Voto: 4/10 Titolo originale: Ghost Ship , uscita: 25-10-2002. Budget: $35,000,000. Regista: Steve Beck.
Recensione story: Nave Fantasma di Steve Beck (2002)
06/10/2025 recensione film Nave fantasma di Gioia Majuna
Gabriel Byrne era al centro di un horror dall'incipit memorabile, ricco di atmosfera marittima e cliché prevedibili

Nave Fantasma del 2002 è il classico esempio di come un’idea ad alto impatto visivo possa naufragare quando ciò che la circonda è prevedibile. L’apertura, divenuta celebre, è un gioiello di crudeltà coreografata: la serata di gala su un lussuoso transatlantico anni Sessanta, un cavo d’acciaio che si tende, il taglio trasversale che falcia i corpi e lascia in vita solo una bambina. È una sequenza gorgogliante di eleganza macabra, goliardica e scioccante, che promette un film feroce e ingegnoso. Ma quella promessa resta quasi tutta lì.
Dal presente, la storia segue l’equipaggio dell’Arctic Warrior, recuperatori di relitti guidati dal capitano Murphy (Gabriel Byrne) e dalla sua seconda Epps (Julianna Margulies). Il ritrovamento del piroscafo Antonia Graza alla deriva nel Mare di Bering accende la miccia del racconto: corridoi ammuffiti, saloni corrosi dalla ruggine, parvenze di feste che tornano a vivere per un istante, apparizioni che blandiscono, minacciano, confondono. La fotografia filtra l’aria salmastra con riflessi d’acqua che scompongono i colori, il design del relitto è sontuoso nella decomposizione, i momenti di “ricostruzione” dei fasti perduti hanno il giusto magnetismo spettrale. Da questo lato, “Nave Fantasma” possiede una coerenza plastica e luministica che sostiene a lungo l’atmosfera.
Il problema è tutto nel resto. La scrittura procede per sagome: il capitano segnato dall’alcol, la professionista tosta destinata a resistere più degli altri, i comprimari col destino scritto in fronte. Anche la gestione della paura è scolastica: il film frammenta i brividi alternando mini-spaventi su personaggi diversi, livellando la tensione anziché concentrarla. Quando arriva la grande spiegazione – un mosaico retrospettivo che affida alla bimba-spirito il compito di illustrare la strage e i tradimenti – la messa in scena si accende, ma il contrappunto musicale “modaiolo” stride con il periodo rievocato e la catena causale resta piena di buchi. Perché certi spettri sono vendicativi e altri “collaborativi”? Perché il cavo recide in punti diversi corpi alla stessa altezza? Da dove salta fuori all’occorrenza attrezzatura che il film non ha preparato? Più che ambiguità fertile, sembra disattenzione.
Il rovescio mitologico – il nome dell’“informato” che conduce i recuperatori alla nave, il suo ruolo da traghettatore d’anime, l’idea dei lingotti come amo per l’avidità dei vivi – potrebbe essere una mossa interessante se non fosse trasparente fin dall’inizio. Il cognome parla quasi da solo, l’allegoria della brama come varco per il male è esposta con la sottolineatura dell’evidenziatore, e il colpo di coda finale con l’ambulanza e il nuovo imbarco appare più come strizzata d’occhio che come esito necessario.
Nave Fantasma vuole essere casa stregata sull’acqua: il trasferimento funziona sul piano scenografico, meno su quello drammaturgico. L’isolamento che in un relitto dovrebbe diventare incubo inevitabile qui sfuma spesso in passeggiate senza scopo tra ponti e stive, con personaggi che parlano di lavoro più che lavorare, nell’attesa che l’azione riprenda.
Eppure, qua e là, l’immaginario brilla. Il salone da ballo che si ricompone nella mente di un membro dell’equipaggio; la bambina che guida Epps tra frammenti di memoria; le casse d’oro come maledizione luccicante. Sono intuizioni che, se innestate in una struttura più nervosa, avrebbero potuto imprimere un altro passo al racconto. Invece l’andamento è quello di molti horror dei primi Duemila: patina da videoclip, battute di alleggerimento a scoppio ritardato, colonna sonora contemporanea che s’impone su epoche e ambienti fino a schiacciarli.
Il cast fa il possibile. Byrne e Margulies hanno carisma e cercano di dare gravità a caratteri disegnati con la riga, Karl Urban e Isaiah Washington riempiono lo spazio con mestiere, ma restano pedine. La protagonista è l’unica a cui il film conceda una traiettoria riconoscibile – e anche qui la riconoscibilità è la parola chiave: tutto ciò che riguarda Epps si intuisce con largo anticipo, dalla resistenza fisica alla vocazione morale.
Resta allora da misurare Nave Fantasma per ciò che funziona davvero: l’incipit, un paio di visioni d’effetto, l’architettura del relitto. Troppo poco per reggere un lungometraggio che ambisce a fondere brivido, mito e pulp marittimo. Il confronto implicito con i capisaldi del filone claustrofobico sottoterra o sottocoperta mette a nudo la povertà dell’impalcatura: senza un crescendo ben calibrato e regole interne che diano senso all’orrore, il film si affida a singole immagini forti e a un epilogo furbesco. A molti basterà; a chi cerca un vero brivido costruito, una tensione che stringe e non molla, resterà la sensazione di un’occasione mancata.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Nave Fantasma:
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