Voto: 5/10 Titolo originale: Siren , uscita: 02-12-2016. Budget: $300,000. Regista: Gregg Bishop.
Siren: la recensione del film horror di Gregg Bishop
08/12/2016 recensione film Siren di Sabrina Crivelli
Promettente nel concept, lo spin-off di V/H/S con Hannah Fierman non riesce a realizzare a pieno le sue potenzialità
Spin-off dell’episodio “Amateur Night” dell’antologico V/H/S del 2012, Siren diretto da Gregg Bishop riprende il personaggio centrale del cortometraggio di David Bruckner (che qui è sceneggiatore) e una storia molto simile per dilatarli nel tempo, ma gli elementi davvero riusciti sono solo quelli che in qualche modo si rifanno all’originale.
Creatura singolare, crudele eppure fragile, Lily, interpretata dalla diversamente bella e molto espressiva Hannah Fierman, era comparsa nel secondo capitolo della suddetta antologia horror. Nella versione originaria veniva portata in una squallida stanza di hotel insieme all’amica da 3 ragazzi in cerca di divertimento e tutt’altro che bene intenzionati, si era invaghita di uno di loro, l’occhialuto Clint (Drew Sawyer), all’apparenza il più sensibile e meno viscido.
Collassata l’altra, per gli stravizi, la ragazza diveniva il nuovo oggetto delle brame lascive del gruppo, tuttavia in un twist che la trasformava repentinamente da preda a predatore, aggrediva coloro che volevano abusare di lei. Tale concept e, soprattutto tale personaggio, vengono sviluppati in Siren, che vorrebbe indagare più a fondo la storia di Lily, dalle origini, o qualcosa di simile, ma che finisce per replicare anche al contempo riprende molti aspetti della trama del corto e, sebbene in forma più estesa temporalmente, non riesce a essere altrettanto efficace.
Il film si apre in una chiesa abbandonata, che sembra essere stato lo scenario di rito satanico; c’è sangue dovunque, delle teste di capra su picchetti e simboli occultisti, tutto suggerisce che ci sia stata una messa nera, quivi fanno il loro ingresso un poliziotto (solo una comparsa “sacrificabile”) e uno strambo figuro dall’eccentrico abbigliamento ricorda un po’ Van Elsing, Mr. Nyx (Justin Welborn).
Questi sta cercando qualcosa nel luogo sinistro, o meglio qualcuno, lo chiama a sé, una strana e misteriosa creatura si nasconde nelle tenebre, ma lui con l’inganno e una cavigliera dagli oscuri poteri riesce a catturarla. Netto stacco, Jonah (Chase Williamson), si sta per sposare, il fratello Mac (Michael Aaron Milligan) e due amici Rand (Hayes Mercure) e Elliott (Randy McDowell) si apprestano a organizzare per lui un addio al celibato indimenticabile. Gli ingredienti essenziali? Alcol e spogliarelliste, ovviamente.
Tuttavia, arrivati nel luogo prescelto per la serata i quattro scoprono che si tratta di un fatiscente postribolo, abbacchiati all’inizio a trovare la soluzione è Mac, ossia ovviamente il più mentecatto della combriccola: seguire il più losco avventore di un club dal pubblico in generale molto discutibile, incrociato al bancone, che gli propone un altro locale sconosciuto, alludendo a grandi delizie al suo interno. Per quale motivo non fidarsi ciecamente di uno sconosciuto, dalle parvenze di criminale, e andare con lui di notte, in mezzo al nulla, senza conoscere la destinazione? Persino protagonisti ci pensano, ci scherzano sopra, ma ciò non li trattiene dal farlo lo stesso.
Per fortuna non vengono portati nel covo di una banda di rapinatori -o peggio-, ma a una sorta di maison close lussuosa e un po’ fané, che ricorda vagamente la magione segreta del kubrickiano Eyes Wide Shut, con annessi buttafuori e ballerine mascherati all’interno.
Il proprietario, il già citato Mr. Nyx, prospetta al futuro sposo un intrattenimento unico, in cambio di “un ricordo speciale” dei tre accompagnatori. Finalmente a questo punto compare Lily, parte decisamente meglio riuscita del film, rinchiusa in uno stanzino; sirena nell’accezione originaria, non nella mistificatoria immagine medioevale di donna pesce, è una creatura che può volare, con ali nascoste, e come nella versione omerica il suo canto ammalia chi lo ode, novelli Odisseo, li proietta in una totalizzante sensazione d’estasi che concentra tutti gli attimi di piacere sessuale mai provati in vita loro.
Di qui, o forse per un afflato di filantropia, la balzana idea di liberare la prigioniera, creduta vittima della tratta umana di schiave sessuali, peccato che quest’ultima non sia esattamente solo un’indifesa fanciulla sfruttata.
La nottata assume a questo punto un altro registro, sempre più lontana dal genere “Fidelio”, i tenutari del luogo si iniziano ad avvicinare di più a quelli mostrati nel bar per camionisti di Dal tramonto all’alba di Robert Rodríguez, sebbene con le debite differenze, almeno in quanto a particolari inquietanti. Sul palco si passa al sadomaso e una donna è legata e frustata fino alle urla, i testimoni, dopo lo pagamento della prestazione si trovano marchiati sul collo, ma non ricordano cosa sia successo, uno di loro beve uno strano drink con una specie di verme dentro.
Le stranezze, però, non riescono a creare un’atmosfera davvero inquietante, tutto è confusamente affastellato e, al contrario di Amateur Night, il mistero che ammanta il luogo e i personaggi dà più la sensazione di confusione narrativa, che non di terrificante arcano che si cela dietro all’apparenza. Poi inizia la fuga e, se possibile, lo svolgimento, come le sequenze, sono ancora più approssimativi e privi del pathos originale; si susseguono incidenti, squartamenti torture, ma nulla lascia veramente il segno.
Esistono altresì più idee valide nel pastiche teso a stupire. Anzitutto, la già più volte menzionata sirena, anche se è più un’eredità che altro, dato che la sua psicologia, come quella degli altri personaggi deve moltissimo a V/H/S.
Come là, anche qui si invaghisce del compassionevole Jonah, ferina predatrice che in molti aspetti non è davvero malvagia, almeno non sempre, è caratterizzata invece da un’infantile e perversa innocenza e, seppure sanguinaria assassina, a tratti fa tenerezza.
Creatura incapace di discernere razionalmente il male, di un’ingenuità primigenia, quasi animale, ricorda in un certo senso per indole quella mutaforma di Specie Mortale (Species) di Roger Donaldson, con cui condivide anche la coda. Riuscita è anche la scena dell’amplesso tra i due suddetti, sospesa in chiave allucinatoria tra reminiscenze visionarie ed erotiche e la realtà, che si rivela tutt’altro che sensuale per lo sventurato amante. Infine è senza dubbio un personaggio originale la sorta di idra psichica che lavora nel misterioso club e che ruba i ricordi passando le memorie attraverso delle sanguisughe, .
Nel complesso però i diversi elementi non sono inseriti in un insieme coerente e tutto è annacquato, per nulla disturbante come invece era il corto, né d’altra parte è declinato abbastanza al grottesco, divenendo una horror comedy come Dal tramonto all’alba. Sembra quasi che nelle riprese di Siren si sia perso qualcosa, come se Bishop non fosse stato in grado di rendere adeguatamente visivamente e diegeticamente il nucleo orrorifico nell’immagine filmica.
Il risultato finale è allora una pellicola non scadente, ma che ci lascia con la percezione che il potenziale non sia stato del tutto realizzato.
Di seguito il trailer ufficiale di Siren:
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