Il regista inglese si cimenta con la ghost story con diligenza, ma seguendo un po' troppo strade già battute
Le case infestate sono l’ambientazione perfetta per un film horror. Decine e decine di titoli hanno eletto una qualche sinistra magione a sfondo per terrificanti storie di fantasmi o demoni. Intere saghe, come quella iniziata nel 1979 da Amityville Horror di Stuart Rosenberg (la nostra riflessione), popolari franchise recenti come The Conjuring, serie televisive di successo quali Hill House (la recensione) o indie densi d’atmosfera tra cui Sono la bella creatura che vive in questa casa di Osgood Perkins (la recensione) si basano sul tale proficuo e affascinante concept. A volte il risultato è notevole, altre un po’ più deludente. Qualsiasi sia poi il valore di per sé, quasi sempre si rischia di ricadere nell’inevitabile ‘già visto’.
E per The Banishing, l’inglese Christopher Smith scegli di approcciarsi alla ghost story nel modo più classico possibile. Nonostante, difatti, sia ben confezionato e recitato, e vanti un paio di sequenze di notevole impatto visivo, non può desumersi dal riproporre il consueto repertorio di scricchiolii, oggetti che si spostano da soli, sussurri, bambini dai comportamenti sinistri e ombre che appaiono improvvisamente alle spalle. Il tutto collocato in una trama che, peraltro, presenta diversi punti poco chiari.
Gli stereotipi del sottogenere infarciscono letteralmente The Banishing, e non manca quasi nulla alla lista. Anzitutto c’è l’ingrediente fondamentale: una casa antica con tanto di labirintici e bui sotterranei in pietra in cui perdersi. Abbiamo la madre che lotta per salvare la propria bambina da una presenza maligna che vuole possederla. Abbiamo un campionario di ‘oggetti classici’ del terrore tra cui bibbie profanate, bambole decisamente inquietanti trovate nella stanza dei giochi (con tanto di occhi cavati) e specchi ‘spiritati’ che favoriscono la messa in scena di sequenze adeguatamente paranormali.
Anche il canovaccio di The Banishing è il solito. Una famigliola ignara si trasferisce nel luogo infestato con alle spalle una storia di efferatezze, omicidi o altri vari ed eventuali fatti di sangue. Le forze che lì risiedono iniziano così a manifestarsi, prima in maniera blanda, con qualche rumore e poco più, poi con apparizioni sempre più violente e terrificanti. Di norma, uno o più membri tra gli avventori viene attaccato – posseduto – e preso di mira. Un soggetto esterno (un prete, un mago, uno stregone, una medium ecc.) arriva in aiuto degli sventurati. In ultimo, in base al grado di nichilismo che contraddistingue il regista e lo sceneggiatore e a quanto si miri a rendere il film ‘commerciale’ (i lieti fine lo sono storicamente di più), il Bene trionfa sul Male, oppure soccombe.
Può sembrare uno schema un po’ semplicistico, ma le regole dei titoli sulle case infestate sono scritti nella pietra da decenni ormai, prendere o lasciare. Per fortuna ci sono le eccezioni e qualche particolarità a differenziare un’opera dall’altra. The Banishing, dal canto suo, opta per una insolita ambientazione novecentesca (sul profilarsi della Seconda Guerra Mondiale) e, al contrario di molti altri ‘cugini’, si mostra decisamente critico verso gli esponenti della Chiesa, mentre a salvare la situazione è, curiosamente, un occultista dai capelli rossi che la sa molto lunga.
Non solo la struttura di The Banishing è – come detto – piuttosto ‘usurata’, ma i caratteri più distintivi (i truci monaci torturatori, l’esperto di occulto, il lato oscuro della Chiesa, il nazismo sullo sfondo) restano abbozzati, senza che vengano fornite le necessarie spiegazioni o un approfondimento sul come o il perché, generando così non pochi dubbi che sarebbe stato importante fugare.
Poco può allora l’impeccabile cast principale composto da Jessica Brown Findlay, Anya McKenna-Bruce e John Heffernan che, pur mettendocela tutta nel restituire sensazioni e stati d’animo di una situazione sempre più inspiegabile, deve fare i conti con una scrittura convenzionale e che avrebbe potuto calcare maggiormente la mano nel tratteggiare i cattivi (o presunti tali). Non aiuta nemmeno il blando messaggio femminista di cui la protagonista, madre fiera di un figlio concepito al di fuori del matrimonio, si fa portatrice. Anche qui, la problematica è affrontata in maniera un po’ troppo semplicistica; senza contare poi alcune note ‘complottiste’ di cui il patriarcato ecclesiastico si sarebbe reso colpevole in diverse epoche.
Allo stesso modo, alcuni scene, soprattutto quelle che coinvolgono i sinistri monaci che infestano la casa, non possono che risultare inquietanti. Una serie di figure incappucciate circonda il letto di Adelaide nel mezzo della notte e la osserva nel sonno, oppure in un’allucinazione cosciente i medesimi individui, maggiori in numero, fluttuano a metri da terra in maniera innaturale (e così via); sono pochi fotogrammi, ma generano subito la giusta tensione.
In definitiva, abbiamo fotografia, regia, montaggio e recitazione di buon livello, un’ambientazione è suggestiva e carica di atmosfere, ma la storia è estremamente banale, con una scarsa attenzione per i particolari. Insomma, The Banishing non ha niente di meno – e forse addirittura qualcosa di più – di qualsiasi altro titolo riconducibile al tentacolare universo horror creato da James Wan, ma quasi certamente non avrà nemmeno di quei successi.
Di seguito trovate il trailer internazionale: