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Dossier – Il genere non genere dei videogame al cinema (Parte II)

18/06/2016 news di Luca Cristino

Dal 2000 al 2005 il panorama videoludico al cinema scopre le eroine femminili e la 'Roccia'

Primi anni 2000 (2000-2005)

Abbiamo iniziato il nostro dossier con gli anni ‘90 per poter arrivare al terzo più grande successo di incassi del genere-non-genere videogames sul grande schermo.
Sarà stata la combinazione tra il seno più appuntito della storia video-ludica, la musica di Bono e le curve reali di Angelina Jolie.

angelina-jolie-tomb-raider-costume07Ce l’hanno messa tutta per distrarci dalla trama del film, molto spesso riuscendoci grazie alle inquadrature mozzafiato (NDR: ovviamente della procace Angelina), ma procediamo per gradi.
Nel mondo videoludico, Lara Croft è la protagonista di ogni videogioco targato Tomb Raider. Convenzione da sottolineare, data la difficoltà nel tracciare una storia plausibile per tutti i titoli usciti negli anni. I videogiochi Tomb Raider hanno una cosa essenziale in comune: la protagonista. Bella, intelligente, mora, prosperosa, ricca, aristocratica di nascita, atletica e alla costante ricerca in giro per il mondo di artefatti.

tomb raider 1996Aldilà di queste caratteristiche, le storie raccontate erano autoconclusive, regalando dell ottimo materiale di partenza.
La produzione decise di trovare un’altra ricetta.
Prendere una sex-symbol e strizzarla negli short di Lara. Aggiungere un goccia di push-up per accentuare il seno fino quasi a renderlo appuntito, inquadrare le sue generose forme in posizioni fin troppo provocanti e condire il tutto con una storia banale.

Shakerato e servito con tanta schiuma, non c’è altro da scrivere sul primo film e sul sequel.
Il successo fu immediato e per quanto possiamo essere irriverentemente sarcastici, la produzione guadagnò 274 milioni di dollari. Una cifra considerevole non solo per il 2001, ma che portò sempre di più l’interesse su questo nuovo genere nel cinema.

Dato che la formula “bella donna protagonista-videogioco” aveva funzionato, l’anno successivo arrivò il regista di Mortal Kombat, Paul W.S. Anderson, con il suo nuovo progetto Resident Evil. Avendo curato solo la regia del precedente film che abbiamo analizzato nella prima parte, questa volta lavorò anche su sceneggiatura e produzione… e molto probabilmente anche al cast dato che venne scelta colei che diventerà, qualche anno dopo, sua moglie: Milla Jovovich.

ResidentEvil finalSe pensavate che fossimo persone emotivamente sterili, dopo aver sparato a zero su ogni titolo finora trattato, ora vi faremo ricredere. Resident Evil ci è piaciuto; e anche molto!
Per la prima volta la trama tratta dal videogioco viene rispettata e viene sfruttato un gancio interessante lasciato dagli sviluppatori. Nel primo Resident di casa Capcom giocavamo un uomo o donna di una squadra speciale mandata a investigare l’intorno di una villa.

La squadra del nostro personaggio è la seconda inviata in loco poiché della prima non si hanno più notizie. Durante l’avventura grafica scopriremo cosa è successo in quella villa e cosa stesse ricercando l’Umbrella Corporation.
Paul ha l’idea geniale di sfruttare questa zona d’ombra della trama per inserirci il suo film. Si lascia qualche piccola libertà, che non fa storcere il naso, e ci regala delle scene che ricordiamo ancora oggi mentre assistiamo alla nascita della prima I.A. (ndr: Intelligenza Artificiale) con gravi problemi di comunicazione.
Citeremo solo una scena: il corridoio con il laser.

Resident_Evil_2_stazione poliziaLa pellicola è un successo anche d’incassi. Non siamo lontanamente vicini a quelli di Tomb Raider, ma eleggiamo Resident Evil l’unico “videogame-franchise” rimasto vivo nel corso degli anni. Dato che sono sempre i migliori ad andarsene via per primi, anche i film di Paul subirono un continuo declino.
Resident Evil: Apocalypse racconta la storia mescolata del primo e secondo capitolo videoludico; per quanto possiamo considerarlo piacevole, perde ogni pathos creato nel primo film.

Resident Evil: Extinction parte per una strada tutta sua, raccontando una storia zoppicante , ma che tutto sommato procede. Si sarebbe potuto intitolare Mad Alice Oltre la Sfera del Tuono e nessuno avrebbe notato differenze. Resident Evil: Afterlife e, soprattutto, Retribution sono qualcosa che difficilmente dimenticheremo; anche se vorremmo tanto avere un neuralizzatore alla Men in Black.
A inizio 2017 uscirà Resident Evil: The Final Chapter dove, se il trend del franchise rimane invariato, il virus T avrà infettato gli alieni.
Chiuderemo il discorso “miglior videogame-franchise” al cinema sottolineando solo una cosa: gli incassi delle pellicole:

Resident Evil
3/15/2002
$102,441,078

Resident Evil: Apocalypse
9/10/2004
$129,394,835

Resident Evil: Extinction
9/21/2007
$147,717,833

Resident Evil: Afterlife
9/10/2010
$296,221,663

Resident Evil: Retribution
9/14/2012
$240,159,255

Un film di successo si valuta solo in base agli incassi?
L’arts gratia artis è morta secoli fa.
Ci azzittiamo, chiniamo il capo cospargendolo di cenere e partiamo per Marte.

Su Marte ci si può finire per vari motivi. Si può fuggire da un passato dimenticato, per andare a conoscere il capo della resistenza mutante. Si può essere sfortunati e lasciati da soli su un pianeta ostile, oppure si possono aprire delle miniere e far fuoriuscire dei fantasmi che possiedono corpi umani; ma quello che accomuna tutti è il viaggio!
Non è importante la destinazione e perché si finisca su Marte. Alle volte non è neanche importante il nome, quello che conta è rimanere l’unica forma di vita sulla superficie del Pianeta Rosso.

Doom the rock urbanEd è così che il doomguy, protagonista senza nome di uno dei più famosi franchise FPS (NDR: First Person Shooter), si muove di livello in livello fuggendo dal suo destino. Inviato a scontare una pena sul Pianeta Rosso, il protagonista scopre che gli esperimenti per creare un portale tra le due lune Phobos e Deimos, hanno funzionato dannatamente bene. L’inferno è arrivato su Marte e creature mostruose sono apparse dal nulla; sarà compito nostro rimettere in ordine. Nonostante la trama prodotta dalla id Software fosse perfetta per ricamarci quasi qualsiasi tipo di storia sci-fi, la pellicola punta più sull’azione.

Che siano piaciute o meno le avventure di Dwayne ‘The Rock’ Johnson e Karl Urban, ci sono quei 3 minuti presentati all’inizio del secondo capitolo del nostro dossier che accomunano tutti. Nel 2005 non esisteva ancora la massiccia commercializzazione delle videocamere in stile GoPro, il genere porno non ne aveva aumentato le vendite grazie ai video in POV, e non era uscito al cinema Hardcore!

doom videogameVedere al cinema un’inquadratura in soggettiva, con scene prese direttamente da alcuni dei capitoli del videogioco, è valso tutto il biglietto. Tenuti per la parte finale della pellicola, hanno fatto dimenticare qualsiasi tipo di inconsistenza, di mani appoggiate sulla fronte e confutazione delle leggi gravitazionali quando si fanno cadere “sfere” a terra. Gli incassi non furono eccezionali, andarono quasi a coprire i 60 milioni di dollari investiti per realizzarlo, e la critica lo identificò come un nuovo punto di riferimento… verso il basso.

Quello che però la critica ancora non aveva avuto modo di conoscere a dovere, è il vero eroe di questo genere cinematografico. Un uomo in grado di ricevere una petizione per smettere di fare film. Un uomo in grado di rilanciare le firme già presenti e accettare il patto se avessero raggiunto il milione. Un uomo in grado di rimangiarsi la parola data quando una fabbrica di gomme da masticare aveva promesso un pacchetto gratis a chiunque l’avesse firmata. Un uomo; un mito.
Non si tratta di Carcarlo Pravettoni, anche se notiamo una eguale caratura morale, ma di Uwe Boll.

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