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Riflessione: Richard Matheson e Io Sono Leggenda, la fascinazione dell’umanità per la pandemia

06/12/2019 news di Redazione Il Cineocchio

Sessantacinque anni fa, nel 1954, veniva dato alle stampe il romanzo fanta-horror che avrebbe dato vita a svariati lungometraggi, confermando nel tempo la sua assoluta attualità. Ma l'atavica paura là descritta è ricorrente nel corso della Storia

io sono leggenda matheson libro

Un libro dal destino preannunciato nel titolo: Io sono leggenda (I am legend). Il romanzo di Richard Matheson non smette di avvincere dalla sua prima edizione, nel 1954. La civiltà distrutta da un’epidemia che trasforma – con un batterio – tutti in vampiri, tranne il protagonista, aggiorna ai terrori biologici dell’età contemporanea quelli soprannaturali del passato. E non attraverso una scrittura gotica, densa di evocazioni e incubi, bensì con una secca e diretta fotografia degli eventi che sembra uscita dalle pagine di Ernest Hemingway.

Facile spaventare a parole forti, sublime riuscirci con una prosa depurata di ogni aggettivo. L’autore scomparso nel 2013 ha dimostrato che l’orrore non è confinabile alle epoche oscure e remote, gravate dal sonno della ragione. Anzi. Quanto più la scienza crea incognite, tanto più l’inadeguatezza umana deraglia nell’inconsulto. Logico che il soggetto di Io sono leggenda arrivasse presto al cinema, il grande potenziatore dell’anima collettiva.

will smith io sono leggendaL’omonimo film del 2008 diretto da Francis Lawrence, con Will Smith, è il quarto – e ultimo per ora – di una serie di adattamenti per il grande schermo che risale addirittura al 1964 (tralasciamo I am Omega di Griff Furst, prodotto dalla Asylum nel 2007).

Fu lo stesso Richard Matheson a scrivere la sceneggiatura de L’ultimo uomo della Terra, girato da Ubaldo Ragona (o Sidney Salkow …) con scarsissimi mezzi e straordinaria efficacia, grazie soprattutto all’interpretazione di Vincent Price, nei panni dello scienziato che scopre di essere immune al virus che ha ridotto gli altri in emofagi, divoratori di sangue.

Poi, nel 1968, fu George A. Romero a ‘forzare la mano’ allo spunto originale e rendere i sopravvissuti esseri affamati di carne umana, con La notte dei morti viventi (Night of the living dead) da cui si diramerà la saga autonoma degli zombi. Infine Boris Sagal, regista di 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (The Omega Man) del 1970, con un Charlton Heston che si batte contro orde di nevrotici affetti da fotofobia e ossessioni religiose (la recensione).

Le quattro versioni di Io sono leggenda sviscerano la medesima idea. Il mondo finisce a causa dell’aggressione dei microbi. Nell’ultima variante cinematografica, il vampirismo è un effetto imprevisto della cura contro il cancro. Il fascino sinistro della storia di Richard Matheson sta nel binomio sterminio da morbo e sopravvivenza. Il malato costituisce da sempre un fattore di alterazione negli equilibri della comunità. Sigmund Freud, nel 1919, avrebbe parlato di ‘Unheimlich’, il ‘perturbante’, ovvero di quella figura che inquieta le normali percezioni. Le cronache dell’antichità e le opere d’arte toccano punte di angoscioso interesse verso l’epidemia.

l'ultimo uomo della terra price filmNel 1346, durante l’assedio di Kaffa, in Crimea, i Tartari lanciarono all’interno della cinta muraria cadaveri di soldati morti di peste. Di natura virale fu anche lo sterminio di certi popoli latinoamericani. Non soltanto involontario, secondo la versione ricorrente.

Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro fece assegnare deliberatamente agli indigeni coperte e abiti infetti di vaiolo. Nel 1710, durante il conflitto russo-svedese, le truppe zariste disseminarono cadaveri di appestati in Estonia per decimare il campo nemico. Una bomba atomica o un altro ordigno devastante può colpire qualsiasi area del pianeta, anche spopolata, e in tal caso non sortire alcun effetto dannoso. I microrganismi no.

Hanno bisogno di quella stessa umanità che distruggono. Sono i capisaldi della «bomba biologica», riprendendo il titolo dell’ormai proverbiale saggio di Gordon Rattray Taylor (The Biological Time Bomb, 1968).

La memoria europea conserva l’orrore della peste che risale alla tremenda ‘Black Death’, la morte nera del 1348. L’evento fu preannunciato da una malefica congiunzione astrale del 20 marzo 1345. Saturno, Giove e Marte si ritrovarono nella casa dell’Acquario. I primi due pianeti simboleggiavano morte e distruzione. Nello specifico, Marte e Giove con l’acquario indicavano l’esplodere di una pestilenza diffusa attraverso l’aria.

William di Dene, un monaco di Rochester, scrisse ciò che vide nella zona del Kent dove viveva: «Con nostro grande dolore, il morbo si portò via una sì vasta moltitudine di persone di ambo i sessi che non si trovava nessuno per portare i corpi alla tomba». La recrudescenza a Londra nel 1665, fu narrata nel 1772 da Daniel Defoe, l’autore di Robinson Crusoe, in Diario dell’anno della peste o La peste di Londra (A Journal of the Plague Year), antesignano di tutta la letteratura sulle catastrofi da contaminazione.

Il tasso altissimo di vite umane servì al commerciante di stoffe John Graunt per compilare il suo Natural and Political Observations Made upon the Bills of Mortality (1662), antesignane delle odierne statistiche. Una propaggine di quella pandemia è la peste di Milano, che incombe per obbligo scolastico dalle pagine de I promessi sposi di Alessandro Manzoni (1827), libro ben più appetibile se considerato – anche – un ‘thriller sanitario’.

diario dell'anno della peste libroL’attualità, d’altronde, rimette periodicamente indietro l’orologio del progresso. Si vedano l’Aids, il virus Ebola e la polmonite atipica, che hanno segnato il trapasso del millennio. Da ultimo, i casi continui di meningite. Non è dal profondo del tempo che Richard Matheson ha fatto risorgere la mostruosità del vampirismo, ma dal perenne vacillare della specie umana sulle fondamenta della propria fragilità organica.

Le variazioni sullo stesso ‘tema’

Fin dal 1969, Michael Crichton ipotizzava nel suo romanzo Andromeda l’arrivo di un virus invincibile, dallo spazio. Si paventava anche una mutazione del ceppo patogeno, esattamente come per l’influenza aviaria dilagata qualche anno fa in Cina. Nel film del 1995 Virus letale (Outbreak) di Wolfgang Petersen, Dustin Hoffmann interpreta il ruolo di Sam Daniels, ufficiale medico dell’esercito americano convinto, dopo il soggiorno in un’area di contagio africana, che gli Stati Uniti possano essere attaccati da un male dilagante ed incurabile.

In Virus (1999) di John Bruno, gli extraterrestri scoprono invece che l’uomo è una forma di infezione che mette in pericolo
l’universo, decidendo di eliminarlo. Il romanzo Il quarto cavaliere, di Alan E. Nourse, medico-scrittore come Michael Crichton e inventore del termine ‘blade runner’, delineava nel 1984 una mutazione di peste che mette in pericolo l’intera specie intelligente. Due romanzi di Tom Clancy, Potere esecutivo (1996) e Rainbow Six (1998), sono imperniati sul rischio di virus diffusi negli Stati Uniti da terroristi. Trame che tornano anche in Contagio letale (1997) e Omega (1998) di Patrick Lynch.

Il tutto però è poca roba di fronte all’affresco tragico del film L’esercito delle 12 scimmie (la recensione) di Terry Gilliam del 1995, in qualche modo ispirato a La Jetée di Chris Marker del 1962. L’ex Monty Python, già cantore di un futuro disarmante come quello di Brazil (la recensione) filma un domani molto fosco. Élites di tecnocrati che manovrano un’epidemia attraverso una macchina del tempo. O ancora, nella serie televisiva inglese I sopravvissuti (1975 – 1977) un virus ha sterminato il genere umano, tranne i pochi del titolo.

28 giorni dopoPiù dignitosi dei loro connazionali di 28 giorni dopo. Qui le isole britanniche sono decimate da un’epidemia di rabbia che trasforma gli umani in pazzi furiosi. Un monito dal registro violentissimo, che esprime la visuale dei due giovani autori cui si deve la
pellicola: il regista Danny Boyle, reduce allora dal successo dell’allucinato Trainspotting, e lo sceneggiatore Alex Garland, giunto al successo con il romanzo The Beach.

Per le strade di una Londra dove si aggirano indemoniati, ogni sequenza si risolve in dosi massicce di sangue, ma nei dintorni rurali certo non si sta meglio. Gli esempi sarebbero innumerevoli (all’appello possiamo aggiungere Blindness – Cecità del 2008, Contagion del 2011, Contagious – Epidemia mortale del 2015 ecc. ecc.).

Cosa possiamo quindi dedurre da questo ciclo infinito che non sembra intenzionato ad arrestarsi, ma che anzi pare costantemente rinnovarsi? Che anche le nuove generazioni considerano la prospettiva apocalittica della pandemia l’incognita estrema, che mette a repentaglio una risorsa già fin troppo depauperata: il futuro.

Di seguito il trailer internazionale di L’ultimo uomo della Terra: