Dossier – I Signori della Droga al cinema: Parte IV
14/12/2015 news di Gianluigi Perrone
La quarta e ultima tappa del nostro viaggio 'oltre il confine' chiude il cerchio su Pablo Escobar, lasciando però intendere che la leggenda non morirà mai
FINE DEL VIAGGIO?
È sorprendente vedere, nella seconda parte della prima stagione di Narcos, come Pablo Escobar abbia una regressione infantile e come creda di poter fare qualsiasi cosa. Gli stessi suoi scagnozzi, dei delinquenti farabutti, sono perplessi e a volte vittima di un atteggiamento ostinato di un uomo che finge di avere la situazione sotto controllo, ma che in realtà non fa altro che proporre soluzioni estreme e brutali. Come in altri pochi casi, la serie di Netflix dimostra la mentalità mafiosa senza renderla macchiettistica. Un abominio che in Italia è cultura, dove chi commette un crimine non può essere accusato poichè la stessa accusa è un’offesa.
Dove le prove sono un optional e conta chi si circonda di più di farabutti pronti a dare ragione per interesse. Per denaro. Plata o plomo [denaro o piombo]. Escobar, minacciato dal Generale Carrillo, lo accusa, quasi con affetto, di non aver accettato i soldi come tutti, di averlo costretto alla guerra. Come se vi fossero delle ragioni superiori che non permettono la soluzione pacifica. E quella ragione è la paura. Plata o plomo. Se ti mostri disponibile non sei ragionevole, sei debole e non hanno più paura di te. Invece è la paura il massimo controllo ed Escobar esercita la paura sui potenti del suo paese in maniera selvaggia.
Narcos spiega bene le dinamiche tra mafia e governo e potrebbe dire tanto su quello che non si dice in Italia. Spesso il governo si trova sotto scacco. Non è pensabile togliere tutto ai narcotrafficanti. Hanno troppo potere. Allora è necessaria una negoziazione. Un gioco di equilibri che non funziona mai finchè l’agente Murphy della DEA realizza il banale. I criminali vincono perchè non rispettano le regole. Ovvio che è una lotta impari. Dove non c’è onore e dignità, non si può che ripagare con la stessa moneta, e non aspettarsi altro. Sicuramente in Narcos vi è una evoluzione di Scorsese e di tutti i suoi epigoni. Dietro al glamour della criminalità organizzata c’è sempre gente piccola e senza onore.
Pablo Escobar: King of Cocaine (1998) di Steven Dupler si focalizza sulla personalità e la psicologia di Escobar come uomo e sulle motivazioni che lo hanno portato a fare mosse sorprendenti e scelte azzardate durante il suo regno. Viene fuori un uomo sicuro di se e totalmente disinteressato dall’autorità del potere costituito. Per Escobar il mondo era un campo di gioco dove lui era il miglior giocatore.
The True Story of Killing Pablo (2002) di David Keane segue il libro Killing Pablo di Mark Bowden, già autore di Black Hawk Down, best seller e miglior biografia di Escobar. Bowden si interessa a Escobar proprio durante il lavoro su Black Hawk Down, quando scopre quanto l’esercito americano fosse stato influenzato dalla figura del colombiano. Il documentario è una trasposizione documentata del libro narrata dallo stesso Bowden che sarebbe dovuta diventare un film girato da Joe Carnahan, Killing Pablo appunto, e principale inspirazione per la serie Narcos.
Uno degli aspetti più interessanti sta nel coinvolgimento radicale di George Bush padre nella lotta alla droga e in pratica nella guerra contro Escobar. Bush dichiara che chiunque sia considerato nemico o pericolo per la nazione americana dal Presidente degli Stati Uniti può essere condannato a morte e perseguito dal Governo Americano. Se il terrore di Escobar era l’estradizione, questo cambiava le carte in tavola ulteriormente, rendendo la caccia al narcotrafficante una vera caccia all’uomo a livello globale, precedente e pari a quella di Osama Bin Laden.
Pecados de mi padre (2009) di Nicolas Entel, segue Sebastian Marroquin, figlio di Escobar, che racconta tutta la storia dal proprio punto di vista, cercando di narrare un aspetto alternativo di un uomo che a quanto pare era dopotutto un buon padre. Marroquin ovviamente non cerca nè il perdono nè di giustificare il genitore, ma aggiunge ulteriori tasselli alla personalità di un uomo in una posizione incredibile ma dotato a modo suo di un equilibrio interiore.
In effetti, come pochi altri, la vicenda di Escobar è stata eviscerata e analizzata pubblicamente, andando ben oltre la spettacolarizzazione della figura, come spesso si è fatto con potenti, dittatori, serial killer o figure anomale. Il livello documentaristico al quale la figura di Pablo Escobar è stata sottoposta ha raggiunto un livello superiore di profondità.
Altri titoli per approfondire ulteriormente la storia di Pablo sono Ciudadano Escobar (2004), The Two Escobars (2010) di Jeff e Michael Zimbalist, che racconta l’incredibile storia di Andres Escobar, campione di calcio colombiano nella Nazionale che il Cartello aveva sovvenzionato, il quale nel 1994, durante i Mondiali a Los Angeles, segnò l’auto goal che costò l’eliminazione della Colombia, e la condanna a morte da parte dell’omonimo Pablo. Carlitos Medellin (2004), coproduzione franco-colombiana, racconta la storia delle vittime civili del Cartello attraverso la voce di un fictional character, un bambino di Medellin. Il recentissimo Cartel Land (2015) di Matthew Haineman, racconta di una sorta di gruppo di vigilantes instauratosi per contrastare il cartello.
In sviluppo, ci sono però altri due progetti dedicati al Nostro. Uno, semplicemente Escobar, è tratto dal romanzo biografico Amando Pablo, ‘Odiando Escobar’ di Virginia Vallejo, la giornalista amante di Escobar che nella serie Narcos fa una delle peggiori figure in assoluto, e che probabilmente con questa trasposizione, con lei interpretata da Penelope Cruz e Pablo da Javier Bardem, cercherà riabilitazione. Dell’altro si sanno solo titolo e protagonista, El Patron con John Leguizamo.
fine…?
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