A quasi 20 anni dal primo Ju-On, la longeva e spremutissima saga horror riparte da zero - di nuovo - a Hollywood con Andrea Riseborough, John Cho e Demian Bichir, ma il risultato è tragico
Era il lontano 2002 quando debuttava sugli schermi Ju-On (Rancore), inaugurando inconsapevolmente una lunga e prolifica saga horror che non solo sarebbe stata composta da una dozzina di sequel in patria (il Giappone), ma anche un ‘doveroso’ remake americano, intitolato The Grudge, che a sua volta fu seguito da due seguiti diretti. Il capostipite, scritto e diretto da Takashi Shimizu, si concentrava su una terribile maledizione che colpiva chiunque entrasse in un’isolata villetta di Tokyo nella quale si era consumata una terrificante tragedia. Non solo; la forza oscura che aleggiava sul luogo infestato, nella personcina pallida di Kayako Saeki, aveva anche il potere di diffondersi come una sorta di oscura epidemia su chiunque ne fosse toccato.
Il risultato? Decisamente non all’altezza delle già basse aspettative per un prodotto del genere (a parte sporadiche eccezioni, la Ghost House Pictures di Sam Raimi e Rob Tapert non ha certo prodotto grandi capolavori in passato …), soprattutto perché, ormai arrivato al secondo ventennio del 21° secolo, The Grudge è del tutto fuori tempo massimo.
Perfino fosse stato girato alla metà degli anni 2000, periodo in cui è curiosamente ambientato, sarebbe stato già desueto, ma ai giorni nostri lo è davvero in maniera imperdonabile. Disdetta ancora più grave, visto che a girarlo è un filmmarker come Nicolas Pesce, che in precedenza aveva ampiamente dimostrato – in ambito indipendente – di aver qualcosa da dire nella forma così come nel contenuto.
The Grudge, classificato R-Rated per ‘immagini violente o scioccanti’ (solo sulla carta però …), è stato scritto da Jeff Buhler, già sceneggiatore del non proprio esaltante recente remake di Pet Sematary di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer (la recensione), che anche in questo caso non ha badato più di tanto ai dettagli, o alla coerenza dell’insieme. La storia si pare con il trasferimento della detective Muldoon (Andrea Riseborough) in una nuova città. Dopo un terribile lutto, la donna infatti decide di trasferirsi insieme al figlio per ricominciare una nuova vita.
Tuttavia, un giorno si imbatte in un caso di morte inspiegabile, collegato a una sinistra casa della zona in cui si sono consumati nel recente passato non pochi fatti altrettanto sinistri e, nonostante il collega Goodman (Demián Bichir) le consigli di lasciar perdere, la donna incuriosita inizia a indagare. Così, a ritroso nel tempo e attraverso una struttura a più cornici intersecate (in cui troviamo anche John Cho e Lin Shaye), viene rivelata la contorta storia di quel luogo maledetto, pieno di ‘rancore’ appunto, che divora non solo chiunque vi abiti, ma anche chi solamente si è avventurato all’interno delle sue mura.
La premessa, quella di un edificio suggestivo e infestato, la cui carica negativa trasuda da ogni parete, da ogni angolo, è per forza di cose assai affine all’originale Ju-On. Per ricollegarsi al J-horror c’è a inizio film perfino una frase di apertura stampata sullo schermo per gli spettatori smemorati (o under 20 ….), che descrive come, in caso di morte violenta, un’entità rancorosa permanga nell’ambiente dove si è consumata la sua dipartita in attesa di vendicarsi su qualche sfortunato passante.
Tuttavia, a parte questo collegamento forzato, qualche dettaglio nel concept generale, i raccapriccianti rumori gutturali di Kayako, e il fatto – peraltro solo malamente abbozzato – che tutto sia nato in effetti nell’originaria casa di Tokyo dove Takashi Shimizu aveva ambientato il suo primo lungometraggio, il resto storpia – in preda alla foga da ‘boccata d’aria fresca’ – molte delle regole consolidate.
Le stranezze sono molte nei 90 minuti del film e, tendenzialmente, più che seguire regole ben precise di costruzione della suspense, sono motivate dall’unica priorità di generare spaventi tanto immediati quanto telefonati, con jumpscare tra l’altro incredibilmente sciatti (presenze che appaiono / scompaiono quando si accende / spegne la luce, un personaggio che avvicina inautamente la faccia a una superficie d’acqua putrida e maleodorante ecc.), tanto che chi ha visto in vita sua almeno un horror non potrà che sorriderne (per non piangere), compresi gli amanti della saga e quelli del “si va beh, ma cosa ti aspettavi??”.
Nonostante il suo incoraggiante visto censura poi, chi cerca dettagli truculenti o particolarmente macabri in The Grudge si prepari soprattutto a una dose di spaventi acustici, in mezzo ai quali, sporadicamente si affaccia qualche sparuto momento gore più azzeccato. Nulla che risollevi in ogni caso una narrazione estremamente trasandata che cerca meramente, alla maniera della Blumhouse, di monetizzare sul concept e poco altro (aka gli omaggi all’opera di Takashi Shimizu).
E poco possono fare i sempre dignitosi Andrea Riseborough (Mandy), John Cho (Star Trek) e Demian Bichir (The Nun), gettati in un film che non si cura minimamente di appoggiarsi alle loro drammatiche interpretazioni per costruire qualcosa che potesse colpire anche emozionalmente lo spettatore.
In ogni caso, gli incassi globali, già arrivati a 50 milioni di dollari (sui 10 milioni di budget), non solo dimostrano ancora una volta come alla fine non freghi molto della qualità intrinseca di un horror mainstream, ma fanno presagire che la maledizione non sia ancora finita.
Di seguito trovate il red band trailer italiano di The Grudge, atteso nei nostri cinema il 5 marzo: