[riflessione] Hollywood Babilonia – Atto III: il Weinstein-gate (parte 2)
26/10/2017 news di Redazione Il Cineocchio
Quis custodiet ipsos custodes?
Dopo i primi due pareri, di seguito trovate gli ultimi due, a completare il quadro delle considerazioni della nostra redazioni sullo scandalo dell’anno che ha coinvolto il produttore Harvey Weinstein:
Diceva Ennio Flaiano: “L’aiuto regista è uno che aiuta il regista, che aiuta il produttore, che aiuta una ragazza che deve aiutare la famiglia”. La frase di Flaiano, uno che conosceva il mondo del cinema e ancor più il mondo in generale, dimostra che la vicenda Weinstein non può suscitare stupore per i rapporti che s’instaurono, nel mondo dello spettacolo, tra ragazze ambiziose e uomini di potere pronti ad approfittarne in qualche modo. Soltanto nel cinema italiano è sterminato l’elenco delle ragazze che hanno scelto per compagno, chissà se davvero per amore, un produttore o un affermato regista. Le malefatte di Weinstein hanno destato scalpore per la quantità e per le modalità volgari e squallide con cui avvenivano, ma tecnicamente sembra azzardata la definizione di “stupri”. Secondo il codice penale italiano, perché si possa parlare di violenza sessuale dev’essersi verificata una delle seguenti due ipotesi: 1) una costrizione attraverso violenza, minaccia o abuso di autorità; 2) un’induzione attraverso l’abuso di una inferiorità fisica o psichica del soggetto passivo (anche limitata al solo momento del fatto) oppure attraverso il travisamento di persona (cioè il farsi credere qualcuno che non si è, per esempio un esponente delle forze dell’ordine). Limitandoci dunque alla stretta lettera della legge, i comportamenti di Harvey Wenstein potrebbero rientrare esclusivamente nella casistica dell’abuso di autorità, per aver egli approfittato del suo ruolo di potente produttore cinematografico. L’abuso di autorità deve però accompagnarsi necessariamente alla “costrizione”, che nella maggioranza dei casi in questione non pare esserci stata.
Prova ne sia il fatto che alcune delle attrici che lo hanno oggi denunciato, per esempio Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow, riferiscono di essere rimaste schifate dal suo atteggiamento ma al tempo stesso di non aver ceduto alle insistenze, segno che nessun obbligo vi era per loro. Peraltro non si può dire che questo rifiuto abbia arrestato la loro carriera. La situazione è stata fotografata alla perfezione da Claudia Cardinale, che in gioventù subì un vero stupro in Tunisia (dal quale nacque suo figlio) e in seguito ebbe una relazione molto tormentata, ai limiti della schiavitù psicologica, con il produttore Franco Cristaldi, dunque non può certo essere accusata di essere insensibile al tema. A proposito delle attrici molestate si è domandata: “Sapendo di chi si trattava, perché sono andate in camera con Weinstein? Non dovevano andarci“. La risposta apparirà ovvia a tutti coloro che non ragionano su una base d’ipocrisia. Meno scontato è che la fornisca indirettamente, quasi in forma di confessione, la stessa Asia Argento, una delle donne che hanno denunciato il produttore. “Weinstein era potente: mi avrebbe distrutta e io tenevo alla mia carriera” ha replicato a chi l’accusa di aver parlato dopo vent’anni. La spiegazione della Argento è in linea con quella fornita delle altre denuncianti e dimostra come in nome della carriera si sia spesso pronti a scendere ad ogni compromesso. Consegnare spontaneamente la propria virtù non è diverso dal vedersela strappare a morsi senza denunciare tempestivamente l’accaduto nella speranza di ottenere in seguito un tornaconto personale; nè l’una nè l’altra cosa sarebbero accadute se, a quelle feste in cui avvenivano gl’incontri, Weinstein fosse stato il cameriere anziché il produttore importante. In quel caso, o sberla o denuncia immediata. Egli si è dunque approfittato di Asia e delle altre che ci sono state, anche se schifate, esattamente come esse hanno approfittato di lui. Entrambi i soggetti in commedia hanno fatto leva sulla debolezza altrui: la libidine per il produttore e il desiderio di far carriera per le ragazze. Troppo comodo scegliere la scorciatoia e poi rinfacciare di essere stati costretti a farlo.
Per un’Asia Argento (e tutte le altre) che è diventata famosa perché ha ceduto ad avances mosse in modo sgradevole, esistono centinaia di altre ragazze, forse più belle e più brave, che di carriera non ne hanno fatta per essersi negate a tutti i Weinstein del mondo. Beninteso: non c’è nulla di male nel percorrere la scorciatoia; ma nel lamentarsene vent’anni dopo, sì. Quando sarà esaurita l’indignazione del momento, le denunce fatte solo oggi otterranno l’effetto contrario e renderanno un pessimo servigio al merito e a tutto il genere femminile, convincendo ogni aspirante attrice che per fare strada, in qualsiasi campo, non serva studiare e avere talento, ma sia sufficiente cercare la camera giusta nella quale infilarsi. E convincendo ogni produttore che ne troverà sempre una disposta a passare dalla sua. L’unica conseguenza davvero positiva dell’affaire Weinstein, se mai ve ne fosse stato bisogno, è stata lo smascheramento dell’ipocrisie. Non tanto quella dei soliti intellettuali impegnati di casa nostra, ma di quei cinematografari d’alto bordo che si ergono a paladini delle nobili cause. Come spesso accade, questi moralisti di facciata si sono rivelati opportunisti nella sostanza: le parole da essi spese negli anni in nome dei diritti umani e della difesa delle donne appaiono oggi sussurri di scarso valore di fronte ai loro assordanti silenzi circa situazioni che nessuno dell’ambiente poteva giurare di ignorare ma solo ora fanno gridare allo scandalo. Le ragazze molestate, pur tacendo pubblicamente, si confidavano infatti con i loro compagni e tra essi vi erano personaggi quali Brad Pitt, Matt Damon, Quentin Tarantino. Costoro magari affrontavano il produttore a muso duro, ma soltanto in privato, contribuendo così a coprirlo. Le voci corrono ed essendo tante le attrici che hanno dichiarato ora il loro coinvolgimento si deve dedurre che il numero di persone informate dei fatti fosse altissimo. Non soltanto hanno taciuto tutte, ma della loro amicizia con il signor Weinstein menavano vanto: Meryl Streep lo ha recentemente definito “Dio”, attori e registi hanno fatto carriera grazie a lui; il New York Times aveva da anni le prove dei fatti ma ha insabbiato tutto di fronte alla prospettiva di perdere la pubblicità pagata dal signor Weinstein; addirittura la figlia di Obama svolge il lavoro di stagista per la sua casa di produzione.
Weinstein è stato travolto solo dalla caduta, a seguito delle recenti elezioni, di un intero sistema di potere che aveva al suo vertice la famiglia Clinton (amica di Weinstein e beneficiaria di alcuni suoi sostegni economici) e quel partito democratico con cui Hollywood fa comunella. Dov’erano, quando Weinstein spadroneggiava, tutti i grossi nomi come George Clooney, la stessa Meryl Streep e altri, pronti a sparare a zero su Donald Trump in nome dei valori americani? Probabilmente a reggere il moccolo al produttore, in una delle celebri feste in cui a un certo punto si appartava con mire satiresche sulla ragazza di turno. Oggi che il vento è cambiato radicalmente, sullo stile del “Contrordine compagni” di Guareschi tutti gli voltano le spalle con una tale determinazione da costringere di fatto Oliver Stone a rimangiarsi l’unica dichiarazione non del tutto a lui ostile. Se dunque questa Hollywood si autoproclama custode di ogni valore etico, viene allora in mente quel brano in cui Giovenale si chiede “Quis custodiet ipsos custodes?” (“Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?”). Il fatto poi che queste parole siano contenute in una satira feroce che prende a bersaglio i vizi delle donne romane, corrotte e dissolute, è una pura coincidenza. Ma chiude il cerchio alla perfezione. (G. M.)
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Il caso Weinstein è ciclico. Periodicamente si deve utilizzare un capro espiatorio perché non si può più tacere, perché si è accumulata troppa polvere sotto al tappeto dell’ipocrisia e qualcuno ne ha sollevato un lembo. Il perbenismo puritano sgrana gli occhi allibito e punta il dito contro il predatore del momento, che si chiami Berlusconi, Clinton, Cosby o Weinstein. La formula è sempre la stessa, la mercificazione del corpo, più spesso quello femminile, in cambio di promettenti carriere. “Eh ma si sapeva”… Il comportamento esecrabile viene dato per scontato, tanto la meritocrazia è un’utopia e così la pletora di meteorine, veline, attrici, soubrette e consigliere regionali si espande a macchia d’olio. Il cinema e la televisione insegnano che avere un bel paio di tette e un bel culo è più importante di un’istruzione adeguata, il laureato lavora al McDonald’s, la ricerca in Italia è morta ma il grande fratello VIP fa 4.5 milioni di spettatori ogni settimana. Viviamo in una società maschilista e patriarcale dove ai bambini insegnano che la donna è inferiore e il sesso va a braccetto con il potere, non serve essere femministe incallite per capirlo. L’uomo medio se fosse schifosamente ricco e potente si comporterebbe come Weinstein & Co, chi non ha mai invidiato Hugh Hefner in fondo? La morale è inversamente proporzionale al conto in banca e questa formula si applica bene a entrambe le parti in gioco. Questa mentalità è tacitamente accettata da tutti perché si è inculcata come un cancro nei nostri cervelli, ogni tanto si manifesta con sintomi più o meno gravi ma dopo un ciclo di cure si calma e tutto torna come prima. È aberrante l’omertà generale e soprattutto lo scarso impegno al cambiamento, le denunce spuntano come funghi dopo anni quando si è “fuori pericolo”. Si ha paura di spezzare il meccanismo perverso e malato, perché come dice Scott Rosenberg: “Nessuno vuole mordere la mano che gli porge il caviale a Saint Barth”.
Se ti trovi in una stanza d’albergo con un produttore, sotto la scrivania del Presidente o in una famosa villa in Brianza ci sei arrivata con la tua testa e le tue gambe, stai firmando un accordo non scritto tra due persone, il totale della colpa è diviso in due. Ognuna di noi in ambito lavorativo, sul pullman, mentre camminava per strada o se aveva la gonna troppo corta ha subito molestie più o meno gravi, al muratore magari tiri lo schiaffo ma davanti al professore a un esame o a un vigile che ti vuole multare alzi un po’ la gonna o aggiusti la scollatura. Si tratta sempre di compromessi e questa ipersessualità malcelata viene sfruttata anche dalle donne. Perché l’uomo si sa è animale, ma la donna se è aperta con la sua sessualità è puttana. Sarebbe impensabile e addirittura ridicolo pensare alla predatrice donna no? Perché l’uomo non si sente molestato, non si vede come un oggetto, ma come il maschio appetibile. Ma non si tratta di molestie anche se a tenere in mano l’olio per massaggi è una donna? Sarebbe un sogno per molti. La verità è che ormai la strada più breve e facile è quella più redditizia, in un’epoca in cui le esperte di tendenza e le fashion blogger fatturano più di medici e ricercatori e i concorsi pubblici li vincono i parenti, c’è per forza qualcosa di fortemente malato e sbagliato nella società. È qual è la merce di scambio più veloce ed efficace? D’altronde la lavi e torna come nuova. (M. M.)
fine … ?
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