Titolo originale: Game of Thrones , uscita: 17-04-2011. Stagioni: 9.
Recensione | Il Trono di Spade: 8×02 – A Knight of the Seven Kingdoms
23/04/2019 recensione serie tv Game of Thrones di Martina Morini
Il conto alla rovescia verso l'imminente dipartita di molti protagonisti parte qui, tra pentimenti, assoluzioni, canzoni profetiche, bevute e ultimi momenti di intimità prima dello guerra finale
Valar Morghulis, ovvero ‘Tutti gli uomini devono morire’. Il motto di Braavos sembra essere il filo conduttore di questo secondo episodio dell’ottava e ultima stagione di Il Trono di Spade (Game of Thrones), intitolato A Knight of the Seven Kingdoms / Cavaliere dei Sette Regni. Quasi fossimo in The Walking Dead, gli esseri umani si preparano a fronteggiare uno stuolo di non morti, con poche certezze e molti interrogativi. “Che aspetto hanno?” chiede Arya a Gendry riferendosi all’esercito di ‘zombi’ in arrivo. “Morte, sono la Morte. La fine di ogni cosa”. Le risponde lui con un’espressione di terrore stampata in volto.
L’inizio del ‘canto del cigno’ dello show ha un sapore agrodolce per le pedine rimaste sul tavolo del ‘gioco del trono’. Tutti (eccetto Cersei e gli altri giù ad Approdo del Re, epurati da questi 55 minuti) ripensano a quanto forse sia stato puerile combattere per tutto questo tempo per l’egemonia dei Sette Regni quando l’unica vera minaccia è sempre stata la fredda Morte, scacco matto inevitabile e ormai arrivato a pochi passi dalle mura di Winterfell. Sospinti dalla nostalgia, seduti attorno al fuoco, i personaggi che ci hanno accompagnato nel corso di 8 anni riflettono a turno su quanta strada hanno fatto per arrivare a questo punto, in questo preciso momento. “È ironico”, dice Tyrion (Peter Dinklage) al fratello. “Se nostro padre ci vedesse ora insieme a difendere fino alla morte Grande Inverno, cosa direbbe?”. Nelle passate sette stagioni di Il Trono di Spade, ciascuno dei protagonisti ha affrontato un percorso differente, rompendo alleanze e formandone di nuove, chi un tempo era acerrimo nemico ora combatte fianco a fianco da amico. Tutto è cominciato nella capitale del Nord, ed è qui che tutto – probabilmente – finirà. Se la 8×01 (la nostra recensione) era costellata di commoventi riunioni, A Knight of the Seven Kingdoms è invece gravato da un nefasto alone di commiato che non risparmia nessuno, in quella che per tutti potrebbe essere l’ultima notte ‘da vivi’.
Emblema del cambiamento di cui si parlava è allora Jamie Lannister (Nikolaj Coster-Waldau), ritornato a Grande Inverno con la coda tra le gambe perché sa bene di non essere esattamente il benvenuto da quelle parti. Con gli occhi da cane bastonato guarda Bran e spera – per non aggravare ulteriormente la sua posizione – che non riveli a nessuno il loro terribile segreto, ma lo ‘sterminatore di re’ sembra comunque sinceramente pentito di avere spinto il ragazzino giù dalla torre per amore della sorella. Jamie viene sottoposto a un doveroso processo che deve decidere della sua sorte, con Daenerys (Emilia Clarke) prontissima a farlo giustiziare e Sansa (Sophie Turner) intenzionata a punirlo per aver attaccato a sorpresa suo padre Ned Stark nella prima stagione. Dalla parte di Jamie però si schiera – prevedibilmente – Brienne (Gwendoline Christie), la persona che più di tutte ha assistito al suo mutamento e all’esplosione del suo onore. Diciamocelo, all’inizio de Il Trono di Spade il ‘leone dorato’ di casa Lannister era assolutamente superficiale, arrogante e spocchioso, ma col tempo le sue qualità e virtù sono emerse limpide. Forse è lui il personaggio che è maturato maggiormente nel corso di questi anni. Un aspetto molto importante, che ribadisce anche quando si confronta col saggio Bran Gallagher (Isaac Hempstead-Wright), è che rifarebbe tutto quello che ha fatto, perché in quei momenti credeva fossero le scelte migliori da compire per il bene dei suoi affetti.
Ogni scelta, anche e soprattutto quelle sbagliate, è servita quindi a forgiare il carattere di ogni personaggio principale di Il Trono di Spade. Anche Theon Greyjoy (Alfie Allen), voltagabbana per antonomasia, vuole fare sentita ammenda e combattere per Grande Inverno dopo che qualche tempo prima aveva preso la città con la forza ai due piccoli Stark. In una sorta di caritas cristiana, forse un po’ troppo eccessiva e sommaria, tutto viene così perdonato a tutti, perché ora ogni mano che possa brandire una spada è fondamentale. Resta tuttavia la sensazione di profondo amaro in bocca per gli innumerevoli spargimenti di sangue, in fondo nati solamente da grandi equivoci e da terribili inganni, per questa metafora fantasy della vita creata dalla penna di George R.R. Martin.
L’altro personaggio cardine dell’episodio è la già citata Brienne di Tarth, la quale non spicca di certo per bellezza o astuzia, ma prova una cieca lealtà verso quegli individui che lei ritiene degni e possiede una forza bruta sempre utile. Di fatto, l’algida donna ginormica è una perfetta guardia del corpo, ma non offre molto altro, se non qualche sparuto siparietto comico fatto di occhiatacce al roscio spasimante Tormund (Kristofer Hivju). La sua investitura a cavaliere, quale ultimo riconoscimento di una vita passata a svolgere un mestiere da uomini, può allora essere interpretato come un chiaro presagio di una morte imminente. Ci sta che si sacrifichi per proteggere Sansa.
Quest’ultima, finalmente incontra privatamente la Madre dei draghi. Nonostante la Khaleesi si dimostri superiore e si sforzi amorevolmente di porgere una mano amichevole alla cognata / nipote, quando la situazione sembra rasserenarsi Sansa le ricorda a bruciapelo che il Nord – dopo la guerra finale – non si inchinerà comunque davanti a nessun sovrano, simpatico o cavalcadraghi che sia. Daenerys, che ha incenerito uomini per molto meno, sembra invece negli ultimi tempi aver subìto una netta involuzione, che la sta riportando a un passo dall’essere la ragazzina ingenua con gli occhioni sgranati degli inizi di Il Trono di Spade. La motivazione per sterminare l’esercito del Re della Notte dovrebbe essere la mera morte di Viserion e non l’amore incondizionato e ‘inspiegabile’ per Jon Snow (Kit Harington), sempre più un tronco alla deriva trascinato dalle correnti verso la cascata. Il ‘bastardo’ è lo specchio preciso di Eddard Stark, ottenebrato dall’onore in maniera spesso controproducente, con in più il carico di ormoni impazziti di un ragazzino in piena pubertà. Imbarazzante il suo contributo nullo quando viene interpellato sul destino di Jamie.
Terzo protagonista di A Knight of the Seven Kingdoms in senso lato è così Tyrion, che rappresenta il “cervello” coi suoi saggi consigli, anche se ultimamente le sue capacità di giudizio – specie in riferimento a Cersei (Lena Headey) – sono finite nell’occhio del ciclone. Il nano amico del vino non è affatto infallibile ma, come fa notare giustamente Jorah Mormont (Iain Glen), impara spesso dai suoi errori, e sarà sempre una risorsa preziosa. Anche se ha perso il suo antico smalto, il leoncino di casa Lannister tornerà prevedibilmente presto a graffiare, e sicuramente si farà perdonare con qualche idea brillante nel corso dell’imminente battaglia. Circolano alcune teorie secondo cui Tyrion si salverà grazie al sacrificio dell’eunuco Varys (Conleth Hill), ovviamente per il bene supremo di Westeros.
Jorah Mormont si riconferma mesto zerbino di Daenerys. Da sempre divorato dai sensi di colpa, non riesce proprio a trovare pace e gioisce solo servendo scodinzolando la donna che ama senza essere ricambiato. Perfino la cuginetta Lyanna (Bella Ramsey) lo sbeffeggia quando lui le dice di rimanere nelle cripte con le altre donne e i bambini. Adesso, tuttavia, il nostro friendzonato preferito è pesantemente armato con vero e prezioso acciaio di Valyria, dopo che il pacioso Samwell Tarly (John Bradley) gli ha consegnato il suo spadone a due mani heartsbane, il che potrebbe significare un’imminente morte onorevole. Non prima di aver fatto un po’ l’eroe.
Arya (Maisie Williams) cresce invece in tutti i sensi, regalando ora la sua verginità a Gendry (Joe Dempsie) nel più becero fan service della stagione (fin qui …). Il bastardo di casa Baratheon non deve comunque essere molto più esperto di lei in tali faccende, vista l’espressione non molto soddisfatta della ragazza nel letto dopo … Sicuramente una notte da non trascrivere nei tomi sacri della Cittadella. Sul destino della piccola di casa Stark c’è abbastanza incertezza, ma probabilmente arriverà viva alla quarta puntata (grazie alla nuova arma che il ragazzo le ha forgiato). Per quanto riguarda il fabbro, le sue azioni sono in netto ribasso, considerando il premio con quel ‘momento di gloria’ carnale. Vale la pena ricordare però le sevizie infertegli dalla Sacerdotessa Rossa, un dettaglio che potrebbe lasciar spazio a un diverso destino.
Appiccicata giusto per far capire agli spettatori che ci sono anche loro in giro per Winterfell è invece la storia d’amore tra Verme Grigio (Jacob Anderson) e Missandei (Nathalie Emmanuel), di cui ben pochi probabilmente sentivano la mancanza. Loro stessi ammettono la propria ‘inutilità’ dopo un’eventuale vittoria dei vivi, con le quote dei bookmakers inglesi al toto-morti che li danno ormai prossimi all’1:1. Nessuno li piangerà a lungo, in quanto divenuti entrambi utili come i testicoli del guerriero. Prepariamoci invece a salutare con dispiacere Beric (Richard Dormer), Davos (Liam Cunningham), Tormund, il Mastino (Rory McCann) e Edd (Ben Crompton), vecchie canaglie che ne han viste troppe e che sono ormai pronti a vivere l’ultima gloriosa impresa delle loro vite. Un’altra vittima quasi certa potrebbe essere la prode bambina – che ricorda la piccola Shireen – che viene spedita a difendere le catacombe.
Sarebbe interessante invece se il Re della Notte, una volta giunto tra le tombe, scegliesse di risvegliare gli antenati degli Stark e li aggiungesse alle sue schiere, spettri dal passato che tornano per tormentare gli ultimi ‘lupi del Nord’ rimasti. A proposito di lupi, non si può non menzionare il povero Ghost, riapparso ‘magicamente’ vista l’assenza in questo episodio dei draghi (ricordiamo che la coperta del budget è troppo corta per prevedere tutte le creature in CGI …). Che finisca male anche per lui, visto che gli showrunner ci han fatto la grazia di reinserirlo (anche se sembrava più un cucciolo di pastore maremmano)?
Continuando a speculare sul futuro di Il Trono di Spade, non si può non tenere conto comunque della canzone che intona soavemente a un certo punto Podrick (Daniel Portman), dal titolo “Jenny of Oldstones”. Se a qualcuno potrebbe richiamare alla mente quella cantata da Pipino in Il Signore degli Anelli, è più facile invece che gli sceneggiatori abbiano guardato a William Shakespeare come fonte di ispirazione primaria. Similmente ai cori utilizzati nelle sue opere dal drammaturgo inglese infatti, tale canto (ricantato dai Florence+ The Machine lungo i titoli di coda dell’episodio) potrebbe fungere da profezia, prefigurando il fato di Jon e Daenerys Targaryen. Nei romanzi di George R.R. Martin, il nesso tra le canzoni e il destino dei personaggi è sempre stato molto forte e non improvvisato (esempio lampante è la tristemente impietosa Rains of Castamere). Nello specifico, il testo della canzone in questione parla di una ragazza del popolo che sposa il principe Duncan Targaryen, figlio maggiore di Aegon V ed erede del trono di ferro. Il giovane era già stato promesso a una Baratheon, ma rinuciò al trono per sposarsi per amore. Le parole si riferiscono alla tragedia di Summerhall, che era la residenza estiva dei Targaryen, distrutta dalle fiamme. Re Aegon V, Duncan, il fratello Aerys e altri erano là presenti per celebrare la nascita di Rhaegar Targaryen, ma si sospetta che il fuoco sia scaturito dal tentativo di riportare in vita i draghi da parte di Aegon. Quasi tutti i presenti morirono nell’incendio, inclusa Jenny, il cui fantasma è nominato proprio nella canzone. Jenny of Oldstones viene intonata subito dopo la scena in cui Jon rivela a Daenerys il loro legame fraterno e che il suo vero nome è Aegon Targaryen (una grande differenza rispetti ai libri, che lascia presagire un finale differente per la serie, come anticipato nelle scorse settimane da George R.R. Martin). Per tutta risposta, Daenerys gli dice che lui sarebbe il legittimo erede al trono dei Sette Regni, non curandosi minimamente di menzionare la possibilità – non proprio latente – dell’eventuale incesto, da brava Targaryen.
Se la canzone fosse davvero profetica, significherebbe che Jon potrebbe quindi scegliere di abdicare per amore in favore di Daenerys, anche se la decisione avrebbe poco senso, visto che potrebbe prenderla come sua sposa e regnare insieme a lei. La testardaggine circa la necessità dell’indipendenza del Nord ribadita da Sansa potrebbe però ribadire il concetto che Jon rimanga il protettore del Nord e che Daenerys regnerà sui Sette Regni, o almeno quello che ne rimarrà dopo lo scontro finale, sancendo così una separazione dei due innamorati. Il parallelismo palese tra Summerhall e Winterfell richiama allora il ‘gioco di ghiaccio e fuoco’ dei romanzi, quel dualismo sempre presente, come la prima fu distrutta dal fuoco e forse Grande Inverno annientata dal ghiaccio.
L’ultima scena, vista già molte alte volte, ci mostra il Re della Notte e i suoi comandanti ormai davvero alle porte. Segnale forte che il tempo per lasciarsi trasportare dalle emozioni e dai ricordi è finito e che ora i protagonisti – e gli spettatori – devono prepararsi a lacrime e sangue. Ricordiamo che gli Estranei sono stati creati dai Figli della Foresta per contrastare l’invasione dei primi uomini, tramite la magia e il vetro di drago che trasformò gli uomini uccisi in redivivi dagli occhi blu. Benjen (Joseph Mawle), zio di Bran, venne ferito oltre la Barriera da uno dei non morti e i Figli della Foresta lo salvarono inserendo nelle ferite lo stesso pugnale incantato di vetro di drago usato per creare gli Estranei. Benjen, divenuto ‘Mani fredde’ (nei libri di Il Trono di Spade viene chiamato così, nella serie è il cavaliere che salva Bran e lo riporta a Grande Inverno nella stagione 7), ha sempre guidato Bran nel suo cammino di corvo a tre occhi, in collaborazione con il precedente veggente trioculare.
Se è vero che l’immarcescibile Bran sia la chiave per vincere la guerra, stando al piano ideato qui dovrebbe limitarsi ad attendere il Re della Notte vicino all’albero sacro, che rappresenta una sorta di crocefisso, acqua santa e aglio tutto insieme per la scheletrica creatura dalla pelle azzurra. Non ci resta che aspettare una settimana per vedere se questa strategia sarà vincente. Sicuramente, dopo una lunga premessa, si passerà all’azione.
Riuscirà il ‘fuoco di drago’ a fare il suo dovere? Come si comporteranno Drogon e Rhaegal nei confronti del fu Viserion? La battaglia durerà un solo episodio oppure due? E soprattutto, cosa più spaventosa di tutte, moriranno soltanto gli attori anziani (che poi sono anche quelli che recitano ampiamente meglio) e resteremo così in balìa per gli ultimi 3 atti di Il Trono di Spade di faccine monoespressive e frontine corrucciatiane?
Di seguito il teaser trailer internazionale dell’episodio 8×03:
© Riproduzione riservata