Dossier | Death Note saga: un monito sul fascino oscuro dell’onnipotenza
29/04/2020 recensione film di Enrica Continenza
Nel 2003, Tsugumi Oba e Takeshi Obata lanciavano un manga dalla storia controversa che avrebbe di lì a breve dato vita a un franchise di enorme successo
Death Note (デスノート Desu Nōto) è considerato un vero e proprio cult per ogni appassionato di manga, avendo segnato la storia del fumetto giapponese. Ideato e scritto da Tsugumi Oba, autore misterioso di cui si hanno pochissime notizie, e illustrato da Takeshi Obata, inizia la pubblicazione nel 2003, per concludersi nel 2006 con un totale di 108 capitoli suddivisi in 12 volumi (più un tredicesimo volume intitolato “Death Note 13: Guida alla lettura”, pubblicato postumo). In Italia i diritti del manga sono stati acquistati da Planet Manga, che ha pubblicato i dodici volumi di Death Note dal 19 ottobre 2006 al 18 settembre 2008.
La storia si concentra su Light Yagami, un brillante studente delle scuole superiori, che un giorno trova, nel cortile della propria scuola, un quaderno dai poteri soprannaturali chiamato Death Note, gettato sulla Terra dallo Shinigami Ryuk (un dio della morte, imponente e spaventoso, caratterizzando da un abbigliamento in stile punk e da un’incredibile adorazione per le mele rosse), perché ‘annoiato’. L’oggetto dona al possessore il potere di uccidere chiunque scrivendone semplicemente all’interno il nome, solo a patto di conoscerne anche il volto da associarvi (per evitare il pericolo di omonimia). Light, che diventa anche l’unico a poter vedere lo Shinigami e parlarci, assaggiato il potere del Death Note e compresane la portata intende usarlo per eliminare tutti i criminali e creare un mondo libero dal male, ma i suoi piani vengono presto contrastati dall’intervento di Elle (o L), un investigatore privato chiamato a indagare sulle numerosi morti misteriose. Intorno ai due scaltri ‘giocatori’ gravitano, come pedine di una scacchiera, la polizia giapponese e L’FBI; alleati di Elle e inconsapevolmente vicini a Light, saranno pressoché fondamentali nel duello decisivo.
L’originalità di Death Note è data principalmente da un elemento: la suspense; le scene d’azione e i combattimenti non rubano affatto la scena, anzi, lasciano il posto a vere e proprie battaglie “psicologiche”. Un crescendo di stati d’animo che portano a sviluppare e caratterizzare in modo eccezionale i personaggi principali, soprattutto Light ed Elle. Se a questi scontri cerebrali si aggiungono anche la lunghezza dei dialoghi e la difficoltà dei concetti espressi in essi, è facile rendersi conto come l’opera risulti una sorta di unicum, ponendosi sul confine tra gli shōnen (categoria di manga indirizzati a un pubblico maschile, focalizzati principalmente sull’azione) e i più maturi seinen (i cosiddetti manga “maturi”, destinati pertanto a un pubblico adulto, trattando tematiche complesse, il più delle volte molto serie e sviluppate sul piano psicologico).
In Giappone Death Note si è subito rivelato un caso di enorme impatto mediatico, con più di 30 milioni di copie vendute (una media di ben 2.5 milioni a tankobon) e una candidatura, a livello internazionale come “Best Manga” all’American Anime Awards del 2006. Nel 2007 viene quindi nominato al Premio Seiun e al Premio culturale Osamu Tezuka (riconoscimenti locali rivolti l’uno a opere fantasy e fantascientifiche, l’altro agli autori di manga), e risulta vincitore nella categoria “miglior anime” ai Tokyo Anime Awards. Inoltre, la traduzione del manga non si è limitata al solo inglese: tedesco, italiano e spagnolo sono solo alcune delle altre lingue in cui viene presto traslato, sintomo di un vasto interesse su larga scala globale.
Creare una versione anime del manga, sembrò quindi la conseguenza più ovvia per un’opera che stava generando tanto clamore. L’adattamento animato di Death Note, diretto da Tetsurō Araki, all’epoca regista poco conosciuto che raggiunse la notorietà proprio grazie a questo progetto, e animato dalla nota Madhouse, andò in onda in Giappone dal 3 ottobre 2006 al 26 giugno 2007 per un totale di 37 episodi. In Italia la serie è stata importata da MTV e trasmessa dal 28 ottobre 2008 al 9 giugno 2009. Il 6 novembre 2008 hanno poi cominciato ad essere commercializzati nel nostro paese i DVD. I diritti dell’anime sono stati ceduti poi alla Dynit, che ha ripubblicato la serie in due box da quattro DVD ciascuno e ha reso disponibile la serie in streaming sulla piattaforma on demand VVVVID.it a partire da febbraio 2015. Dal 24 febbraio 2016 è invece disponibile sulla piattaforma Netflix.
Soffermandoci sulla serie animata di Death Note, può essere divisa in due atti: il duello all’ultima intuizione con Elle, dal primo episodio all’episodio 25; lo scontro con i ‘successori’ di Elle, ovvero Near e Mello, dall’episodio 26 all’episodio 37 (comprendendo, così, tutto l’arco narrativo del manga).
Se di Tsugumi Oba sappiamo ben poco, quel che è certo è che i disegni sono opera di un character designer e fumettista giapponese di chiaro talento, quel Takeshi Obata già dietro alla fortunata Hikaru no go. Dal suo lavoro emerge una cura maniacale per il disegno, precisione nei dettagli, e una scelta di tinte molto scure, capaci di evidenziare la natura oscura della storia. L’anime, grazie al character design di Masaru Kitao, rispecchia fedelmente lo stile di Takeshi Obata e le animazioni – pur se necessariamente colorate – mantengono standard altissimi; inoltre, la regia di Tetsurō Araki e le musiche azzeccatissime di Hideki Taniuchi creano un’atmosfera unica, rendendo alcune scene iconograficamente impossibili da dimenticare (come quando Light si accascia morente sulle scale, inondato da una luce rossa, quasi fosse sospeso nel tempo).
La fortuna di Death Note deriva, oltre all’ottimale resa sullo schermo, anche da una differenza contenutistica che ha con altri manga dello stesso genere: Light Yagami, pur essendo il protagonista, non possiede i tipici tratti distintivi dell’eroe, ma anzi commette dei veri e propri crimini, con cui è difficile simpatizzare, ma che lo rendono al tempo stesso più umano e credibile. Sebbene si possa riscontrare una certa dose di cattiveria gratuita ne suoi comportamenti ( si pensi a tutti coloro che muoiono solo perché hanno in qualche modo ‘contrastato’ i suoi piani), tutto procede verso la ‘giusta’ direzione, dato il grande senso di giustizia in cui crede fortemente Kira – questo lo pseudonimo del ragazzo -, convinto di poter così creare un nuovo mondo privo di malvagità, diventandone il dio assoluto. Lascia a bocca aperta perfino lo stesso Shinigami dio della morte al loro primo incontro, eliminando un’infinità di uomini e donne ritenuti malvagi, mostrando una natura assolutamente priva di alcun tipo di pentimento e scrupolo nella sua ferma convinzione di essere nel giusto. Soltanto la coscienza di Kira sa chi è bene uccidere e chi no, senza sentire il bisogno di confrontarsi con altri, senza dare a chi decide di uccidere la possibilità di potersi difendere.
Oltre alla supposta ‘utilità’ sociale, questa sua nuova fonte di divertimento lo sprona a contribuire moralmente per cambiare il mondo in un posto migliore; anche se, sempre più bramoso e niente affatto incline a trovare compromessi, Light / Kira cercherà in ogni modo di aspirare a diventare superiore a tutti gli uomini anche con la forza (del potentissimo Death Note). Quindi è proprio il protagonista che, ormai privo di qualsiasi valore morale, per raggiungere il suo ambizioso obiettivo finale, finirà per diventare tutto ciò che ha cercato di debellare dall’umanità fino a quel momento.
Se la morale soggettiva del singolo regna sovrana sulla secolare giustizia, dettandone di conseguenza le regole, Light / Kira si impossessa di questo concetto, credendosi l’unico in grado di poterla piegare al suo volere e alla sua visione per uno scopo superiore: creare, appunto, un nuovo mondo ‘perfetto’. Ma sarà proprio questa sua ferma convinzione a fargli commettere il peccato più grave: la superbia. Infatti, sebbene lui si senta in dovere di poter uccidere impunemente e sopra la legge, è anche convinto di non meritare affatto lui stesso la morte per queste azioni. Si noti, a tal proposito, che quando Ryuk gli rivela la possibilità di poter amplificare il suo oscuro potere prendendo a prestito ‘gli occhi dello Shinigami‘ (che permettono di vedere il nome e quanto tempo resta da vivere a ogni persona), rinunciando però a metà degli anni di vita rimastigli, Light / Kira si rifiuta; per creare un mondo libero dai criminali, e in quanto dio di quel mondo, non può permettersi di abbassarsi a un simile compromesso e dimezzare il suo periodo di ‘regno’.
Tra tutti, è Ryuk ad emergere da Death Note come personaggio perfetto. La sua noia, accompagnata dalla curiosità per il mondo terrestre, dipinge una creatura soprannaturale che si diverte a giocare con gli uomini e con la loro sorte, trovando in Light la risposta ad una domanda eterna: quanto è influenzabile la natura umana? Il potente legame che si viene a creare tra i due, tuttavia, non sfocia in alcuna forma di affetto; anzi, lo Shinigami interpreta senza remore il ruolo di divinità tentatrice che agisce solo per mero tornaconto personale (trovare un diversivo piacevole che plachi lo strazio della sua natura di essere immortale) e con estremo distacco. Ciò che più di tutto colpisce, è la risposta a livello internazionale che riceve il discutibile operato di Kira: viene ben presto trasversalmente idolatrato a ogni latitudine, in alcuni casi si creano dei veri e propri siti in suo onore e fan club, che arrivano a fornirgli suggerimenti su chi eliminare.
Allo stesso modo, lo spettatore di Death Note, in questa serrata e delicata lotta sul filo del Bene e del Male, in più di un’occasione si trova a tentennare di fronte alla forza dirompente delle ‘buone’ intenzioni di Light: lo si condanna per il metodo, certo, ma è impossibile non trovarsi a provare fascinazione per un personaggio controverso, non solo capace di mettere in atto un piano così ardito e contorto, ma anche di prevedere, grazie a un’intelligenza fuori dal comune, eventuali problemi che potrebbero sorgere mentre percorre l’intricata strada verso il successo.
Tuttavia, non si può non approfondire ulteriormente il concetto di Giustizia in Death Note, così come non si può non tenere altamente in considerazione il punto di vista dell’altro grande personaggio della storia: Elle. Se da un lato infatti, Kira incarna l’idea biblica dell’occhio per occhio, dall’altro Elle è disposto a tutto per far prevalere la sua visione del concetto, più moderata e più ‘giusta’ apparentemente (o quella con cui noi, più facilmente, ci identificheremmo), ovvero che semplicemente non spetta al singolo decidere come punire i criminali. Esistono degli Stati, delle leggi, dei processi, ed è proprio questo tipo di giustizia che ritroviamo in Elle, per cui, appunto, Kira non è altro che uno spietato assassino. Motivo per il quale, tra le altre cose, decide anche di stabilire il quartier generale presso la sede della polizia giapponese con la quale collabora apertamente.
I poliziotti, nello specifico una task force di fedelissimi ad Elle, sono coinvolti fin da subito nelle indagini, partecipando attivamente ai piani ideati dall’emaciato ragazzo per catturare Kira. Di grande importanza per lo svolgimento della storia diviene ben presto il padre di Light, niente di meno che il capo della polizia. Pedina fondamentale per seguire gli spostamenti del figlio quando questo diviene un sospettato ma, allo stesso tempo, anche strumento nelle mani di Light per avvicinarsi sempre di più alle indagini degli ‘avversari’. I poliziotti riconoscono la bestialità e la malvagità di Kira, ma individuano anche che il suo obiettivo è – di fatto – quello a cui mirano anche loro, eliminare i cattivi; mostrandoci, così, due versioni totalmente antitetiche ma parallele di come applicare la giustizia.
Elle è un ragazzino sciatto, niente affatto socievole, con una personalità dai tratti ossessivi. La prima impressione che si ha del grande detective, cozza con la fama che lo precede: due occhiaie marcate, vestito in modo trasandato e amante dei dolci, che ama mangiare seduto in modo del tutto scomposto. Come si suol dire, però, l’abito non fa il monaco, e presto si rivela il personaggio più brillante di Death Note: con un abile stratagemma riesce subito a identificare la provincia di appartenenza di Kira, di cui diventa il più acerrimo nemico, iniziando la partita a scacchi a distanza.
L’anime, ormai dopo ben quindici anni, risulta sempre attuale: non è invecchiato di un giorno. La sensazione di poter ‘modificare’ un mondo che sta andando alla deriva e la poca fiducia nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine, fanno emergere ancora oggi quell’insicurezza e paura che ritroviamo nella storia creata da Tsugumi Ōba, resa più credibile grazie alla presenza di alcuni personaggi chiave esponenti di determinate categorie sociali del Giappone, come Misa Amane. Idol di professione e amante dello stile lolita ghotic, entra in gioco come ‘secondo Kira’, follemente innamorata di Light e disposta a tutto (proprio tutto) per assecondare i suoi voleri (tanto che verrà facilmente manovrata dal ragazzo per i suoi scopi), non è un ‘tipo’ lontano da chi ha semplicemente bisogno di sentirsi apprezzato e trovare il suo posto nel mondo.
Un personaggio che rende più facile al pubblico – almeno a una parte – avvicinarsi alla problematica vicenda raccontata. Misa – giovane, bella e pura ma, allo stesso tempo, molto ingenua e molto infantile – funge un po’ da contrappeso ai due personaggi principali, Light Yagami ed L: entrambi possiedono un’intelligenza oltre misura, quasi non umana, che la ragazza sembra bilanciare con i suoi modi del tutto avventati e una spiccata frivolezza.
I 37 episodi dell’anime di Death Note non perdono mai un colpo e non si avverte il minimo calo narrativo. La storia – tesissima – risente solamente, come nel manga, della morte a un certo punto di uno dei personaggi principali. Qui subentra uno svolgimento narrativo che ricalca più o meno quello della prima parte, ma inevitabilmente non altrettanto coinvolgente, nonostante la ripresa sul finale che lascia alla storia una degna conclusione. A entrare in gioco sono ben due nuovi personaggi, designati come i successori di Elle: Mello e Near. Mentre il primo è disposto a compiere qualsiasi cosa per ottenere ciò che vuole, non facendosi alcun tipo di scrupolo, l’altro, di aspetto molto più simile a Elle, risentendo maggiormente della scomparsa del grande detective, ed è colui che si impadronisce dei suoi modi di fare, aggiungendo un pizzico di crudeltà non propriamente riscontrabile nel carattere del predecessore (ma necessaria per ‘movimentare un po’ le cose). I due, sebbene così diversi e in contrasto tra di loro, insieme rimandano in pieno alla figura di Elle e, come lui, hanno lo stesso identico scopo: scoprire l’identità di Kira e prendere il quaderno della morte.
Proprio qui, tuttavia, si avverte quel calo narrativo di cui parlavo precedentemente: nella seconda parte di Deat Note tutto appare enormemente forzato. Near e Mello sembrano quasi delle brutte copie e la definizione del loro carattere in base alle loro esperienze passate non presenta quel livello di coinvolgimento che invece si avvertiva con il background di Elle. È probabile che Tsugumi Ōba abbia deciso, o sia stato costretto, a cavalcare l’onda del successo internazionale e allungare di conseguenza il brodo senza troppa convinzione.
L’originalità di Death Note nei contenuti contrastanti, nello stile, l’ottima resa della versione animata, temi affrontati (morte, giustizia, libero arbitrio, tracotanza), senza tralasciare la grande caratterizzazione psicologica di personaggi come Light ed Elle, hanno saputo intercettare perfettamente i gusti di una nuova generazione di lettori, forse stanchi dei soliti temi trattati dagli shōnen dell’epoca e desiderosi di qualcosa di diverso. Potremmo stare delle ore ad elencare i motivi per cui questo manga si sia ritagliato un posto di riguardo nella storia dell’editoria giapponese, rendendoci conto che isolarne uno preciso è impossibile. Forse, banalmente, è che il fulcro centrale della storia non è altro che la noia, un sentimento così comune oggi tra i giovani: la noia ha spinto Ryuk a far cadere sulla terra il suo quaderno, la noia ha fatto credere a Light di poter diventare il ‘detentore’ assoluto della giustizia, quando ciò che stava facendo, in realtà, era solo trovare un diversivo alla routine. E proprio alla noia, parlando ad un Light ormai morente, fa riferimento lo Shinigami nell’ultima frase della serie: “Ne abbiamo passato di tempo insieme, a scacciare la reciproca noia. È stato proprio uno spasso”.
Dopo la fine del manga e della messa in onda dell’anime, il franchise di Death Note – già espansosi in merchandising di ogni tipo (giochi, videogiochi ecc.) – viene però ulteriormente allargato, per cavalcarne il successo inarrestabile: il 31 agosto 2007 viene trasmesso uno speciale televisivo della durata di circa due ore intitolato Death Note Rewrite: Genshi suru kami (DEATH NOTEリライト·幻視する神 “Death Note, riscrittura – Il dio con le allucinazioni”), una specie di riassunto dei primi 26 episodi che vengono raccontati da Ryuk, invecchiato rispetto a quello che viene mostrato nella serie, a un altro misterioso Shinigami il quale, interessato alle vicende di Light e dello stesso Ryuk, vorrebbe andare sul mondo degli umani.
Inoltre, è stato adattato per il grande schermo in forma di tre film in live action, prodotti dalla Nippon Television e distribuiti nelle sale giapponesi dalla Warner Bros: il primo, intitolato Death Note e diviso in due parti, è stato trasmesso nel 2006, rispettivamente il 17 giugno e il 3 novembre; l’altro, dal titolo L Change the World, nel 2008.
Nell’aprile 2015 è stato invece annunciato che Death Note sarebbe stato adattato in un dorama (termine che identifica un tipo di serie televisiva giapponese) che avrebbe debuttato nel luglio dello stesso anno. Lo show è stato poi regolarmente trasmesso dal 5 luglio al 13 settembre 2015 sulla rete giapponese e importato in Italia da Dynit sulla piattaforma VVVVID. Nel settembre 2016 viene trasmessa una webserie dal vivo dal titolo Death Note – New Generation, in 4 episodi, con l’obiettivo di colmare l’arco narrativo tra le vicende dei due film e l’imminente in uscita, nell’ottobre del 2006 di Death Note – Illumina il nuovo mondo ( il film presenta un nuovo cast di giovani detective alle prese con un caso di terrorismo informatico e sei Death Note inviati nel mondo dei vivi).
Poi, nel 2017, Netflix acquista a sorpresa i diritti e distribuisce un suo film live action, intitolato Death Note – Il quaderno della morte, a partire dal 25 agosto dello stesso anno (la recensione). Il primo adattamento hollywoodiano riceve critiche per lo più negative, principalmente dovute allo stravolgimento della trama originale e de personaggi, con Light ed Elle completamente privi di quel fascino che li ha resi popolari. L’unico a salvarsi, più o meno, è Ryuk; lo Shinigami – realizzato in discreta CGI – mantiene quel senso di estraneità e, allo stesso tempo, di fascinazione verso gli umani che ritroviamo anche nel manga. Tuttavia, il risultato è una storia priva di colpi di scena, fin troppo lineare e assolutamente estranea a quel senso di “sospensione” tipici del materiale originario dovuto al non sapere assolutamente come andranno a finire le cose.
Basta così? No, perché Death Note, a quanto pare, ha ancora molto altro da dire. Uno spin-off in forma di light novel (tipo di romanzo giapponese illustrato) della serie, intitolato Another Note: Il serial killer di Los Angeles, viene pubblicato l’1 agosto 2006 (in Italia nel 2009). Narrato secondo il punto di vista di Mello, racconta di un precedente caso di investigazione, che vede l’agente dell’FBI Naomi Misora lavorare al fianco di Elle nella cattura del criminale Beyond Birthday.
Infine, nel febbraio 2020, è arrivato un volume one-shot autoconclusivo di 87 pagine di Death Note. La storia si svolge dopo gli eventi del manga originale e vede il ritorno di Ryuk sulla Terra per affidare il quaderno al giovane e brillante Minoru Tanaka, essendo lo Shinigami in astinenza da mele. Nonostante si ritrovino alcuni dei personaggi della storia principale, e il racconto proceda senza far trapelare alcun elemento essenziale se non proprio alla fine. Personalmente, ritengo che non vada né ad aggiungere nulla né tanto meno a colmare il vuoto lasciato dalla fine del manga vero e proprio. Minoru si delinea come un ragazzo brillante, tanto da suscitare di nuovo l’interesse di Ryuk e l’attenzione di Near, ma la storia non brilla per originalità e non cattura affatto il lettore, segno che forse Tsugumi Oba e Takeshi Obata hanno finito la loro ‘magia’.
In ogni caso, questo non intacca la grande eredità di Death Note, che resta una delle opere più entusiasmanti degli ultimi 15 anni.
Di seguito la sigla di apertura dell’anime di Death Note:
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