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Titolo originale: 大象席地而坐 , uscita: 14-12-2018. Budget: $2,500,000. Regista: Hu Bo.

Rivisti Oggi | An elephant sitting still di Hu Bo

12/11/2020 recensione film di Valeria Patti

Il regista cinese rimastica il grande cinema autoriale che ricorda quello di Béla Tarr e lo plasma in modo personale, regalandoci una grandissima opera prima - e ultima - che stordisce e commuove nella sua essenza

AN ELEPHANT SITTING STILL film 2018

Viviamo in un’epoca dove il pensiero positivo ci costringe, in una sorta di gioco grottesco. Dobbiamo essere brillanti e reagire alle sconfitte. Di per sé non c’è nulla di sbagliato, ma al tempo stesso sembra di partecipare al gioco delle parti; è vero, proporre esempi positivi aiuta le nuove generazioni a reagire contro le ingiustizie e a sentirsi meno soli, ma si parla sempre meno di chi non ce la fa. Nel marasma social le persone rimaste indietro guardano a chi si realizza. Non tutti hanno la possibilità di dare voce al proprio dolore, ed esiste una sorta di vergogna ad ammettere la sconfitta.

AnElephantSittingStill.jpgChi soffre, ma ha la fortuna di potersi esprimere con l’arte, non dimentica quanto sia necessario dare voce, a chi una voce non ce l’ha. Hu Bo con An Elephant sitting still (Da xiang xi di er zuo) del 2018 rinuncia a ogni compromesso e si mette in gioco per quasi 4 ore raccontando con un’onestà disarmante la tragedia umana. L’incipit del film si concentra sul dare significato al titolo dell’opera: c’è un elefante a Manzhouli e sta seduto tutto il giorno. Alcune persone cercano di stuzzicarlo per farlo reagire, ma lui non risponde, indifferente allo sguardo dei visitatori.

L’elefante è il simbolo di fuga che si insinua nella psiche dei protagonisti, pronti a dileguarsi pur di evadere da una realtà dolorosa. Wei Bu è un adolescente che scappa dopo aver spinto giù dalle scale Shuai un bullo della scuola. Ling è una ragazzina compagna di classe di Wei, frequenta in segreto il vicepreside della scuola e ha un rapporto conflittuale con la madre. Cheng è il fratello maggiore di Shuai e si sente in colpa per il suicidio di un caro amico. Infine il signor Wang è un pensionato con un figlio che lo vuole trasferire in un ospizio per anziani.

An elephant sitting still è di una tristezza inconsolabile. Ti costringe a riflettere e ti commuove nel suo essere così onesto e privo di retorica. È uno specchio che rimanda a una realtà desolata abitata da persone dimenticate, disperate e avvolte nella colpa di essere nate nel grembo sbagliato. Possiede una delicata fragilità. Le storie vengono raccontate attraverso dialoghi che esplicano mondi interiori frantumati. Le parole sono frutto di dissensi radicati nella psiche di chi è impossibilitato a credere nel futuro. Wei Bu e Ling sono nel pieno della giovinezza, hanno l’età perfetta per divertirsi, sognare e avere fiducia nell’avvenire, ma la situazione nella quale sguazzano li costringe a vagare senza meta in un mondo feroce e squallido.

La stessa scuola che frequentano verrà demolita per accorparsi con un’altra, il diritto all’istruzione distrutto e il destino degli studenti segnato. Dopo il diploma finiranno per diventare ambulanti, si prospetta così una vita umile e degradante. Cheng è un boss violento della zona. La famiglia esige da lui un’esecuzione per vendicare il fratello in fin di vita e così si mette alla ricerca di Wei Bu, ma il senso di colpa per l’amico suicida e il rifiuto della donna che ama lo obbligano a riflettere sul percorso esistenziale fin ora intrapreso. Ed è proprio durante un dialogo con la donna amata che espone la propria inadeguatezza: la mia vita è come una discarica. I rifiuti continuano ad accumularsi. Arrivano uno dopo l’altro e non ho il tempo di smaltirli.

Il Signor Wang è legato profondamente alla nipotina, abituato a una vita umile si ritrova ad affrontare un possibile cambiamento: privarsi della propria casa per lasciar spazio alla famiglia del figlio. Per un evento spiacevole sarà costretto a confrontarsi con una famiglia ricca. La palese diseguaglianza fa intravedere quanto le classi sociali più abbienti guardino dall’alto quelle più povere, destinate a soccombere.

AN ELEPHANT SITTING STILL filmLa regia si erge su lunghi piani sequenza, spesso ci troviamo a seguire le vicende alle spalle dei protagonisti, ci sentiamo impotenti, impossibilitati a reagire difronte a un punto di vista così ostico. Hu Bo gioca con un paradosso che gestisce con egregia maestranza: la violenza risiede nella non violenza. In attesa di un’esplosione emotiva, comprendiamo che la forma rappresenta l’essenza di An elephant sitting still: il dramma umano risiede nell’impossibilità di fuggire, ovunque si vada i tumulti interiori galleggiano nello spirito. Condividere i conflitti, le angosce primordiali e osservare i tremori intimi con occhi consapevoli concerne un punto di vista non standardizzato, differente dal modello attuale proposto dalla società.

Il regista cinese ci colpisce a suon di ceffoni e lo fa con un’eleganza da lasciarci attoniti. L’orizzonte non allude a un nuovo inizio, ma ci consente di accompagnare queste anime erranti in un viaggio di evasione. Varchiamo insieme a loro le piaghe dell’esistenza, percorriamo territori emotivi oscuri con profonda forza poetica. In An elephant sitting still c’è l’urgenza di esprimere un realismo che scinde dal racconto fine a se stesso. È un realismo che tocchi con mano, colmato da un’umanità oscura, ma pronta a reagire con volontà varcando i confini della solitudine. La solidarietà finale che unisce i personaggi per raggiungere l’elefante commuove e sospende ogni giudizio.

Il pensiero va allora a Hu Bo, che dopo aver scritto, diretto e montato il film si è ammazzato a soli 29 anni, ed è inevitabile chiedersi: l’essenza di questo giovane cineasta risiede nel barrito che riecheggia nel cuore della notte, o in quel personaggio che rimane indietro mentre gli altri proseguono?

Di seguito il trailer internazionale di An elephant sitting still, attualmente ancora inedito nel nostro paese: