[riflessione] Un 2016 di cinepanettoni indigesti
31/12/2016 news di Giovanni Mottola
L'anno si chiude con un bilancio misero per l'italica commedia natalizia
Se ci seguite abitualmente, saprete che il Cineocchio si occupa di horror, fantascienza e azione (soprattutto), ma la quasi contemporanea uscita in sala di ben 5 film comici italiani in questo periodo ci offre un’occasione troppo ghiotta per fare uno strappo alla regola proponendo un quadro sullo stato della commedia nel nostro Paese. La tradizione vuole che a Natale le famiglie festeggino prima a tavola e poi al cinema e per molti anni la loro scelta si dirigeva in maniera quasi obbligata sul film della ditta Boldi & De Sica, la cui presenza durante le festività era diventata un’abitudine tanto consolidata da far nascere il neologismo “cinepanettone“. I due l’hanno fatta a lungo da padroni, trovando solo occasionalmente un po’ di concorrenza natalizia. Ora che la storica coppia si è separata, non essendoci più il cinepanettone per eccellenza, divoratore di ogni concorrente, i produttori si fanno la guerra concentrando in questi giorni l’uscita di ogni loro commedia, con il rischio di abbassare la già tutt’altro che eccelsa qualità.
Quest’anno sono usciti ben due film che inseriscono già nel titolo la parola Natale (“Un Natale al Sud” di Federico Marsicano e “Natale a Londra – Dio salvi la Regina” di Volfango De Biasi), ma nel periodo di festa sono arrivati in sala anche “Poveri ma ricchi” di Fausto Brizzi, “Non c’è più religione” di Luca Miniero e “Fuga da Reuma Park” di Aldo, Giovanni e Giacomo. Ecco i 5 cinepanettoni dell’anno 2016, ma a essi bisognerebbe aggiungere anche “Mister Felicità” di Alessandro Siani, che sarà presentato a inizio 2017 nella speranza che paghi la tattica di uscire per ultimo, come accade da qualche tempo per Checco Zalone. Inoltre, rimanendo in tema di film a cavallo tra il comico e la commedia usciti negli ultimi tempi, si potrebbero considerare anche i recentissimi “Non si ruba a casa dei ladri” degl’inossidabili fratelli Vanzina e “Quel bravo ragazzo” di Enrico Lando con Herbert Ballerina. Ad essere sinceri questi titoli non andrebbero valutati come un tutt’uno perché autori e interpreti, pur appartenendo in senso lato allo stesso sottogenere, sono molto diversi tra loro per storia, formazione e ambizione. L’occasione ci sembra però propizia per fare il punto sullo stato della comicità del nostro paese. Per ragioni diverse essi ci paiono tutti insoddisfacenti sotto ogni aspetto: regia, sceneggiatura e interpretazione.
Partiamo dal manico, cioè dalla regia. Marlon Brando sosteneva che il teatro è degli attori e il cinema dei registi, ma a leggere i nomi dei cinque autori che firmano i cinepanettoni 2016 la teoria del divo americano risulta clamorosamente smentita. Nessuno di loro nasce dietro la macchina da presa: alla regia sono in prestito, come Aldo, Giovanni e Giacomo (coadiuvati da Morgan Bertacca, come già nel precedente film), oppure vi sono approdati dopo essersi specializzati nella sceneggiatura, come è capitato a Brizzi, De Biasi, Miniero e ora al debuttante Marsicano. Questa seconda via non è una novità, se pensiamo che analogo fu il percorso di Steno, Mario Monicelli o Ettore Scola, che però erano tre giganti ai quali si mancherebbe di rispetto paragonandoli agli attuali registi. Se è vero che i film comici sono i più adatti per realizzare questo passaggio perché puntano soprattutto – interpretazione degli attori a parte – sulla forza della sceneggiatura e perciò chi ha dimestichezza con il testo spesso ha anche le idee chiare sull’insieme del film e sulle chiavi da utilizzare per far scaturire la risata, è vero anche che il lavoro di regia richiede inoltre la capacità di far rendere al massimo gli attori e di adattare in corsa la sceneggiatura, l’attenzione al ritmo delle singole scene e dunque dell’opera intera, la ricerca di un amalgama tra le varie componenti di un film. Nelle mani di un regista poco rodato anche la sceneggiatura più efficace rischia di sfaldarsi, così come un altro più esperto può riuscire a mettere qualche toppa a un testo scadente. Non è un caso che i film più sgangherati risultino quindi “Fuga da Reuma Park” e “Un Natale al Sud”, firmati rispettivamente da chi non è regista di mestiere (Aldo, Giovanni e Giacomo, in collaborazione con Morgan Bertacca) o da chi è alla sua prima esperienza (Federico Marsicano, al quale non va ascritta alcuna colpa, perché sarebbe come pretendere che un calciatore delle giovanili risolva i problemi di una squadra piena di giocatori esperti). Da questo punto di vista, “Non c’è più religione” e “Poveri ma ricchi” partono avvantaggiati perché si avvalgono delle mani più rodate di Miniero e Brizzi. Entrambi però si trovano più a loro agio con la commedia che con il registro comico e quindi realizzano due film che rimangano a metà strada tra i due generi senza entrare a pieno titolo in nessuno dei due. Oltretutto, rispetto agli altri due film che non hanno altra pretesa se non quella di far ridere (pur riuscendoci poco), i lavori di Brizzi e Miniero hanno l’aggravante di una fastidiosa retorica, perché il primo fa la morale ai ricchi e il secondo propina una propaganda in favore dell’integrazione. Materia nemmeno originale, dal momento che lo stesso Miniero l’aveva già ripetutamente trattata con “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al Nord“, dei quali “Non c’è più religione”, interpretato per giunta dagli stessi Bisio e Finocchiaro, diventa così una sorta di versione spirituale. La scarsa originalità in tema di sceneggiatura affligge anche gli altri cinepanettoni: “Poveri ma ricchi” è il remake di un film francese (e in certi momenti anche la versione volgare delle Vacanze intelligenti di Sordi) ed è il pretesto per consentire a Christian De Sica d’interpretare il solito personaggio del burino, mentre gli altri due sono in pratica uguali a sè stessi, dal momento che Aldo Giovanni e Giacomo hanno fatto poco più che riesumare i vecchi sketch e anche Boldi in “Natale al Sud” ripete per l’ennesima volta le solite gag. Per tacere, a proposito di quest’ultimo film e di “Poveri ma ricchi”, delle ripetute volgarità. Non si pretenderebbe certo che le sceneggiature dei cinepanettoni fossero capolavori, ma è desolante prendere atto che proprio nel genere in cui per molti anni siamo stati considerati i maestri, grazie a sceneggiatori straordinari (valgano per tutti Age & Scarpelli, ma se ne potrebbero citare tanti altri), siamo ormai condannati a ripeterci o a copiare da altri.
I nodi vengono al pettine alla conta degli incassi che, ormai superato il Natale, sono quasi da considerare grossomodo definitivi. I numeri sono bassi in generale per tutti e soprattutto inferiori alle rispettive ultime fatiche. De Sica, con 2.556.000 euro, è in netta discesa rispetto al suo precedente Vacanze ai Caraibi (4.174.607 euro). Boldi scende dai 3.676.000 euro di Matrimonio al Sud ai 2.889.000 euro di Un Natale al Sud; Aldo Giovanni e Giacomo addirittura affondano dai 12.983.000 de Il ricco, il povero e il maggiordomo del 2014 al misero risultato di 1.441.000 di Fuga da Reuma Park. Senza contare che l’anno passato c’era anche la concorrenza del campionissimo Zalone. Abbiamo associato i film agl’interpreti perché è sulla loro presenza e sulla naturale simpatia che li connota tutti che si reggono questi cinepanettoni, sullo schermo e ancor più al botteghino, nella speranza che ogni volta il pubblico possa accontentarsi di fare qualche sghignazzo e riconoscere loro l’alibi dei pessimi copioni da interpretare. Sia Boldi che De Sica conservano un loro pubblico di riferimento, tanto è vero che anche dopo lo scioglimento della coppia a Natale non hanno saltato un giro: il primo ricreando con il napoletano Biagio Izzo la contrapposizione tra settentrione e meridione; il secondo continuando a dar volto al personaggio del romano cafone, affiancato in quest’occasione dal più misurato Enrico Brignano. Anche Aldo, Giovanni e Giacomo hanno i loro fan, soprattutto tra coloro che sono cresciuti con le loro gag prima televisive e poi cinematografiche. Paradossalmente, proprio quello a cui sembra toccare in questo senso l’impresa più ardua – Claudio Bisio, che è stato certamente per molti anni l’anima del seguitissimo Zelig, ma al cinema non ha mai lasciato un’impronta netta – ottiene il miglior risultato con i 3.082.000 del suo Non c’è più religione. Probabilmente perché il suo film non è stato considerato un “cinepanettone” in senso stretto, ma un film con maggiori pretese e ha dunque attratto anche un pubblico più schizzinoso. In ogni caso, mai come quest’anno si nota la debolezza dovuta alla provenienza cabarettistica degl’interpreti (vale per Boldi, per il Trio, anche per Bisio, per il suo lato comico), cioè da un contesto dove la comicità è molto diversa da quella che può funzionare sul grande schermo. Pochi infatti sono stati i cabarettisti che hanno avuto un duraturo successo nel cinema e vanno ricercati tra coloro che hanno saputo creare un personaggio eterno (vale naturalmente per il Fantozzi di Paolo Villaggio, che al cabaret cominciò, ma anche per l’ingenuo di Pozzetto) oppure imparare a diventare veri e propri attori (come fu per Diego Abatantuono, che dalla macchietta del terrunciello passò a lavorare con Pupi Avati e Gabriele Salvatores). Tutti coloro che, pur avendo avuto il loro momento di celebrità, hanno conservato sempre le stesse gag, a lungo andare hanno smesso di divertire oppure hanno dovuto adattarsi a lavorare in film corali. Gli artisti dei cinepanettoni 2016 sembrano appartenere cinematograficamente al passato e purtroppo nuove leve – all’infuori dell’eccezione Zalone – non se ne vedono. Boldi e Aldo Giovanni & Giacomo mostrano palesi segni di invecchiamento e di svogliatezza; De Sica dà il suo meglio come artista brillante ma non è un comico naturale (anche se da anni si ostina a farlo); Bisio è quello che mette più impegno e rendimento ma i panni del protagonista sul grande schermo risultano un po’ troppo larghi per lui. Funzionano meglio le secondi parti di Brignano, Gassmann e perfino della sorprendente Anna Tatangelo, la quale si dimostra, oltre che molto carina, anche brava e spigliata e non meritava di debuttare al cinema con un film brutto come Un Natale al Sud. Ma se nella fiera della comicità la migliore è una cantante c’è poco da ridere e molto da piangere, soprattutto pensando all’impietoso confronto con il passato, quando la commedia era affidata ai “quattro colonnelli” (Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Vittorio Gassmann e Nino Manfredi) e la comicità a chi usciva dalla scuola della rivista (che anche gli stessi Tognazzi e Sordi avevano frequentato in gioventù), dove se non si faceva ridere si ricevevano fischi (quando andava bene) o pomodori e gatti morti (quando andava male), ma se si superava l’esame si entrava di diritto tra i grandi artisti. Il decadimento del teatro, cioè del palcoscenico che costringe a mettersi in gioco tutte le sere anzichè una sola volta all’anno e dunque a reinventarsi di continuo, ha probabilmente una parte importante nella perdita di qualità di tutto il mondo dello spettacolo del nostro paese.
Non vi sarà certamente sfuggito che sin qui abbiamo omesso da questo discorso ogni riferimento a “Natale a Londra”, pur avendo in gran parte titolo anch’esso per rientrarvi. Come per gli altri, la regia è infatti nelle mani di un onesto mestierante, ex sceneggiatore, come Volfango De Biasi che porta sullo schermo una storia abbastanza strampalata, l’ennesima versione povera de “I Soliti ignoti” con qualche richiamo alla coppia Bud Spencer-Terence Hill. Il film soffre di cadute di ritmo e scarsa linearità dell’azione, ma nonostante questo, come nel paese dei ciechi l’orbo è un re, si pone un gradino sopra gli altri per esclusivo merito degli interpreti Lillo & Greg i quali, supportati da Nino Frassica e da qualche battuta molto azzeccata, conferiscono all’insieme una vena surreale e mai volgare, dimostrandosi i comici più originali di oggi e sopperendo con la loro simpatia a tutti i difetti del film, proprio come accadeva un tempo per Aldo, Giovanni e Giacomo. Nonostante questo il botteghino non arride nemmeno a loro, perché un umorismo di parola come quello di Lillo e Greg rende al massimo in radio (dove i due spopolano da anni) e al minimo sul grande schermo e così anch’essi, dopo un discreto risultato con i 4.057.853 euro del precedente Natale col Boss, precipitano ai 1.949.000 dell’attuale film.
Ad uso di chi volesse approfittare degli ultimi giorni di programmazione per andare a vedere uno di questi cinepanettoni, li sintetizziamo qui di seguito in poche righe.
Non c’è più religione. Mancano bambini nell’isola di Portobuio, dove l’unica attrazione è il presepe vivente. Per il ruolo di Gesù il sindaco Bisio e la suora Finocchiaro sono allora costretti a chiederne uno in prestito alla comunità islamica, guidata dall’amico convertito Gassmann, il quale sulle prime avanza richieste improbabili. Alla fine ogni divergenza sarà appianata. “Cinepanettone” per il periodo di uscita in sala, ma non nel senso classico del film vacanziero, cerca di volare più alto raccontando una storia d’integrazione tra la comunità cristiana e quella islamica. Puzza però di già visto, una sorta di versione religiosa di Benvenuti al Sud, con il quale condivide i bravi interpreti e il regista Miniero, che anche in quest’occasione non riesce a fare a meno di una certa retorica. Nei panni del vescovo che pare chiedersi “Cosa ci faccio qui”, il sempre bravo Roberto Herlitzka si pone probabilmente la stessa domanda riguardo alla sua partecipazione al film.
Fuga da Reuma Park. Si regge su un esile spunto – Aldo, Giovanni e Giacomo che si ritrovano da vecchi in un luna park adibito ad ospizio e meditano di fuggire verso Rio de Janeiro – all’interno del quale i tre ripropongono le loro storiche gag del cabaret e della televisione. Poco più di un collage, tra antichi sketch rifatti oggi e addirittura vecchi filmati riproiettati. Qualcosa di simile era accaduto anche con il loro primo film “Tre uomini e una gamba“, che scontava i difetti dell’inesperienza, ma oltre a una storiella un po’ più solida si avvaleva della freschezza di volti nuovi e delle loro trovate migliori. Questo invece sembra tanto un testamento in cui i simpatici tre, non avendo idee nuove, se la cavano passando in rassegna la carriera.
Poveri ma ricchi. Una famigliola di disperati vince 100 milioni di euro e da un borgo del Lazio si trasferisce a Milano dove sfoggerà la propria cafonaggine al cospetto dei nuovi “sciuri” con la puzza sotto il naso, che si muovono in bicicletta e detestano i fritti. Non riuscendo a integrarsi, torneranno al paesello, per la felicità del cognato Brignano che a Milano si è fidanzato con una ragazza che odia i ricchi. E’ il remake di una commedia francese, ma sembra ancor più ispirato alle Vacanze Intelligenti di Sordi, senza averne la geniale satira, qui sostituita da una moralina contro la ricchezza condita con qualche inutile volgarità. Brignano e Ubaldo Pantani i migliori in campo, superiori a De Sica che non è un comico naturale. Comparsate di Giobbe Covatta, Al Bano e Gianmarco Tognazzi oltre a quella, penosa, del presidente della Sampdoria Massimo Ferrero.
Natale a Londra – Dio Salvi la Regina. Per riscattarsi agli occhi del padre, banditello romano indebitato fino al collo, l’imbranato Lillo rintraccia il fratello ex duro ma pronto a tornar tale Greg e con lui s’imbarca per Londra a riscuotere un vecchio credito con il ristoratore Frassica, soprannominato il Barone, che però è a sua volta nei guai per aver perso tutto a carte. Per tirar su i soldi necessari pensano bene di rapire i cani della regina Elisabetta. Complicazioni a catena. La storia è inverosimile e oscilla tra umorismo surreale e azione comica stile Bud Spencer. In più i personaggi di contorno sono troppi e alcuni con caratterizzazione eccessivamente macchiettistica (come i ristoratori rivali di Frassica). E’ però di gran lunga, a nostro giudizio, il più divertente dei cinepanettoni, grazie ad alcune battute azzeccate, affidate alla vena dell’originale duo Lillo & Greg e del loro compagno di avventure radiofoniche Nino Frassica, con la cui comicità s’intendono a meraviglia. Apprezzabili la comparsata di Ninetto Davoli e l’assenza di volgarità.
Un Natale al Sud. Al tempo di internet può capitare persino che due ragazzi siano fidanzati da un anno con ragazze mai incontrate di persona. Provvedono i genitori a rimediare, prenotando loro una vacanza organizzata da un sito di anime gemelle e seguendoli sul posto, dove verranno anch’essi coinvolti nei soliti equivoci. Al povero regista Federico Marsicano è stato affidato il timone di una barca piena di falle che solo un Boldi in forma avrebbe potuto salvare. Invece il comico milanese appare svogliato e intristito dal dover interpretare un canovaccio stantio, mai divertente e parecchio volgare, e si limita a qualche citazione da Totò o dai suoi stessi vecchi sketches, come se lui per primo sentisse nostalgia della vera comicità. Se la migliore è la spigliata esordiente Anna Tatangelo significa che più di qualcosa non funziona.
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