Voto: 8/10 Titolo originale: Sonatine , uscita: 10-04-1993. Regista: Takeshi Kitano.
[Imago Nipponis] Sonatine di Takeshi Kitano
25/05/2017 recensione film Sonatine di Attilio Pittelli
Il film del 1993 origina la dialettica del suicidio kitaniano, in cui la sublimazione del Cinema stesso avviene, così, attraverso l’annullamento del profilmico
Con Sonatine (1993; 94’), Takeshi Kitano continua il suo iter all’interno della violenza umana. La proliferazione delle scene cruente segue silenziosi primi piani dei personaggi che ne sono carnefici e osservatori. Il film si predispone così ad essere l’inizio di un amore patologico verso la violenza, peculiarità essenziale dell’uomo contemporaneo, fino a diventarne sentimento decantato nel finale suicida.
Questo discorso viene inserito all’interno di un’ulteriore sperimentalismo spaziale: Kitano contrappone l’infinità del mare a inquadrature fisse, in cui i giovani scagnozzi mangiano in diverse stanze, la quale impostazione ricorda i dipinti giotteschi della Cappella degli Scrovegni di Padova.
Le citazioni al cinema di Akira Kurosawa e il desiderio di inserire costumi occidentali rendono la pellicola esempio di modernismo cinematografico; la camera prosegue lentamente a scoprire, quasi fosse un pennello, le vicende dei protagonisti i quali, segregati in una casupola sulla spiaggia, pensano solamente a giocare e divertirsi.
L’abbandono del contesto sociale metropolitano rappresenta quindi in Sonatine una regressione fino all’infanzia, in cui ogni oggetto diventa lo strumento per il gioco1. All’interno di questa dimensione, quasi pre infantile2, si inserisce l’elemento femminile; anch’esso regresso fino all’infanzia, ella entra dentro la cerchia maschile attraverso uno stupro mancato3. La nudità, il pudore e, quindi, l’amore verranno visti dallo spettatore attraverso un occhio privo di filtri, quasi come se si rivivesse un ritorno all’età bucolichiana.
La macchina da presa arriva, però, a deporre la volontà di narrare un idillio, poiché desidera annientare definitivamente i protagonisti. L’invasione del reale, in questo caso del sicario di un’altra famiglia yakuza, sarà il deus ex machina dell’egoismo stesso del Cinema: l’uccisione sequenziale degli scagnozzi di Kitajima (Tonbo Zushi) provocherà la distruzione di entrambi gli insiemi (reale e antisociale)4. L’occhio stesso del regista concede così a Beat Takeshi di suicidarsi attraverso la sublimazione narcisistica, che porta non al mancamento dell’attore, bensì alla fusione fra Occhio e Corpo.
Si potrebbe dire che con Sonatine, Takeshi Kitano permette all’attore di deterritorializzarsi e di deporre il desiderio5, fino a divenire corpo senza organi attraverso l’annichilimento suicida concesso dal regista stesso.
1 La pistola, ad esempio, viene usata per puro scopo ludico, decontestualizzandola da un possibile uso violento.
2 La volontà di vivere all’interno di un sistema viene surclassata dalla necessità di esperire un qualcosa di fenomenico.
3 E non vi poteva essere altro modo.
4 Lo scontro fra questi due insiemi è molto ricorrente nel cinema di Kitano.
5 In questo caso inteso come espressività.
Il trailer di Sonatine:
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