Voto: 8/10 Titolo originale: Picnic at Hanging Rock , uscita: 02-09-1975. Regista: Peter Weir.
Recensione Story: Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir (1975)
11/06/2018 recensione film Picnic ad Hanging Rock di Sabrina Crivelli
La visionaria pietra miliare del cinema australiano ci proietta in una natura sublime e spaventosa, scenario di un insolubile mistero
Dopo il folle e grottesco Le macchine che distrussero Parigi (The Cars That Ate Paris), nel 1975 il visionario Peter Weir confezionò un altrettanto surreale film, Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock), tratto piuttosto liberamente dal romanzo omonimo della scrittrice australiana Joan Lindsay pubblicato nel 1967. Dramma dai risvolti thriller e misteriosi, costituisce uno dei più noti e significativi esempi di cinema anni ’70 australiano, nonché uno dei primissimi a permettere di conoscere fuori dal continente la produzione autoctona e perciò particolarmente rilevante.
La storia ha inizio il 14 febbraio 1900, il giorno di San Valentino, quando un gruppo di studentesse del’aristocratico collegio Appleyard si recano in gita con le loro insegnanti nei pressi del suggestivo gruppo roccioso dell’Hanging Rock, vicino a Melbourne in Australia. Sara, invece, piccola orfana e ospite della medesima struttura, viene esclusa per punizione. Miranda (Anne Lambert), si allontana dal gruppo per una breve esplorazione seguita dalle amiche Marion (Jane Vallis) e Irma (Karen Robson), ricca ereditiera, e dalla più giovane e rubiconda Edith (Christine Schuler).
Mentre le altre cadono tutte misteriosamente in un sonno profondo, le tre avventurose fanciulle si inerpicano e d’un tratto speriscono nel nulla; solo l’impacciata Edith, che le seguiva a una certa distanza, torna indietro urlando e in preda al terrore. Oltre alle giovani si perdono le tracce anche di un’insegnante, Greta McCraw (Vivean Gray).
Trascorrono i giorni e delle disperse non v’è traccia, tanto che ormai si abbandonano le speranze. Unico a insistere è Michael Fitzhubert (Dominic Guard) che, dopo aver scorto a distanza Miranda e le compagne, è ossessionato dalla bellezza di lei e scortato dal servitore Albert (John Jarrett) torna tra quelle montagne per proseguire da solo le ricerche.
E’ proprio in tale frangente che i due s’imbattono in Irma, che a parte qualche lieve graffio pare in ottima salute e viene soccorsa. Il mistero così s’infittisce ulteriormente, lasciando le collegiali, la severa istitutrice Mrs. Appleyard (Rachel Roberts) e gli altri membri del corpo docenti, profondamente scossi.
Cosa sarà davvero successo a Miranda e alle altre? L’interrogativo al centro di Picnic ad Hanging Rock è in fondo un pretesto per esplorare le dinamiche e i dettami sociali della rigida società vittoriana in Australia, calandoli in un’atmosfera tesa e misterica.
Tuttavia, molto differente è la maniera in cui il discorso viene affrontato nell’originale cartaceo e nella versione filmica.
Da una parte, quello che si potrebbe definire un romanzo “gotico – naturalista” cela tra le righe il senso di oppressione soprattutto femminile che vigeva a cavallo tra XIX e XX secolo ed è ammantato della Lindsay da un’aura di verisimiglianza: il testo è infatti comprensivo di un prologo e un’epilogo che indurrebbero a pensare a una storia vera.
Non si tratta però di un fatto di cronaca, ma solo di finzione letteraria, sebbene la scrittrice poco abbia fatto per smentire le voci che sostenevano il contrario. Anni dopo, però, l’autrice stessa ha raccontato che l’idea per il libro gli venne da un sogno molto vivido, dopo il quale ne iniziò la sua stesura e lo portò a compimento in un paio di settimane.
Nel film di Peter Weir, invece, assai meno immediato è il contrasto tra la natura australiana, libera e selvaggia, e la soffocante etichetta dei colonizzatori britannici, ma ciò non significa che sia assente; è semplicemente espresso in altro modo.
Il materiale originario viene del tutto reimmaginato nel copione scritto da Beatrix Christian, privato pressoché di tutti gli elementi di sotteso attrito che erano disseminati nel libro. La narrazione si nutre invece di molteplici suggestioni, immateriali quanto fascinose, in uno sviluppo assai affine ad altri titoli della filmografia anni ’70.
Non è un percorso logico, razionale, che viene portato sullo schermo, ma onirico e in molte parti oscuro, fatto di segnali e presagi. L’epicentro, il contrasto tra la natura e la civiltà è espresso allora in un percorso simbolico, in cui le protagoniste assumono loro stesse quasi i contorni di creature ultraterrene, di ninfe o angeli, Miranda è addirittura definita da Mlle. de Poitiers (Helen Morse), un “angelo del Botticelli”.
Allo stesso modo i luoghi circostanti si fanno irreali, trascendenti, meravigliosi e agghiaccianti, le pareti rocciose paiono attirare al loro interno le fanciulle per poi fagocitarle. La sequenza della scomparsa delle ragazze, d’altra parte, è catturata dall’occhio della macchina da presa in maniera alienante, i movimenti di macchina labirintici, la messa a fuoco e la fotografia stranianti sembrano proiettarci in uno stato di tranche bacchico, in cui un gruppo di adepte si votano a una entità panica e antica, quella che soggiace nella montagna stessa, sublimando. L’arcano lascia pietrificati coloro che rimangono, terrorizzati dalla sturmeriana incombenza naturale, contro cui l’uomo, piccolo e misero, nulla può se non sentirsi impotente.
E la forma traduce perfettamente la sostanza. In Picnic ad Hanging Rock Peter Weir mostra tutta la propria originalità, sfidando le convenzioni stilistiche come diegetiche del cinema in costume e mettendo invece in scena una vera e propria visione, dilatata per quasi due ore.
Viene abbandonata la pretesa di realismo nel catturare le studentesse del collegio Appleyard, che grazie alla fotografia di Russell Boyd paiono più delle apparizioni nei loro abbaglianti vestiti bianchi, quasi teorie di figure allegoriche preraffaellite o simboliste, la cui vera essenza è però indefinibile e ineffabile, sfugge alla telecamera il vero segreto della loro bellezza.
I dialoghi, allo stesso tempo, sono lirici, altamente evocativi, ma nulla spiegano, frasi sibilline che lasciano lo spettatore ancora più stranito e confuso, gli trasmettono tutta l’inquietudine di cui sono intrisi la storia e i luoghi in cui è ambientata.
L’idea romantica di natura selvaggia assume quindi connotati mostruosi e affascinanti, quando inquadrata dal basso, la Hanging Rock (le riprese sono realizzate proprio nel promontorio del titolo, oltre che a a Martindale Hall, nell’Australia Meridionale, per le scene nel collegio) sembra ancora più imponente e i suoi contorni sfarfallano alla luce del sole, concrezione geologica che combina tratti naturali e ultraterreni. D’altronde, la sospensione tra realtà e sovrannaturale caratterizza il film per intero e il finale, marcatamente ambiguo, rafforza in chi guarda il senso di smarrimento profondo.
In realtà, l’epilogo fu inizialmente rimosso anche dal volume della Lindsay per volontà del suo editore, così da mantenere il dubbio su cosa realmente fosse accaduto e migliorare così auspicabilmente le vendite suscitando l’interesse del pubblico. Dopo la propria morte, avvenuta nel 1984, la scrittrice aveva previsto nelle proprie volontà che il capitolo venisse in ultimo pubblicato, fatto che avvenne effettivamente nel 1987, con il titolo The Secret of Hanging Rock.
Non sarà in questa sede specificata la suggestiva soluzione del mistero, che rimanda a una antica dimensione alternativa, ma la lettura del diciottesimo capitolo mancante non aggiunge nulla di particolarmente esaltante all’insieme e, anzi, la sua assenza è forse più auspicabile …
Pietra miliare della cinematografia australiana che sa tradurre per immagini un testo ermetico e affascinante, Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir risce quindi a cristallizzare in una successione di fotogrammi la disarmante bellezza della natura australiana e il suo insoluto e primitivo enigma, che si staglia contro la soffocante civilizzazione.
Di seguito trovate il trailer ufficiale:
© Riproduzione riservata