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Voto: 9/10 Titolo originale: Die Hard , uscita: 15-07-1988. Budget: $28,000,000. Regista: John McTiernan.

Recensione story | Die Hard – Trappola di Cristallo di John McTiernan

23/12/2019 recensione film di Francesco Chello

Nel 1988 arrivava nei cinema il film che avrebbe clamorosamente lanciato la carriera dell'improbabile Bruce Willis, un action movie atipico, diretto con mano solida, umorismo insolito e un memorabile villain

Bruce Willis in Die Hard (1988) trappola

In redazione mi hanno chiesto di scrivere un pezzo su un classico di Natale. Un film che rispecchiasse in pieno l’atmosfera che si respira in questi giorni. La scelta è stata facile: vigilia di Natale, bellissima festa in un lussuoso grattacielo, le note di ‘Let it Snow! Let it Snow! Let it Snow! sui titoli di coda. Era praticamente scontato che finissimo a parlare di Die Hard. O No? Vabbè, NOW I HAVE A KEYBOARD. HO-HO-HO!

Oltre ad essere un classico natalizio, Die Hard è soprattutto un classico della cinematografia d’azione (e non solo). Il film di John McTiernan segna una svolta per il cinema action del quale diventa un caposaldo, crea un modello ed una fonte di ispirazione e lancia definitivamente la carriera di Bruce Willis.

die hard film poster 1988Ne parlavamo giusto qualche giorno fa in occasione di Final Score (la recensione). Die Hard mette in piedi una struttura che diventa un assoluto punto di riferimento che darà vita a cloni e imitazioni, inaugurando quella che poi diventerà una vera e propria sottocategoria del cinema action. L’eroe che si trova da solo a combattere un nemico imprevisto, all’interno di un luogo imponente ma circoscritto, da cui non si può uscire. Deve salvare qualcuno che ama, contrastato da terroristi invasati e armati fino ai denti.

Basato sul romanzo Nothing Lasts Forever (in Italia uscito come Nulla è Eterno, Joe – per poi essere rieditato come Die Hard, in seguito al successo del film), scritto da Roderick Thorp nel 1979, romanzo che all’inizio degli anni ’80 era stato opzionato da Clint Eastwood, intenzionato a interpretare il protagonista, e che nello stesso periodo verrà poi accostato a Charles Bronson, Burt Reynolds e Paul Newman.

Nothing Lasts Forever era, in realtà, il seguito di The Detective, altro romanzo che Thorp aveva scritto nel 1966 e che aveva avuto una omonima trasposizione cinematografica nel 1968 (arrivata in Italia come Inchiesta Pericolosa), con Frank Sinatra nel ruolo principale. Non a caso, durante la fase di embrionale di Die Hard fu chiesto al 73enne Sinatra se fosse interessato a tornare (per rispetto ma probabilmente per anche tutelarsi da cavilli contrattuali/legali), ma ‘The Voice’ rispose che era troppo vecchio e troppo ricco per pensare di poter accettare un ingaggio di quel tipo.

Il compito di farne una sceneggiatura viene affidato a Jeb Stuart e Steven E. de Souza, e i due realizzano uno script che unisce dinamismo, umorismo, caratterizzazione, situazione drammatica e tanta azione. Jeb Stuart cura maggiormente il profilo del personaggio, inclusa la ricerca di redenzione da parte di un intenso John McClane nei confronti della moglie ,a cui chiede scusa nel momento in cui non sa se riuscirà a rivederla, momento per il quale l’autore prende ispirazione da un episodio personale accadutogli durante la stesura, quando in seguito ad un grave incidente automobilistico da cui esce miracolosamente illeso, realizza che se fosse morto non avrebbe potuto riappacificarsi con la moglie con cui aveva litigato quella stessa sera.

Steven E. de Souza, invece, prova (riuscendoci) a ripetersi sul versante action dopo aver scritto un altro grande cult degli anni ’80, Commando del 1985. Ed è proprio il fatto che de Souza sia l’autore di entrambi, unito al tentato coinvolgimento di Arnold Schwarzenegger in Die Hard, ad alimentare una voce diffusasi negli anni che vedeva Die Hard nato inizialmente come potenziale sequel di Commando e poi trasformato in film a sé stante in seguito al rifiuto di Schwarzy; sarà lo stesso de Souza a smentire questa voce, in una dichiarazione di due o tre anni fa in cui ha spiegato che i due progetti (rifiutati entrambi dall’attore austriaco) pur avendo elementi in comune erano in realtà slegati, che Die Hard nasceva appunto dal libro di Roderick Thorp e che la bozza del seguito di Commando (riscritta da Frank Darabont) vedeva John Matrix ritiratosi dall’esercito e assunto come capo della sicurezza dell’edificio di una grande compagnia che poi si scoprirà coinvolta nel traffico di armi, motivo per cui il protagonista avrebbe dovuto irrompere nella struttura per salvare Jenny e Cindy presenti al suo interno.

Bonnie Bedelia in Die Hard (1988)Prima Frank Sinatra, poi Arnold Schwarzenegger, ma i due non sono gli unici ad aver ricevuto una proposta o quanto meno un sondaggio per il ruolo di John McClane, la lista è bella lunga e comprende nomi del calibro di Sylvester Stallone, Richard Gere, Harrison Ford, John Travolta, Mel Gibson, Robert De Niro, Al Pacino, Nick Nolte, Tom Berenger, Charles Bronson (per la seconda volta), Don Johnson, Richard Dean Anderson, Michael Madsen.

Attori che, per un motivo o per un altro, risulta impossibile ingaggiare ed è qui che arriva la grande svolta di cui parlavo in precedenza. John McTiernan propone di rimodellare la sceneggiatura e cercare un ‘average guy’, in barba alla tendenza di quel decennio che aveva visto il cinema d’azione diventare muscolare e militaresco, i cui due più grandi rappresentanti del momento (Stallone e Schwarzenegger) facevano del fisico e della presenza scenica un evidente punto di forza. Quell’uomo comune trova il volto di Bruce Willis, reduce dal buon riscontro di Moonlightning, una serie TV marcatamente comedy così come il primo ruolo importante cinematografico di Willis in Blind Date (Appuntamento al Buio) del 1987.

La scelta di proporre un attore comico come action hero è coraggiosa, quasi folle (la produzione lo esclude dai primi poster promozionali temendo la reazione del pubblico), ma viene premiata rivelandosi la chiave del successo del film. Bruce Willis è praticamente perfetto nel ruolo in cui introduce il suo umorismo, la battuta pronta sempre al momento giusto e nel modo giusto, una faccia da schiaffi, dimostrandosi all’altezza di quelle che per lui erano assolute novità, come scene d’azione e sacrificio fisico, apparendo credibile anche nel lato più testosteronico, del poliziotto che diventa eroe per cause di forza maggiore, il figlio di buona donna che complica i piani di un’intera squadra di criminali.

Metaforicamente emblematica la battuta in cui il suo personaggio, accusato di voler sembrare un Rambo o un John Wayne, risponde di sentirsi (e preferire) un tipo alla Roy Rogers. John McClane è sfrontato, irriverente, coraggioso ma umano, consapevole dei suoi mezzi. La sua è una spinta emotiva, deve salvare la baracca perché all’interno c’è sua moglie; il personaggio ha la giusta caratterizzazione, sbirro newyorkese che arriva in California per cercare di salvare il suo matrimonio finito in crisi a causa della lontananza e, fondamentalmente, della sua orgogliosa testardaggine. Palesando il suo sentirsi fuori luogo in quel contesto altolocato. Il legame (ritrovato) tra John e sua moglie Holly, funge da filo conduttore in una vicenda di più ampio respiro.

Bruce Willis e Alan Rickman in Die Hard (1988)L’idea di aumentare lo svantaggio nei confronti di un avversario superiore (per numero e organizzazione), facendolo andare in giro a piedi nudi e in canottiera (per la quale, il reparto costumi prepara 17 versioni a seconda del grado di usura, di cui una donata da Willis allo Smithsonian Museum nel 2007), si rivela un colpo di genio che l’attore sfrutta a suo favore.

Bruce Willis affronta il personaggio con energia e motivazione, si prepara fisicamente, durante le riprese è esausto – nello stesso periodo stava girando anche Moonlightning, cosa che porta gli autori ad allungare le sequenze in cui non compare ed i ruoli dei personaggi minori, in modo da permettergli di recuperare energie.

John McClane decreta il successo di Die Hard, ma anche di Bruce Willis, che da lì in avanti inizierà un percorso da man of action, all’interno di una carriera importante che comunque lo vedrà attore a tutto tondo. La lunga parte di carriera che mi piace ricordare e con cui rewatch del calibro di Die Hard mi permettono ciclicamente di riconciliarmi, così come con un attore a cui resto legato e che, a malincuore ma doverosamente, negli ultimi anni mi trovo spesso a dover bacchettare per scelte ed approccio sicuramente discutibili (vedi ad esempio 10 Minutes Gone, per citare il più recente).

Un film d’azione che si rispetti deve avere un villain degno di nota. Ed ovviamente Die Hard non sfugge a questa regola. Il ruolo di Hans Gruber (dallo stesso nome del nemico in Our Man Flint / Il Nostro Agente Flint, del 1966), viene affidato all’inglese Alan Rickman, dopo il rifiuto di Sam Neill. Rickman è al primo ruolo cinematografico, dopo alcune esperienze televisive; il suo background è prevalentemente teatrale, l’inglese è attore prestigioso che ha lavorato per compagnie di altissimo livello, viene scelto da John McTiernan ed è un’altra intuizione vincente.

Hans Gruber è un terrorista espulso dal suo movimento che camuffa una grande rapina da finto attentato; Alan Rickman ci mette un volto dai tratti marcati, voce profonda, classe, il suo Gruber cita Alessandro Magno, riesce ad essere allo stesso tempo cortese e spietato, scaltro e subdolo come quando si finge un ostaggio impaurito per raggirare McClane (scena non provata in precedenza, per enfatizzare la spontaneità tra i due attori). I due danno vita ad un botta e risposta via radio tutto da seguire, con annesse citazioni cinematografiche. Intorno a Gruber agisce un nugolo di terroristi prevalentemente europei e di stazza imponente, ad eccezione di Al Leong, immancabile presenza tra gli sgherri di quel periodo.

die hard film 1988Bonnie Bedelia è Holly, la moglie del protagonista, donna emancipata e risoluta, proiettata sulla carriera ma ancora profondamente innamorata del marito, attrice suggerita proprio da Bruce Willis, che ne era rimasto colpito ai tempi di Heart Like a Wheel (Dragster: Vivere a 300 all’ora), dopo che la produzione aveva sondato (con esito negativo) Kirstie Alley, Linda Hamilton, Geena Davis, Debra Winger, Michelle Pfeiffer, Jamie Lee Curtis, Carrie Fisher e Kelly McGillis.

A John McClane viene fornita una spalla a distanza, il sergente Al Powell, che ha il volto paffuto di Reginald VelJohnson, a cui viene concessa la platea nel secondo finale sulle note di una traccia (inutilizzata) che James Horner aveva composto per Aliens, e che curiosamente incontrerà Willis solo alla fine delle riprese così come avviene tra i due personaggi – VelJohnson ritornerà nei panni di un poliziotto nella sua interpretazione più famosa, quella di Carl Winslow nella sitcom Family Matters (Otto Sotto un Tetto). Le chiacchierate (ancora via radio) tra John ed Al fungono da intelligenti momenti di raccordo utili a far rifiatare l’azione ed allo stesso tempo caratterizzare meglio il protagonista e la situazione che sta vivendo. Momenti di raccordo in cui entra in ballo l’ottusità delle forze dell’ordine, dall’Ispettore Capo di Paul Gleason a Robert Davi agente dell’FBI, mentre William Atherton conferma la predisposizione per i personaggi fastidiosi.

Sceneggiatura e protagonisti non possono funzionare da soli, serve la fortuna di finire in mano all’uomo ideale per questo lavoro. Sto parlando di John McTiernan, che solo l’anno prima ci aveva deliziato con Predator e che inizialmente declina (come aveva fatto l’olandese Paul Verhoeven prima di lui), salvo poi ricredersi a patto di poter effettuare determinate scelte e modifiche. Il regista è ispirato, valorizza la sceneggiatura e i suoi punti di forza, permette a Bruce Willis di rendere al meglio.

La sua è direzione attenta alla gestione del tempo e dello spazio. Propone di ambientare tutto in una notte e non in tre giorni (come previsto dalla sceneggiatura e dal romanzo originale), prendendo ispirazione dallo shakespeariano Sogno di una Notte di Mezza Estate. Alterna abilmente sequenze di grande azione a momenti drammatici o altri piacevolmente leggeri, rendendo scorrevole una durata di circa 130 minuti – non pochissimi per un film d’azione (il più lungo del franchise) e, diciamocelo, devi proprio sentirtela caldissima e sapere già da prima che stai per realizzare un classico se punti ad una durata di questo tipo per un film che aveva quasi l’aria di essere una scommessa.

Wilhelm von Homburg in Die Hard (1988)John McTiernan sfrutta il Nakatomi Plaza (che in realtà è il palazzo della 20th Century Fox) trattandolo alla stregua di un personaggio, situazioni altamente claustrofobiche in cui gli spazi sembrano farsi strettissimi si avvicendano ad altre in cui l’edificio si mostra in tutta la sua imponenza. Opta per arditi ma efficaci abbinamenti musicali, come Ludwig van Beethoven che diventa il theme dei terroristi.

E’ scontato dire che l’azione è il piatto forte: sparatorie, concitate colluttazioni, incredibili esplosioni, c’è persino il modo di coinvolgere veicoli ed incidenti. Un blindato che esplode sotto i colpi di un bazooka, C4 come se piovesse, elicotteri che si schiantano.

E ancora, gente che vola dal palazzo, che viene impiccata ad una catena, che sfonda vetrate col cranio. Un bodycount di 21 vittime, di cui 10 firmate da John McClane. Fondamentale il lavoro Al Di Sarro, esperto di effetti speciali che coordina al meglio le sequenze logisticamente più impegnative, mentre l’olandese Jan De Bont cura adeguatamente la fotografia – e prende appunti per la regia, come dimostrerà il suo Speed (la recensione) una sorta di erede spirituale di Die Hard, in cui è presente anche una sequenza con l’ascensore per la quale De Bont coglie l’ispirazione sul set del film di John McTiernan.

Die Hard debutta il 12 luglio 1988, realizzato con un budget di 28 milioni di dollari, incasserà la bellezza di 141 milioni (senza contare l’home video che crea profitti ancora oggi). In Italia esordisce il 29 settembre dello stesso anno distribuito come Trappola di Cristallo, titolo che creerà qualche problemino di continuità con quelli dei capitoli successivi, fino alla riedizione in home video che vede l’aggiunta dell’originale Die Hard davanti al titolo nostrano. Un successo commerciale ma soprattutto di un pubblico che s’innamora a prima vista di un film e del suo protagonista che entra nell’immaginario collettivo, dimostrando di saper apprezzare anche la novità ed il cambiamento, ma in particolar modo un prodotto di qualità. Nel 2017 viene scelto per la conservazione nel National Film Registry per il suo essere storicamente ed esteticamente significativo.

Un film che ha lasciato un segno indelebile nel cinema action. Ma anche in quello natalizio. Perché, si sa, a Natale puoi fare quello che non puoi fare mai. Anche lanciare terroristi dalla cima di un grattacielo. Yippee-ki-yai, motherfucker! Ehm, buon Natale, intendevo buon Natale!

Di  seguito una clip ‘movimentata’: