Titolo originale: Ballad in Blood , uscita: 18-09-2016. Regista: Ruggero Deodato.
Intervista a Ruggero Deodato su Ballad in Blood, il genere cannibalico e gli ultimi progetti (esclusivo)
18/03/2016 news di Alessandro Gamma
In occasione della presentazione milanese del cannibalico The Green Inferno dell'amico Eli Roth, abbiamo fatto una chiacchierata con il regista sul suo nuovo film
Ruggero Deodato, troppo spesso ricordato soltanto per i suoi film cannibalici, è in realtà un regista decisamente prolifico e poliedrico. Oltre agli iconici Ultimo mondo cannibale (1977) e Cannibal Holocaust (1979) e al celebre rape&revenge La casa sperduta nel parco (1980) infatti, Deodato ha spaziato in molteplici generi nella sua lunghissima carriera, da quello fantastico con I barbari (1987) e quello poliziesco con Uomini si nasce poliziotti si muore (1976), fino al western con I quattro del pater noster (1969) e a thriller quali Camping del terrore (1985) e Inferno in diretta (1986).
Bisogna ricordare inoltre, che i suoi primi passi nel mondo del cinema sono stati fatti al fianco di grandissimi maestri italiani, in primis Roberto Rossellini, in capolavori come Era notte a Roma (1959) e Il generale Della Rovere (1960), dove Deodato ha svolto il compito di aiuto regista. Instancabile e entusiasta lavoratore – ancora oggi a quasi 77 anni –, Deodato negli anni ’90 si è principalmente dedicato alla produzione per il piccolo schermo, curando la regia tra gli altri di I ragazzi del muretto (1993), Sotto il cielo dell’Africa (1998) e Incantesimo 8 (2008). Dopo una pausa durata oltre 20 anni (Vortice Mortale è del 1993), il regista di Potenza è finalmente tornato al cinema di genere, dirigendo il segmento The Bridge nell’antologia horror The Profane Exhibit del 2013 e con Ballad in Blood, al momento in fase di post-produzione.
In occasione della proiezione milanese del cannibalico The Green Inferno nell’ambito della lodevole iniziativa “Il lunedì horror” organizzato da Midnight Factory al cinema Mexico, abbiamo incontrato Deodato, che ha poi presenziato alla serata come ospite d’onore introducendo il film di Eli Roth. Quello che segue è il risultato della chiacchierata.
Qual è il suo giudizio su The Green Inferno e come lo considera in rapporto ai suoi lavori? Lo vede più come un omaggio o come un tentativo di rilanciare il genere cannibalico?
Ho anzitutto un rapporto di amicizia con Eli, che mi ha fatto fare in Hostel 2 un cameo che ho particolarmente amato. Mi sono un po’ risentito poiché sono venuto a sapere che stava girando un film cannibalico e, benché ci vedessimo spesso, non me ne aveva mai parlato. Poi però, finito il film, mi ha invitato al Festival di Roma e ha voluto stare con me.
Ed è stato un vero e proprio omaggio a me più che a Cannibal Holocaust, che è un film impossibile da ripetere oggi essendo un ‘film verità’, e un omaggio a Ultimo Mondo Cannibale, è evidente. Qui [in The Green Inferno] inoltre avevano i cellulari, e quindi la storia è funzionale [i protagonisti usano i telefonini per filmare in diretta streaming a un certo punto].
Poi c’è quella magnifica giungla e mi sono detto: certo, loro hanno i droni! Al contrario, io per realizzare 200 metri di riprese dall’alto sulla giungla avevo bisogno di sei ore di marcia con la troupe, salendo in cima a una collina e partendo alle 4.00 del mattino, una cosa impossibile… C’è da dire che però io potevo installare la torre per l’inquadratura di quinta in quella posizione, mentre con un drone non puoi, c’è solo un punto di vista in quel caso, ma è più semplice.
Gli attori sono bravi, avrei voluto Lorenza Izzo, che mi piace molto, per il mio nuovo film [e qui il regista ha ammesso sorridendo di non aver ancora visto Knock Knock, stupendosi inoltre che sia già passato sulla nostra televisione in chiaro qualche settimana fa], ma è diventata una star ora e quindi ho scelto una ragazza di Arezzo davvero brava [Carlotta Morelli], che parla un inglese perfetto.
Se ho apprezzato molto Hostel, la cui idea di base è geniale, e il suo sequel, per ciò che concerne The Green Inferno, la manifattura è buona, ma non ho capito se Eli lo abbia inteso come uno scherzo… ad esempio ha inserito quel girarrosto… o nella descrizione degli indios alla Apocalypto, non ho chiaro se lui abbia voluto giocarci sopra come fa Tarantino… C
erto è che non hanno colto l’eventuale presa in giro nemmeno i censori americani, visto che hanno vietato il film ai minori di 18 anni [in Italia, mentre negli USA è PG17]. A volte risulta poco prevedibile la censura… Ci sono film come Suburra che non hanno avuto alcuna limitazione, o serie TV come Gomorra che vanno in orario protetto… ho il terrore per Ballad in Blood, perché il film è forte, ma a livello di un VM 14.
Ricollegandoci al suo film, il titolo sarà Ballad in blood o Il giorno dopo, com’era inizialmente trapelato?
Sarà Ballad in Blood. In caso potrebbe essere al massimo tradotto in italiano come Concerto del sangue. Il giorno dopo era riferito alla notte Halloween, ma era scontato. Anche per ciò che riguarda il riferimento all’omicidio non aveva molto senso, perché lì li hanno assolti tutti.
Ho comunque cambiato tutto rispetto al fatto di cronaca da cui ho preso spunto [il caso Kercher] e il mio finale si discosta nettamente da quello emerso dalla sentenza dei giudici, frutto di una vicenda poco chiara e probabilmente influenzata anche da molti altri fattori.
Quando ha iniziato a lavorare all’idea di Ballad in Blood? Già in concomitanza dell’omicidio? Come è nato e si è sviluppato il progetto?
Sì. Il film è venuto bene perché la sceneggiatura è stata stesa in un lungo arco di tempo, come succede in America, dove ci mettono tre, quattro anni. Tre anni fa, quando ho avuto l’idea, sono andato da un produttore che all’epoca [2013] stava bene finanziariamente e aveva appena investito 4 milioni in un giovane e ne aveva poi ricavati 60 al botteghino.
Ci presentammo alla Film Commission di Torino, dove però andò male e ho dovuto ripartire da zero. Poi andammo a presentare il film alla Commissione del Ministero, dove distribuivano i premi governativi. Mi presentai a questa commissione composta di professori ed esperti e mi dissero: “Abbiamo letto la sua sceneggiatura, è buona, però lei non ha il punteggio“. Al che io chiesi: “Che vuol dire non ho punteggio?”, vuol dire che “non ha preso un Nastro d’argento, nè un David”.
Un presente disse “Ma ha un Award a Londra”, “Ma quello non vale”. Allora ho replicato “Scusate, ho fatto all’incirca 40 film come regista e sono stato aiuto regista di grandi autori tra cui Rossellini, Corbucci, Bolognini, ho fatto 1.500 spot pubblicitari, documentari, 12 serie di fiction…”. Ho preso e me ne sono andato. Dopo una settimana mi richiamò il produttore che mi disse “Ti hanno rimandato”. E io risposi: “Ma devo portare sempre i premi, perché non li ho. In una settimana non li posso certo recuperare…”. Allora ho pensato, prendo un attore che ha vinto un David e scrivo una parte per lui, bella, che ci sta nel film, perché è un ricattatore che ha visto delle cose.
Però l’attore vale solo 20 punti e ne servono 30, così ho chiesto al produttore di scovare anche uno sceneggiatore con premi, e così ho avuto il punteggio. Però in questo lasso di tempo, dopo tre anni, è diventata una sceneggiatura sulla quale ho lavorato molto, l’ho calibrata per me, è diventata mia e in effetti così è riuscita al meglio.
Inoltre abbiamo trovato una troupe che veniva dalla fiction entusiasta di lavorare per il ‘Maestro Deodato’, e ho fatto un film con una facilità estrema. Per gli attori ho scelto un ragazzo di colore che faceva la guida turistica [Edward Williams], poi c’è la ragazza di Arezzo che viveva a Londra e parlava un inglese perfetto ed era addirittura in grado di rendere l’accento sia britannico che americano, per la parte della ragazza che viene uccisa ho preso un’attrice che ora è protagonista di un recital su Manzoni [Noemi Smorra].
Inizialmente ho pressato particolarmente Williams, che era quello più inesperto in fatto di recitazione [non avendo mai recitato] ed era un po’ timido, e lui poverino diceva agli altri “Che vuole da me, io non sono un attore!”, ma in pochi giorni l’ho fatto diventare un attore bravissimo. Eccezionale. Ho realizzato un film in una armonia perfetta, in tre settimane e tre giorni. E location splendide. Certo ho avuto una serie di circostanze favorevoli.
Ad esempio, dovevo andare a girare a Orvieto, ma non avevamo i soldi per la diaria e allora ho trovato un appartamento semi-mobiliato agli Studi De Paolis, che mi ha giovato perchè ho potuto realizzare il set come lo volevo; poi ho utilizzato per tre giorni il Pozzo di San Patrizio di Orvieto. Location meravigliosa, dove ho realizzato la festa di Halloween del film e, se in un posto all’aperto avrei dovuto radunare almeno 150 persone, lì come comparse ne sono bastate una ventina. E’ venuto forse il mio secondo film migliore.
E’ già prevista una data di uscita?
Non ancora. Prima di tutto ora andrà ai Festival. Verrà presentato al Lucca Film Festival, dove ci saranno William Friedkin, George Romero ed io; poi penso mi inviteranno a tutti i Festival del mondo, a Sitges sicuro, in Francia, perché tutti lo aspettano… io avevo il terrore dopo anni che facevo fiction o pubblicità!
Un paio di anni fa ha diretto il segmento intitolato The Bridge dell’antologia The Profane Exhibit, suo ritorno dopo molti anni al cinema thriller e di genere. Com’è andata?
Mi avevano inizialmente mandato una storia che non mi convinceva per niente. Stavo a Spoleto, in campagna, e mi sono inventato una storia che ho realizzato in pochissimi giorni, rimanendo ampiamente nel budget che mi avevano concesso.
E’ una storia semplice, con dei ragazzini curiosi: a Spoleto c’è un ponte da cui si buttano tutti gli aspiranti suicidi e questi ragazzini vanno là a vedere se qualcuno si ammazza. Questo era il soggetto, stupendo. Tra l’altro pensa che dei tredici registi coinvolti in Profane Exhibit hanno invitato solo me al Festival di Austin, dove l’hanno presentato [l’Housecore Horror Film Festival].
Oltre al già citato Hostel 2, lei è comparso come attore in molti film. Vuole parlarci di alcuni di questi camei? Inoltre abbiamo visto che ‘presenta’ un film messicano intitolato Atroz, di prossima uscita, ce ne potrebbe parlare?
Dunque, dopo trent’anni sono ritornato a Bogotà, prima avevo paura perché all’epoca dell’uscita di Cannibal Holocaust in Colombia scoppiò un casino… Comunque, mi hanno fatto un’accoglienza che non puoi capire e là ho incontrato questi messicani che mi hanno chiesto di presentare Atroz, un film di una violenza mai vista, atroce da morire e così è nata questa sorta di collaborazione. Ho fatto anche molti altri camei, ad esempio in Chimères e Dead Bones di Olivier Beguin, che sicuramente incontrerò di nuovo a Neuchâtel.
Essere tornato proprio in questo periodo storico al thriller è una casualità?
Ho scritto molte storie ancora più belle di quella di Ballad in Blood, ma non sono mai riuscito a trovare un produttore che le finanziasse. Ne ho scritta una intitolata ‘Chinese Food’, che è bellissima e un’altra sulle corse clandestine. Ho cercato di fare storie che gli italiani non pescano dal nostro bagaglio.
Purtroppo il tempo a nostra disposizione scade e non ci resta quindi che tirare le somme di quanto raccontatoci. Se certo l’industria filmica italiana si rivela quantomeno miope nel non dare a un regista come Deodato la possibilità di realizzare le proprie idee su pellicola, è un’ulteriore conferma del livello generale dalla autoctona produzione che si sclerotizza su alcuni titoli e registi -ad essere eufemistici- commerciali, ma con dubbia profondità, ignorando alcune preziose risorse, presenti nel nostro paese e per niente valorizzate.
In ogni caso, in attesa di vederlo al prossimo Lucca Film Festival (3-10 aprile), di seguito il trailer di Ballad in Blood:
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