La possessione demoniaca assume a sorpresa un agghiacciante volto nelle ispirate mani del regista uruguaiano
Difficile è di questi tempi guardare ai film di esorcismi senza ricadere tristemente in una serie di cliché che relegano alla copia della copia le infinite filiazioni dal medesimo capostipite, L’Esorcista di William Friedkin (le sue recenti dichiarazioni dal Festival di Sitges sul prossimo Jack the Ripper, sui film di supereroi e sulla morte del cinema americano). Eppure a fornire una rilettura classica, rigorosa, e al contempo del tutto inedita è il regista uruguaiano Guillermo Amoedo, che nel suo terzo lungometraggio (dopo Retorno del 2010 e The Stranger del 2014) intitolato El Habitante, riesce a fondere diverse fonti ed elementi tematici, creando un’opera coesa e terrificante, ma soprattutto ridando una nuova veste, più introspettiva che vuotamente spettacolare, a quelle convenzioni di sotto-genere che ormai avevano perduto ogni vitalità.
Connotato da diversi cambi di direzione e colpi di scena decisamente inaspettati lungo tutto lo sviluppo, El Habitante lavora su una complessa stratificazione estetica e di significazione, composta di sottotrame ciascuna che acquisisce una sua propria veste formale. Anzitutto c’è l’effrazione notturna e la sua svolta paranormale; molti sono già a tale primo stadio i sentori che ci sia qualcosa di malvagio, di minaccioso, nella magione. In qualche modo nelle sequenze iniziali simile a Man in the Dark di Fede Álvarez, le protagoniste, tutt’altro che eroine senza macchia, cercano di mettere a segno un colpo che credono semplice, ma trovano a loro discapito un avversario inaspettatamente insidioso, là era un cieco decisamente violento ed addestrato, qui addirittura un demone d’alto grado nelle gerarchie infere. Sapiente è d’altra parte il regista nel costruire la tensione ricorrendo a molteplici strumenti per delineare la continua sensazione di essere immersi in una in una realtà sinistra su cui aleggia una sinistra entità. Il demoniaco pervade infatti ogni stanza, ogni parete, ogni centimetro della casa oltremodo inquietante e catturata da una fotografia estremamente cupa, illuminata da luci giallastre, che ricordano per tono quella emessa dalle candele, dando una sensazione di fosca o funerea ritualità. Poi ci sono le ombre bieche, silhouette nere e vaghe che prendono vita nell’oscurità ed errano silenti, seguendo silenziose e inesorabili le protagoniste. La loro estrema suggestione – fatto condiviso da buona parte del film – risiede nell’indefinitezza, rifiutando quegli effetti speciali immediati, banalmente concreti che molto vanno di moda nei prodotti hollywoodiani ad alto budget alla L’evocazione – The Conjuring, ma risultando certo molto più disturbante proprio perché solo suggerite agli occhi dello spettatore, che provvederà con le sue peggiori paure a dargli forma.
Non solo, in un sofisticato iter viene più volte reiterata l’iconografia biblica della mefistofelica tentazione, dal quadro che apre il film alle sue molteplici libere variazioni su tema: il Diavolo sussurra all’orecchio le sue lusinghe che si cristallizzano dalle parole alle immagini in una diabolica sinestesia. Approccio classico, filologico e al contempo visionario e originale, l’idea di rendere la presenza di un demone perlopiù tramite l’emisfero della mente pervaso dalla Tenebra, anzi che dalle sue concrete e – almeno così si crede – scioccanti manifestazioni fisiche, realizza sequenze ben più inquietanti, dimostrando che stia nell’idea, nella capacità di renderla visivamente, e non in pirotecnici effetti speciali, l’epicentro del terrore di un horror.
Se già il copione fornisce difatti un ottimo materiale su cui lavorare, ma il merito maggiore è della stupefacente performance della giovanissima Cubria: le urla, le convulsioni, ma soprattutto il sorriso oltremodo agghiacciante, con la testa lievemente reclinata, quando rivela l’ennesimo raggelante segreto con demoniaca onniscienza, fa letteralmente venire i brividi! Infine c’è la diegesi nel complesso, la sceneggiatura sempre scritta da Amoedo che è cosparsa di svolte del tutto inattese, di cambi di direzione che tengono il pubblico – anche il più smaliziato – avvinto dalla storia. Il finale in ultimo è il degno completamento di tale horror ambizioso e paradossale e, pur essendo coerente con alcuni indizi che lo anticipano, riesce ad essere del tutto inaspettato.
In El Habitante, Amoedo è stato capace di dare un nuovo e terrificante volto al demoniaco, che fa della della perversione diabolica l’asse portante di un’impalcatura profondamente inquietante tra immagine e parola.
Di seguito il trailer originale di El Habitante: