Voto: 6/10 Titolo originale: אני לא מאמין, אני רובוט! , uscita: 06-08-2015. Regista: Gal Zelezniak.
[recensione] OMG, I’m a Robot! di Tal Goldberg e Gal Zelezniak
18/01/2017 recensione film OMG, I'm a Robot! di Sabrina Crivelli
La pellicola d'esordio del duo israeliano proietta lo spettatore in una parodia sci-fi nostalgica del mondo dei robot, divertendo con spassose trovate comico-demenziali
Il nostalgico gusto dei millennials ha influenzato, negli ultimi anni, parecchio l’estetica filmica, non è certo un mistero. Dalla serie evento Stranger Things a Turbo Kid, quella fascinosa patina sci-fi molto 80s, nelle sue più svariate declinazioni, ha invaso il piccolo come il grande schermo, soddisfacendo così la voracità di quel pubblico che a tal periodo era ancorato da reminiscenze infantili. Moda applicabile ad ogni lido del globo terracqueo, non fa eccezione la cinematografia israeliana, che ci regala un piccolo e inventivo lusus, OMG, I’m a Robot! di Tal Goldberg e Gal Zelezniak, film indipendente che a un budget limitato contrappone a contromisura una fervida creatività e strizza l’occhio con ironia ad alcuni cult che noi tutti amiamo.
Anzitutto, come il titolo fa presagire, il tema trattato è il mondo dei robot, con immediato richiamo a una serie di modelli celebri. Nella fattispecie si tratta delle peripezie di un giovane e sensibile nerd, Danny Bernstein (Yotam Ishay), che lavora in una posizione non ben chiarita in una società specializzata in sviluppo di nuove tecnologie, la hi-tech che, tra i diversi prototipi sviluppati si occupa di armamenti, come lascia intendere il breve e pirotecnico epilogo in cui quello che scopriremo essere il Presidente dell’azienda ci mostra la “arma definitiva”, una sorta di pistola fotonica che polverizza il bersaglio. Dunque lo sfortunato protagonista, sovente vessato dai bulli, è lasciato d’improvviso dalla bella fidanzata Noa (Hili Yalon), per la sua troppo prorompente emotività, ma l’afflitto innamorato non si da per vinto e continua a cercarla per mesi, otto per essere precisi, senza avere risposta, finché giunge il momento di momento del riscatto. Ormai in totale crisi depressiva lo sventurato opta per il suicidio, un senechiano taglio delle vene, ma al momento in cui procede con il gesto estremo scopre che dietro l’epiderma si cela uno scheletro di metallo!
Sequenza citazionista, immediatamente viene in mente quell’iconico passaggio di Terminator 2 – Il giorno del giudizio (Terminator 2: Judgment Day) in cui Arnold Schwarzenegger mostrava la sua anima in metallo al giovane e incredulo John Connor (Edward Furlong), con cui OMG, I’m a Robot! instaura così un rapporto di parodiata filiazione. Non solo, avvicinandoci all’epilogo, del medesimo modello viene ripreso quel memorabile occhio rosso, che dalla scorza antropomorfa spunta una volta che viene lesa la superficie, rivelando un nucleo non umano.
Come il visionario I’m a Cyborg, But That’s OK (Cyborgjiman gwaenchanh-a) di Park Chan-wook, anche in questo caso abbiamo quindi un eroe in parte meccanizzato che si cimenta in rocambolesche avventure sviluppate in maniera sempre più surreale. Tuttavia, rispetto all’opera sovracitata del regista della trilogia della vendetta, quivi la componente assurda è tenuta più sottocontrollo e sostituita da un lato più eminentemente comedy romanticheggiante, delineando un personaggio vicino a quelli intepretati da Ben Stiller, alla Tutti pazzi per Mary (There’s Something About Mary). Nello specifico, dopo una breve euforia dovuta alla scoperta della sua natura sovrumana a suon di serate un discoteca e sveltine, il ricordo della fidanzata torna a dolere, e Danny decide di usare la sua nuova e decisamente cool condizione per riconquistar la sua diletta, quando scopre che è stata rapita. Da questo punto inizia una grottesca e ilarizzante Rescue Mission perpetrata da un imbranato e occhialuto supereroe, che lancia un letale raggio fotonico blu alla Iron Man, che ha come mascotte una versione rimaneggiata e antiquata di R2-D2 e si batte con dei temibili Robot Ninja, che al posto della testa hanno incappucciati schermi ovoidali con sopra un evocativo punto esclamativo, per giungere infine al villain di turno, il quale si trincera in una sorta di esoscheletro, che rimanda a un mix tra un Transformer ed un Enforcement Droid 209 (che trae spunto ancora una volta dai classici anni ’80, ossia da Robocop).
Se sono indubbie inventività e coerenza nel rimaneggiamento di un precedente bacino visivo, per completezza è necessario citare altresì la discesa in un insolito cunicolo delimitato da neon che ricorda fortemente Tron di Steven Lisberger, meno coeso e lineare è lo sviluppo, la trama stessa, che pare più tesa a fornire uno spunto per un’avventura nel rimpianto e idilliaco emisfero iconico passato, che a delineare una sensata storia con un inizio e un epilogo. Le motivazioni, gli sviluppi psicologici e le azioni dei personaggi stessi rispondono il più delle volte a un non-sense che esula dal comico e approda nel paradosso: senza andare troppo a fondo per evitare eccessivi spoiler, in sequenza assistiamo a un pargolo concepito da una donna e un robot che dovrebbe essere gettato nello spazio come mente di un satellite a difesa di un russo con manie di persecuzione… Insomma, le incursioni nell’assurdo non mancano e non si sprecano le spiegazioni.
Appurato questo, se le quisquilie in termini di diegesi non vi tangono, al comparto visivo, già incensato, si aggiunge l’irresistibile humor un po’ dark, un po’ demenziale di cui è intriso il copione di OMG, I’m a Robot! (scritto sempre da Goldberg e Zelezniak), nonché una buona verve comica di Ishay, a cui si aggiunge un’ottima spalla Tzahi Grad, che quivi incarna il peculiare presidente della Hi Tech in piena crisi matrimoniale. Seppure meno riuscite infine siano le performance dei due antagonisti, un’inespressiva femme fatale e un ingegnere russo dalle mire non proprio chiarissime, nel complesso il film di Goldberg e Zelezniak diverte e intrattiene, rappresentando un’ottima prima prova dei due registi esordienti.
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