell’addestramento dei Marine, al punto da inviare il maestro di Karate Collin (Chris Collins) a Chinatown nel tentativo di umiliare le artisti marziali cinesi e dimostrare così la loro inferiorità.

Al quarto – e ultimo – capitolo della saga, Wilson Yip e Donnie Yen hanno optato per non dare forti scossoni a una formula consolidata, eccetto il cambio di continente (e, comunque, gran parte dell’azione si svolge a Chinatown, quindi il cambiamento di panorami è minimo). A conti fatti, anzi, hanno reso Ip Man 4: The Finale una sorta di concentrato di tutti i film precedenti.

Come in Ip Man del 2008, abbiamo le arti marziali cinesi vs. karate in un ambiente militare; come in Ip Man 2, abbiamo due grandi maestri inizialmente in contrasto che si riconciliano di fronte alla minaccia razzista; e, come in Ip Man 3, abbiamo il gran maestro che deve fare i conti con l’invecchiamento, ritrovandosi trova faccia a faccia con la mortalità e i suoi fallimenti come padre e marito.

È il paradosso di questa serie, che più persone si riuniscono nella scrittura della sceneggiatura, meno sono stimolanti e meno generalizzate le narrazioni. I primi due film, meravigliosamente lineari e focalizzati, sono stati scritti da Edmond Wong e Chan Tai Lee. Il terzo film, che aveva una struttura più maldestra e una inutile – sebbene divertente – divagazione (ovvero Mike Tyson), aveva aggiunto Jill Leung alla squadra. Ora, Hiroshi Fukazawa l’ha reso un quartetto di sceneggiatori, con il focus definitivamente  andato a farsi benedire: una sottotrama coinvolge la rivalità tra alcune ragazze pon pon in una scuola superiore, davvero l’ultima cosa che qualcuno vorrebbe vedere in un film con Ip Man.

Un altro fattore determinante alla carenza di un punto focale in Ip Man 4: The Finale è il Bruce Lee di Chan Kwok Kwan. Il suo è sicuramente un ruolo più importante rispetto al terzo capitolo, ma la maestosa statura del Piccolo Drago nella storia delle arti marziali significa che la sua presenza in un film può funzionare solamente come protagonista, come cameo o almeno come personaggio di supporto molto forte. Qui, non è nessuno di questi.

Sebbene l’interprete sia perfetto come nel ruolo e sia al centro di un combattimento superbamente coreografato in un vicolo contro il terribile Mark Strange (Bodyguard: A New Beginning) la sua presenza è puro fan service, quasi irrilevante per la narrazione, semplice balsamo per le ferite di coloro che hanno ritenuto ‘blasfema’ la nota scena di C’era una volta … a Hollywood di Quentin Tarantino (la recensione). È una ‘comparsa di lusso’ e il suo rapporto con Ip Man, che già in termini mitici sarebbe sufficiente per alimentare una trilogia a sé stante, è a malapena esplorato.

donnie yen ip man 4 filmAnche la sottigliezza del messaggio latita in Ip Man 4: The Finale. E il fatto che la maggior parte dei personaggi esistano principalmente come archetipi per chiarire un punto non è così problematico quanto la sfacciata e ridicola rappresentazione della discriminazione razziale nei confronti della popolazione cinese in America.

Se pensavate che il razzistissimo Twister di Darren Shahlavi in Ip Man 2 fosse irritante, aspettate di assistere alle interpretazioni letteralmente schiumanti di rabbia al limite del cartoonesco di Scott Adkins e Chris Collins (quasi una parodia del Sergente Maggiore Hartman di Full Metal Jacket).

Odiano i cinesi, e gli sceneggiatori si assicurano che lo spettatore non ne possa dubitare nemmeno per un secondo, infilando nelle loro bocche battute ricche di insulti e denigratorie ogni volta che sono in scena. Tra l’altro, a pensarci bene ha anche pochissimo senso che questi rabbiosi razzisti siano maestri del karate: che tipo di razzista bianco esalterebbe le virtù di un’arte marziale giapponese mentre parallelamente sputa il suo odio su tutto ciò che è asiatico?

Le contraddizioni non finiscono qui: se hai intenzione di denunciare il razzismo, perché rendere tutti i personaggi caucasici nella migliore delle ipotesi ignoranti, nella peggiore degli psicopatici assassini? Tutto ciò deruba Ip Man 4: The Finale di parte del suo potere, quando finalmente arriva il momento per Ip Man di correggere i torti subiti, e non rende giustizia a coloro che hanno sofferto davvero di questo razzismo nella vita di tutti i giorni.

In ogni caso, Donnie Yen nei panni del gran maestro è eccellente come sempre: intriso di atarassico carisma, il potere delle arti marziali che pulsa con il dubbio più umano, stanco ma risoluto. Fa solo un po’ strano che interpreti un uomo ormai settuagenario con la stessa faccia e il sobrio atletismo dei film precedenti. Tuttavia, la saga di Ip Man ha sempre privilegiato il lato leggendario piuttosto che i fatti, e se questa fosse mera vanità da parte della star, è comunque mitigata dalla sua volontà di inscenare anche le debolezze dell’uomo: dopo il ritratto del terzo film di profondo rammarico per aver trascurato la moglie troppo spesso, in Ip Man 4: The Finale assistiamo al suo dolore per essere un padre imperfetto – un’altra sottotrama commovente che avrebbe meritato di essere esplorata di più.

Mark Strange e Danny Chan Kwok-Kwan in Ip Man 4 (2019)Naturalmente poi, quando si parla di azione, c’è molto per cui lustrarsi gli occhi. Il tradizionale combattimento “uno contro molti” è assente questa volta, un gradito riconoscimento all’età avanzata del protagonista.

La summenzionata scaramuccia di Bruce Lee è una gioia da vedere, e i momenti salienti successivi includono l’incontro tra il Wing Chun di Ip Man contro il Tai Chi di Wan, magnifico ma troppo anticipato; Chris Collins che fa violentemente irruzione nelle celebrazioni del festival di metà autunno e arriva a rimpiangerlo amaramente – il cliché degli altri maestri che vengono sconfitti prima che Ip Man prenda in mano la situazione per salvare il loro onore è logoro, ma ancora assolutamente elettrizzante – e, naturalmente; l’attesissimo scontro finale tra Donnie Yen-Scott Adkins è furiosamente eccitante e forse anche la lotta più brutale dell’intero franchise.

Peccato che la posta in gioco emotiva non sia così elevata come avrebbe dovuto essere. Non è avventato dire che il dittico che ha visto Sammo Hung come action director (vale a dire i primi due film), sia il più memorabile e iconico, ma il subentrato Yuen Woo Ping ha ugualmente inventato scontri mozzafiato. Ogni film di Ip Man ha inoltre una figura capace di rubare la scena: Fan Siu Wong nel primo, il summenzionato Sammo Hung nel secondo, Max Zhang nel terzo; qui è Wu Yue.

Se si riesce a sorvolare sul fatto che sia sostanzialmente lo stesso personaggio di Sammo Hung in Ip Man 2, vale a dire un arrogante maestro rivale umiliato da Ip Man che si piega al razzismo occidentale prima di mettere la sua vita in pericolo per salvare l’onore della sua gente, Wu Yue è straordinariamente vibrante e carismatico, e altrettanto degno di uno spin-off come anche Max Zhang lo era stato per Ip Man 3.

Chris Collins e Scott Adkins, al di fuori della selvaggia bellezza dei loro combattimenti, non possono elevarsi al di sopra della caricatura dei loro personaggi, e mentre è bello rivedere gli abitué della serie Kent Cheng e Lo Meng, sarebbe stato ancora meglio avere notizie di altri personaggi chiave come Fan Siu Wong o Simon Yam. Il direttore della fotografia preferito da Johnnie To, Cheng Siu Keung, segue in Ip Man 4: The Finale i toni lussureggianti già usati dal collega Poon Hang San per Ip Man 2, e il tema musicale indelebile del compositore Kenji Kawai è più che mai efficace, soprattutto in un montaggio finale con le scene più iconiche del franchise. E iconico questo franchise lo è, in effetti.

Di seguito trovate il full trailer internazionale (con sottotitoli inglesi) di Ip Man 4: The Finale