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Dossier – L’altro cinema belga (Parte II)

29/02/2016 news di Nicola Altieri

Da Bruxelles ad Anversa, prosegue il viaggio nel Belgio multirazziale, tra difficoltà, drammi e risorse per il futuro

Il cinema indaga il Belgio multirazziale tra difficoltà, drammi e risorse per il futuro

Black film belgioMolenbeek è un quartiere della zona ovest di Bruxelles, lì ha sede una squadra di calcio femminile che milita nel campionato regionale di Bruxelles-Brabant, al club appartengono circa 120 ragazze dai 6 ai 36 anni provenienti da ogni parte del mondo, in prevalenza Marocco, Turchia, Italia, Tunisia e Libia, tra di loro c’è una ragazza sordomuta scartata da tutti gli altri club e una ragazza musulmana che pur di giocare a calcio ha deciso di togliersi il velo.

Sono le “Molenbeek Girls e aprono le porte a chiunque, vivono nello stesso quartiere recentemente emerso alle cronache come nido del terrorismo islamico in Europa ma che da almeno 20 anni è meta di militanti jihadisti in esilio, un quartiere in cui 2 ragazzi su 5 sono disoccupati, in una città in cui il 65% degli studenti stranieri non termina gli studi e il 20% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Il Belgio ha attualmente una delle nazionali di calcio più forti d’Europa e in rosa ha giocatori originari di Congo, Kenya, Marocco, Indonesia, Kosovo, Martinica, Spagna e si potrebbe continuare. Il Belgio è il centro d’Europa, molto più che geograficamente e Bruxelles è il centro del Belgio molto più che politicamente, è il posto dove Valloni e Fiamminghi convivono, forzatamente o meno, felicemente o meno e insieme con loro c’è il mondo intero, con tutti i suoi problemi portati in braccio.

Mixed Kebab posterSe c’è qualcosa capace come lo sport di descrivere la multirazzialità e indagarla, andando a fondo in drammi e risorse, questo è il Cinema. Adil El Arbi e Bilall Fallah alla scuola d’arte erano gli unici studenti marocchini e questo li ha uniti al punto da fargli stringere un sodalizio artistico, sono cresciuti con il cinema americano metropolitano e hanno in testa la maniera di Spike Lee e Martin Scorsese di rendere la città una protagonista aggiunta che accompagna e influenza le vicende narrate. Per l’opera che gli ha consacrati hanno però seguito un approccio comune al brasiliano “City Of God”, il loro Black (2015) è infatti un West Side Story contemporaneo tra le gang e i quartieri periferici di Bruxelles, una storia d’amore e lotta che muovendosi nei territori del genere, tra crimini, malavita e banlieue, disegna un affresco inedito della capitale belga, un affresco a tinte forti, cupe, che lasciano poca speranza di redenzione, che prendono a pugni lo spettatore travolto da violenza quotidiana e un’ordinarietà fatta di soprusi e discriminazioni.

Un cinema energico e pulsante che scalcia e sgomita in cerca della propria definizione e maturazione nonché del proprio pubblico. Va infatti sottolineato come i film di Adil El Arbi e Bilall Fallah pur se coprodotti con il fondo per l’audiovisivo della Vallonia, ambientati a Bruxelles e conseguentemente recitati in francese, ottengono grande successo nelle Fiandre ma hanno difficoltà ad affermarsi tra il pubblico francofono della stessa Bruxelles e hanno scarsa distribuzione in Vallonia, quest’ultimo un problema comune a molte produzioni fiamminghe che spesso non hanno affatto una distribuzione in quel territorio.

KassablankaAffine a “Black” per canovaccio narrativo ed energia è “Kassablanka” del duo Ivan Boeckmans – Guy Lee Thy, un Romeo e Giulietta variopinto che nel raccontare la difficoltà di un amore impossibile illustra il lato più razzista e intollerante di Anversa, capitale delle Fiandre. Un film vitale che nella tendenza all’accumulo di temi e situazioni offre una visione selvaggia e fagocitante delle problematiche d’integrazione, al punto da divorare anche se stessa in un eccesso di retorica e volgarità strumentali.

Meno interessante quel Mixed Kebab, diretto dal solo Guy Lee Thy, che si risolve purtroppo in una versione poco ispirata della commedia colorata ed eccentrica alla Almodovar, una maniera un po’ macchiettistica, priva delle soluzioni visive del film precedente e sostanzialmente inconcludente di riflettere sullo scontro e la sovrapposizione di radici, nazionalismi e orientamenti sessuali.

rising voices hommes posterNel Belgio di questi tempi ultimi e difficili tempi acquistano il proprio spazio anche realtà autoriali in cui le distinzioni di nazionalità, regionalità e lingua sfumano fino a divenire un’entità nuova che, nel riflettere la contemporaneità in sofferente mutazione, crea un cinema eminentemente belga, capace di fondere accenti, stili ed approcci in un’unico spazio di riflessione. É il caso del recentissimo “Le Chant des Hommes (Rising Voices) (2016) frutto della collaborazione tra l’illuminata Mary Jimenez e Bénédicte Liénard, entrambe provenienti dal documentario e qui avventuratesi in una difficile opera di fiction basata però su eclatanti e ripetuti episodi di cronaca. L’occupazione di una chiesa da parte di migranti in fuga da realtà diversissime ma ugualmente disperate che in una convivenza tesa e forzata danno vita a scontri, incomprensioni e grandi esempi di solidarietà e umanità, alla ricerca continua di una propria voce nel assordante silenzio europeo.

Tecnicamente un film non di stretta produzione fiamminga ma a conti fatti espressione purissima della maniera unica che ha il cinema di abbattere barriere senza annullare differenze e specificità ma piuttosto lavorandoci sopra, oltre che esempio di una sempre più efficace collaborazione in atto tra le diverse entità artistiche e produttive del Belgio, che trova espressione anche in un cinema solo apparentemente più di consumo che esploreremo nei prossimi paragrafi.

continua…