Voto: 6/10 Titolo originale: Sebelum Iblis Menjemput , uscita: 09-08-2018. Regista: Timo Tjahjanto.
May the Devil Take You | La recensione del film horror di Timo Tjahjanto
10/10/2018 recensione film May The Devil Take You di Sabrina Crivelli
Dopo la parentesi action di Headshot, il regista indonesiano torna all'horror con una pirotecnica incursione nel sottogenere delle case stregate, avvalendosi di un'entità demoniaca e assetata di sangue alla Sam Raimi
In molti tra gli amanti del cinema asiatico, e non solo, avranno sentito parlare dei Mo Brothers, pseudonimo dietro cui si celano Kimo Stamboel e Timo Tjahjanto; quando è arrivata la notizia che il secondo fosse in procinto di presentare al Festival di Sitges May the Devil Take You (Sebelum Iblis Menjemput), horror da lui anche sceneggiato, l’attesa si è presto fatta irresistibile. Memori, difatti, dell’action viscerale Headshot (2016), del cruento Macabre (2009) e sopratutto del clamoroso La notte su di noi, è stato immediato l’interesse di vedere come il regista indonesiano avrebbe declinato il convenzionale topos della casa stregata e certo il risultato non è privo di spunti, anche se a tratti un po’ sconnesso.
La storia si apre con Alfie (Chelsea Islan), orfana di madre che vive di espedienti, la quale viene chiamata dalla seconda moglie Laksmi (Karina Suwandhi) del padre Lesmana (Ray Sahetapy) in ospedale perché questi è stato colto da un terribile, quanto misterioso male che lo costringe in uno stato semi comatoso. Dopo un primo, burrascoso incontro con i fratellastri Maya (Pevita Pearce), Ruben (Samo Rafael) e la piccola Nara (Hadijah Shahab) e in seguito alla morte del genitore, decide quindi di recarsi nella vecchia casa in mezzo ai boschi dove era cresciuta e che ora la matrigna vuole mettere in vendita (deve coprire le spese ospedaliere del marito caduto in disgrazia).
Tuttavia, mentre sta rivivendo alcuni tragici ricordi legati alla sua vera madre, gli altri famigliari sopraggiungono e si trova quindi obbligata a trascorrere del tempo con loro. La serata, già tesa per gli attriti tra Alfie e Laksmi, degenera, quando la donna ordina al figlio di aprire una porta serrata con un lucchetto e piena di strani sigilli, in cui è celato un terrificante spirito maligno che ha atteso a lungo per riscuotere il pagamento di un fosco patto siglato anni prima.
Molti sono gli elementi che si combinano in May the Devil Take You e non tutti riescono a ottenere il giusto rilievo. Anzitutto c’è Alfie; più volte ci vengono mostrati frammenti del suo passato, reminiscenze della morte mai metabolizzata – comprensibilmente – della madre, suicidatasi mentre lei era ancora una bambina, dopo che il padre è fuggito con un’altra donna e si è fatto una nuova famiglia. Il lato fortemente drammatico, messo in scena in un girato luminoso e dai contorni sfocati, non naturalistico, tange in modo piuttosto superficiale l’interiorità del personaggio, di cui però poco è approfondito. La vediamo inizialmente che borseggia un uomo su un bus, fatto che suggerisce una vita ai margini, ma poco viene spiegato come abbia fatto a sopravvivere sinora. Poi la vediamo in ospedale, con la matrigna, subito presentata come una fredda calcolatrice in cerca solo di denaro, e con i fratellastri.
Tra loro c’è un palese attrito, ma anche qui non c’è dato molto sapere di quali ne siano le premesse. E’ venuta in contatto con loro in passato? O li odia perché li ritiene colpevoli di ciò che è successo tra i suoi genitori. E loro in che rapporto sono con lei? Uno degli elementi fondamentali è, d’altra parte, quella dei rapporti che intercorrono tra i vari membri di questo nucleo involontariamente ricongiunto e palesemente disfunzionale. Eppure, tale aspetto emerge solo da qualche accesa discussione, un dato di fatto che però non implica ulteriori sfumature nei dialoghi. Più chiara è invece la parabola di Lesmana, prima toccato da una straordinaria fortuna (le origini sono soprannaturali …), poi caduto improvvisamente in disgrazia, fallito economicamente e improvvisamente ammalatosi gravemente.
Se ignoriamo tuttavia la costruzione del lato più tragico, intimistico, il resto di May the Devil Take You in effetti funziona. Dopo il breve antefatto, non sono trascorsi molti minuti che Timo Tjahjanto, senza perdere tempo, ci conduce al cuore orrorifico del discorso. Un po’ come in La Casa di Sam Raimi, che ricorda molto in più passaggi, una fosca entità abita i sotterranei della fatiscente proprietà e, una volta tolti poco saggiamente gli amuleti che la tenevano dentro imprigionata (almeno in parte, visto che ben prima si mostra ad Alfie), è libera di emergere dalle tenebre e terrorizzare tutti quanti.
Il risultato? Una successione di pirotecnici assalti demoniaci che implicano una rocambolesca possessione con tanto di fuga, apparizioni sinistre di fantasmi mostruosi e dai denti aguzzi, fughe nel bosco di notte, letti che si muovono, luci della stanza che si accendono e spengono in riprese frenetiche, teste che saltano e bambole voodoo utilizzate per spezzare braccia e gambe alla sfortunata vittima di turno.
Le idee certo non mancano in May the Devil Take You. La narrazione potrà non essere perfettamente limata o coesa, gli eventi potranno non essere preparati con la giusta attenzione, alcuni dettagli potranno qua e là essere lasciati in sospeso, ma se non si è troppo puntigliosi ci si potrà far trasportare da questo fiume di eventi sempre più inventivi, che lasciano straniati e stupiti gli spettatori quanto i personaggi in scena. Ottima è l’atmosfera costruita tra interni illuminati di una tetra luce giallastra ed esterni bui e battuti da una pioggia incessante. Gli effetti pratici, a tratti forse un po’ forse troppo retrò (in particolare il lato prostetico e il trucco delle entità paranormali), ma gustosi, conferiscono in ultimo un tocco di brio in più, e non manca una discreta dose di sangue e violenza grafica. Unica grande pecca, forse per eccesso di ingenuità, è l’uso del fuoco, che inizialmente è realizzato in totale CGI (e purtroppo si vede).
In definitiva, May the Devil Take You (che finirà nel catalogo di Netflix dal 15 novembre), pur non contenendo una sofisticata analisi della sfera emotiva – non è certo un indie horror lirico o dai toni sinistri e/o amari -, ma gli estimatori di un certo cinema anni ’80 del terrore, e di Sam Raimi nello specifico, con ogni probabilità vi troveranno più di un motivo per apprezzarlo. Senza contare alcuni jumpscare ben congegnati e predisposti proprio nei momenti giusti.
Di seguito trovate il trailer internazionale:
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