Voto: 5/10 Titolo originale: Lo spietato , uscita: 08-04-2019. Regista: Renato De Maria.
Riflessione: Lo Spietato, ovvero come René Ferretti di Boris avrebbe girato un film di mafia
03/05/2019 recensione film Lo spietato di Sabrina Crivelli
Il film con Riccardo Scamarcio prodotto da Rai Cinema e distribuito da Netflix mostra più di un punto di contatto - non voluto - con la serie TV con Francesco Pannofino
Forse ricorderete che anni addietro (eravamo tra il 2007 e il 2010), in un lampo di insperata genialità, la Fox International Channels Italy diede il via libera alla Wilder per una serie televisiva satirica tanto brillante quanto sottovalutata: Boris. Lungo gli episodi delle tre stagioni si susseguivano le peripezie di Alessandro (Alessandro Tiberi), uno stagista pieno di speranze che entrava a far parte della produzione dell’orribile fiction TV Gli occhi del cuore 2, diretta dal disincantato René Ferretti (Francesco Pannofino) e popolata di personaggi ‘mitologici’ come la raccomandatissima prima attrice Corinna Negri, soprannominata “cagna maledetta” (Carolina Crescentini) per le sue scarse doti recitative, eguagliate in quanto a incapacità solo dal co-protagonista Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti).
Ebbene, a volte la realtà sembra ispirarsi alla finzione, che a sua volta è indubbiamente ispirata alla realtà: è il caso dell’incommensurabilmente disgraziato Lo Spietato (il titolo internazionale è The Ruthles), adattamento dal romanzo Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzodi diretto dal regista Renato De Maria (Paz!), che sarebbe potuto tranquillamente essere girato da René al posto di “Gli occhi del cuore 2”.
Prodotto orgogliosamente da Rai Cinema e approdato su Netflix per qualche singolare strategia distributiva tutta italica (ma è stato anche proiettato in alcune sale l’8, 9 e 10 aprile), il film segue l’ascesa di Santo Russo (Riccardo Scamarcio), un brutale membro della ‘Ndrangheta trasferitosi adolescente a Milano dopo che il padre è stato allontanato con infamia dagli affiliati per una qualche non ben definita colpa.
Cresciuto con il mito della ricchezza facile e con il desiderio disperato di mimetizzarsi nel capoluogo lombardo, lo vediamo sin dalle prime sequenze mentre scimmiotta un affettato dialetto milanese e scorrazza per le vie dell’hinterland, guardando da lontano con una certa ammirazione e un tocco di invidia i boss della zona.
Il suo desiderio di rivincita sociale è palese, ma la maniera non gli è ancora chiara, almeno finché non viene incarcerato e non s’imbatte in Salvatore “Slim” Mammone (Alessio Praticò), compare perfetto per la futura carriera criminale. Da qui è un crescendo, che parte da violentissime rapine, per poi passare ai rapimenti, e arrivare infine allo spaccio di eroina e al riciclaggio, che permettono a Santo di atteggiarsi finalmente a imprenditore di successo.
Cosa c’entra quindi Lo Spietato con Boris? Se ci soffermiamo su più di un dettaglio, dalla sceneggiatura alla recitazione, fino alla messa in scena, i punti di contatto sono numerosi, facendo del film RAI l’alternativa ideale perfetta alla fiction a episodi con Francesco Pannofino. E si può partire proprio dai due registi, che, coincidenza, condividono non solo il mestiere e lo stile, ma perfino il nome di battesimo. Renato De Maria è in fondo il doppio perfetto di René Ferretti, con una carriera spesa nelle produzioni TV – alla direzione e alla sceneggiatura – con titoli come “Distretto di polizia” o “Squadra antimafia – Palermo oggi”, ma anche di un medical drama casereccio come “Medicina generale” (proprio come i prodotti presi in giro da “Gli occhi del cuore 2”).
D’altra parte in Boris, l’alternativa al dramma ospedaliero sarebbe stata quasi certamente una storia di malavita o polizia. Non va dimenticato, tra l’altro, che in Boris – Il film del 2011, René, nel tentativo di emanciparsi dalle tremende fiction televisive, comincia a lavorare su “La casta“, film potenzialmente impegnato sullo stile del “Gomorra” di Matteo Garrone, che tuttavia si trasforma tragicamente alla fine nell’ennesimo becero cinepanettone.
Ovviamente, i curiosi parallelismi – nemmeno troppo forzati – non si esauriscono qui. Altro tocco ‘da maestro’ di Lo Spietato in puro stile Boris sono le ambientazioni. Vi ricordate quando nella Stagione 2 René veniva a sapere che – per sua somma gioia – Corinna avrebbe dovuto abbandonare il set perché era stata scelta per incarnare niente meno che Madre Teresa di Calcutta?
In tale frangente la produzione organizzava l’uscita di scena della star, che doveva avere luogo in un lontano paese africano e che veniva suddivisa su due puntate (la 2×01 e la 2×02), intitolate La mia Africa parte prima e seconda.
Se avete familiarità con la serie, ricorderete allora probabilmente il villaggio ricreato nel cortile subito fuori dallo studio di registrazione con due capanne di paglia improvvisate e qualche comparsa pescata tra i passanti di colore. Ecco, in confronto alla Milano da bere di Lo Spietato, quel villaggio fa la figura di una ricostruzione filologica. Le avventure di Santo si svolgono infatti tra il capoluogo lombardo e il suo hinterland, tra gli anni ’60 e gli anni ’90, ma, a quanto pare, coloro che si sono occupati degli esterni del lungometraggio hanno decretato che non fosse necessario coprire i visibilissimi segni della contemporaneità del 2018/19.
Ad esempio, durante una sequenze in notturna, hanno decretato che posteggiare qualche automobile dell’epoca ai lati della strada fosse più che sufficiente ad ammantare l’insieme di immediato fascino 80s coprendo tutto il resto. Cosa importa di piccolezze come insegne, cartelli stradali, lampioni, orologi e via dicendo. Forse però, l’apice del pressapochismo viene raggiunto in una scena topica, quella dell’arresto. Girata in un rallenti surreale, il protagonista è fuori la sera per le strade della zona intorno al Duomo con moglie e figli, quando intravvede la sua amante (Marie-Ange Casta, che pare colta da una solitaria forma di estatica pulsione alla danza) incrociare – plausibilmente – il nuovo compagno, artista come lei (con tanto di basco da pittore).
Tale momento topico accade nientemeno che davanti alle bancarelle dei mercatini di Natale effettivamente sbaraccate quattro mesi fa e che molti turisti giapponesi e russi avranno fotografato con piacere (c’è anche un avventore con giubbino smanicato e luci al neon sospese). In ogni caso, per dissipare la possibile confusione, la narrazione procede per capitoli scanditi chiaramente per anno, così che il povero spettatore disattento non rimanga spiazzato. E se questo non bastasse, a rafforzare il palese messaggio interviene lo spiegone con voce fuori campo di Riccardo Scamarcio stesso, che commenta ogni evento del lungo flashback su cui Lo Spietato si sviluppa.
Tuttavia, una vera fiction all’italiana non sarebbe tale senza l’attore (maschio o femmina) cagnaccio nei panni di un personaggio stereotipato all’inverosimile; ce lo insegna sempre l’ineluttabile Boris. Anche in questo, il film di Renato De Maria dimostra di essere ampiamente sul pezzo. A ricoprire l’arduo compito con incredibile ‘maestria’ è proprio Riccardo Scamarcio, ibrido perfetto di Stanis e Corinna.
Le sue doti sono manifeste sin dall’apertura, in cui con un calcato quanto innaturale accento milanese che fa impallidire quello già ridicolo di Kim Rossi Stuart in “Vallanzasca” chiacchiera con il socio Mario Barbieri (Alessandro Tedeschi). Di colpo viene interrotto da un manipolo di loschi figuri, che reclamano il pagamento di una partita di droga smarrita.
Dopo l’aggressione di un napoletano (resa in maniera talmente poco credibile da sembrare una pantomima e girato rigorosamente secondo il principio del “a cazzo di cane!”/”buona!!!”), l’occhio della telecamera si sofferma sull’attore di Trani. Questi assume un’aria seria, minacciosa (o almeno quello dovrebbe essere l’intento) e, con lo sguardo lievemente basso e con tono misterioso, dichiara: “Dovevano morire tutti, ça va sans dire!“. Quindi, per dare ulteriore enfasi alza gli occhi e guarda dritto in macchina, a rompere la quarta parete. E non possiamo che immaginarci un trio di sceneggiatori su uno yacht che proclamano in coro “F5: ça va sans dire!” (leit motiv che viene ripetuto alla nausea lungo tutto il minutaggio).
Bastano una manciata di secondi per assaporare a fondo il preciso connubio di recitazione e copione grotteschi che contraddistingue l’intero Lo Spietato. Il registro è costante, anche se esistono apici sublimi, come il tentato suicidio sexy in négligé nera di Mariangela (Sara Serraiocco), moglie religiosissima di Salvo, tradita e abbandonata.
Come possibile spiegazione (ma il dubbio rimane), c’è da dire che, al contrario degli integerrimi protagonisti di Gli occhi del cuore 2, Riccardo Scamarcio per primo non sembra prendersi davvero troppo sul serio, e anzi un discreto black humor più volte emerge in svariate sequenze (la trovata dei tossici sommelier è geniale ed estremamente cinica). A ulteriore conferma (anche se uscito ‘postumo’) è stato poi diffuso un video virale firmato da Netflix – apprezzato e visto probabilmente molto più del film stesso -, in cui Giovanni Storti (del trio Aldo, Giovanni e Giacomo) dà qualche lezione di milanese a base di ‘scherzi della cadrega’ al protagonista.
In definitiva, Lo Spietato risulta un film straniante, in bilico tra grottesco e serioso, che dimostra solamente come negli ultimi 10 anni la situazione del settore in Italia sia cambiata davvero pochissimo.
Di seguito trovate la simpatica ‘lezione di milanese’ di Giovanni:
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