Voto: 6/10 Titolo originale: 사마귀 , uscita: 26-09-2025. Regista: Lee Tae-sung.
Mantis: la recensione dello spin-off di Kill Boksoon (su Netflix)
29/09/2025 recensione film Mantis di Gioia Majuna
Un film solido ma meno incisivo dell'action del 2023, che conquista soprattutto grazie alla tensione tra Han-ul e Jae-yi

Nel 2023 Kill Boksoon (la recensione) ha sorpreso il pubblico internazionale unendo l’intensità di un action con la profondità di un dramma familiare, ridefinendo il cinema di genere coreano e imponendosi come uno dei più grandi successi Netflix.
La nascita di uno spin-off come Mantis era quindi quasi inevitabile: il mondo degli assassini, destabilizzato dalla morte di Min-kyo e dal crollo della MK Entertainment, offriva spazio per nuove narrazioni. Ma quanto riesce davvero questo film a reggere il confronto con l’originale?
Mantis si presenta come un’opera di transizione: Han-ul, alias la Mantide, torna in Corea con la convinzione di potersi imporre grazie al proprio talento. La sua arroganza, però, si scontra con un mondo spietato, in cui i giovani killer faticano a ritagliarsi uno spazio e le vecchie regole non valgono più. Accanto a lui c’è Jae-yi, amica d’infanzia e assassina con un passato di esclusione e di umiliazioni. Qui emerge il vero cuore del film: la tensione emotiva e professionale tra i due, fatta di attrazione, rivalità, rabbia repressa e improvvise esplosioni di violenza.
Se Kill Boksoon aveva in Gil la sua eroina assoluta, Mantis è più corale. Non si limita a seguire Han-ul, ma intreccia la sua parabola con quella di Jae-yi e del mentore Dokgo, figura ambigua e riflessiva che richiama il legame spezzato tra maestro e allievo. Questa scelta amplia il respiro della narrazione, mostrando il passaggio di testimone tra vecchia e nuova generazione di assassini. Tuttavia, la maggiore coralità indebolisce la compattezza drammatica che rendeva Boksoon così memorabile.
Dal punto di vista dell’azione, Mantis mantiene un buon livello tecnico: le coreografie sono pulite, i combattimenti sfruttano armi simboliche – le lame curve di Han-ul, la spada di Jae-yi, i bastoni di Dokgo – e ogni scontro ha una funzione narrativa. Ma manca quel guizzo, quella scintilla di originalità che in Kill Boksoon trasformava ogni sequenza in un momento iconico. È un’azione efficace, ma meno incisiva.
Il punto più riuscito del film resta la dinamica tra Han-ul e Jae-yi. Park Gyu-young regala una performance magnetica, oscillando tra frustrazione e desiderio di affermazione, fino all’inevitabile rottura con l’amico-rivale. È lei a incarnare la vera evoluzione del racconto, superando in forza e intensità il protagonista maschile, che invece si muove spesso al limite della caricatura con la sua arroganza fragile.
Non mancano però i problemi: alcuni personaggi secondari, come il giovane investitore Benjamin, appaiono superflui, mentre il ritmo conosce momenti di stasi che smorzano la tensione. Inoltre, la riflessione sul precariato dei giovani killer e sulla crisi del sistema di potere criminale resta accennata, senza il coraggio di affondare davvero nella critica sociale.
Eppure, Mantis riesce a non collassare sotto il peso del paragone con Kill Boksoon. Non è un semplice prodotto derivativo, ma un tassello che arricchisce il mondo narrativo già creato, mostrando come il vuoto lasciato da Boksoon abbia generato nuove storie e nuove lotte. Dove il primo film affrontava il conflitto tra maternità e violenza, Mantis riflette su ambizione, amicizia e rivalità, senza dimenticare la fragilità nascosta dietro il volto spietato degli assassini.
In definitiva, se Kill Boksoon rimane un’opera più solida e potente, Mantis trova la sua dignità nell’approfondire i rapporti umani che si celano dietro i colpi di lama. È meno spettacolare, meno incisivo, ma offre uno sguardo utile e complementare su un universo narrativo che ha ancora molto da dire.
Di seguito trovate il full trailer internazionale di Mantis, su Netflix dal 26 settembre:
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