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Voto: 8/10 Titolo originale: Signs , uscita: 02-08-2002. Budget: $72,000,000. Regista: M. Night Shyamalan.

Riflessione: Signs di M. Night Shyamalan, la sci-fi che parla delle paure più profonde del presente

04/02/2020 recensione film di William Maga

Nel 2002, Mel Gibson e Joaquin Phoenix erano i protagonisti di un blockbuster hollywoodiano anomalo, che rifletteva sull'oggi guardando intensamente al passato

signs film mel gibson

Uscito nei cinema nel 2002, Signs, allora ultima fatica di M. Night Shyamalan, il regista enfant prodige della Hollywood più attenta, autore di Il sesto senso e Unbreakable – Il Predestinato, non era quello che sembra. Sembrava, almeno dalle locandine che fotografavano il faccione del protagonista Mel Gibson accanto all’immagine di uno dei famosi ‘cerchi nel grano’, nonché dal titolo stesso, il classico filmone hollywoodiano su commissione che intendeva sfruttare a fini commerciali l’affascinante mistero dei crop circles per catturare l’attenzione e l’immaginario dei tanti appassionati di ufologia e di paranormale.

Signs M. Night ShyamalanCi si aspetterebbe, dunque, un perfetto mainstream americano (il budget era di 72 milioni di dollari, diventati 408 al botteghino), sulla scia del genere ‘fantascienza con gli extraterrestri’, devoto allo Steven Spielberg di Incontri ravvicinati del terzo tipo, che indaghi il fenomeno della formazione dei cerchi nel grano (che, come molti sanno, affiorano, anche contemporaneamente, in vari punti del globo, ma maggiormente in Inghilterra, dal nulla della notte in perfette e mirabili figure geometriche ‘impossibili’ ampie anche centinaia di metri) e ci si ritrova innanzi a un film altrettanto mirabile, ma che prende il misterioso e inspiegato evento solo come spunto per andare altrove. E dove? Dalle parti del thriller emulo di Alfred Hitchcock e del cinema di science fiction degli anni Cinquanta.

Lo si capisce fin dai titoli di testa di Signs che appaiono, a schiaffo, bianchi su schermo nero con un carattere d’altri tempi, ritmati da scrosci di violini squillanti e intermittenti a metà strada tra Psycho e Gli Uccelli. Gli succede, dopo la tensione scaturita per effetto di inconscia evocazione hitchockiana, una rasserenante immagine di campi coltivati a grano subito resa liquida dalla messa a fuoco in primo piano del vetro di una finestra di una casa di campagna. Siamo già dentro e lì rimaniamo.

Inizia l’escalation del terrore e della paura, che prende e circonda un pastore (Gibson) da poco spogliato della fede perché vedovo della moglie morta in un atroce incidente stradale e la sua famiglia, composta da una figlia di sei anni (Abigail Breslin), ossessionata dai bacilli dell’acqua, un figlio di poco più grande (Rory Culkin), e del fratello (Joaquin Phoenix), ex campione di baseball di serie B. L’atmosfera che avvolge le soleggiate pianure di grano con la casetta nel mezzo è subito claustrofobica e inquietante. L’apparizione dei meravigliosi cerchi cala come un’ombra sulla famiglia, già in crisi, e sulla comunità, presto internazionale. I cerchi nel grano sono segnali cartografici lasciati dagli extraterrestri pronti a invadere e depredare la Terra. Si arriva all’accerchiamento attraverso una fitta tela di dialoghi e di situazioni che convertono lo scetticismo della nostra famiglia in terrore.

Con scarti progressivi, M. Night Shyamalan ci porta, partendo dal ritratto di una dolorosa vicenda famigliare, nelle braccia della fantascienza anni Cinquanta da ‘invasione degli ultracorpi’. Siamo nel cuore di uno degli elementi portanti dell’immaginario cinematografico e letterario americano, ovvero la teoria dell’accerchiamento operato da forze di un male sempre diverso ma sempre terribile, che sia quello degli indiani ai danni dei fortini yankee, quello naturale e violento delle balene bianche alla Moby Dick, o ancora quello degli zombi dei film coi morti viventi. La scena in cui gli eroi chiudono, con assi di legno, porte e finestre, presente anche in Signs, è una metafora lampante di questo topos ‘lettarario’. È la storia di un Mondo Nuovo che cerca di metabolizzare, attraverso la finzione, la violenza che lo ha partorito.

signs shyamalanE quali sono, secondo questa logica, gli appigli cui aggrapparsi per trovare salvezza, a parte l’endemica sfacciata fortuna che caratterizza le azioni di tutti gli eroi, anche se uomini comuni e non super? I valori della famiglia, la fede, la solidarietà. Non a caso, il pastore Graham Hess tornerà a ‘vestirsi’. Ora, se i film non sono occasione per parlar di qualcos’altro, il cinema tutto perde ogni volta un’occasione. E molta parte della produzione cinematografica, soprattutto statunitense, verifica questa impotenza a ‘guardar fuori’, a parlar d’altro, a essere strumento per decifrare il mondo e le sue cause.

I più avveduti se ne son accorti e, nonostante le pressanti richieste delle major a produrre ‘il nulla che si muove’, slittano intelligentemente o verso i grandi temi della spiritualità, della fede, dei valori della famiglia, o verso il recupero della fascinazione pura del cinema classico, d’una volta, omaggiando i grandi maestri, dal citato Alfred Hitchcock a Douglas Sirk.

M. Night Shyamalan con Signs realizza entrambe queste le pulsioni, verificando l’inizio di una tendenza che guarda indietro perché davanti non vede niente. In più, va detto che il cupo contesto campagnolo della Pennsylvania è suggestivo e avvolgente nelle geniali scenografie di Larry Fulton e nella fotografia del giapponese Tak Fujimoto. Senza contare che, ardente sostenitore del film perché coltivatore di una fervida vocazione mistica (culminata in La Passione di Cristo del 2004), Mel Gibson è un perfetto protagonista, assecondando il regista nell’arpeggiare su temi metafisici che bordeggiano i confini della realtà e ventilando così angosciosi scenari, aprendo oscuri baratri di terrore in chi guarda.

Curiosamente, nel 2002, il regista Todd Haynes, in modo più lampante, con Lontano dal paradiso, sembrava presagire la medesima idea, un segnale chiaro, però, di un’insofferenza. Spostando d’un tratto la solidissima sceneggiatura di M. Night Shyamalan, possiamo allora collegare Signs a quella tradizione di film che sfruttano il genere della fantascienza per fare quadrato intorno alle mille paure che spesso si credono esterne, alias gli alieni cattivi, ma che altrimenti germinano all’interno, come spiegava benissimo anche Michael Moore, che col suo Bowling a Columbine, sempre quello stesso anno, disegnava un’America tenuta in ostaggio dall’industria della paura, che vende armi come difesa dalle minacce che gli stessi media giornalmente sparano sull’audience.

Di seguito la clip del baby monitor di Signs: