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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Splinter Cell: Deathwatch , uscita: 14-10-2025. Stagioni: 1.

Splinter Cell: Deathwatch, la recensione degli 8 episodi della serie animata di Netflix

14/10/2025 recensione serie tv di Marco Tedesco

Un prodotto solido e teso nell’azione, ma emotivamente superficiale e zoppicante nei dialoghi animati

Splinter Cell Deathwatch (2025) serie

Splinter Cell: Deathwatch arriva come risposta tardiva a un vuoto lungo più di un decennio e riapre una domanda: come si traduce un’esperienza d’infiltrazione lenta, tattica e silenziosa in un racconto seriale d’animazione capace di parlare sia agli storici appassionati sia a chi non ha mai toccato un pad?

La serie – in 8 episodi – sceglie una via di mezzo rischiosa. Da un lato abbraccia la continuità ufficiale, riprendendo fili lasciati in sospeso dai tempi di “Chaos Theory” e collocandosi anni dopo “Blacklist”; dall’altro asseconda le esigenze del mezzo televisivo, spingendo su ritmo, scontri corpo a corpo e colpi di scena. Il risultato è un’opera riuscita a tratti, che entusiasma quando si affida alla pura tensione operativa e inciampa quando pretende profondità emotiva senza davvero costruirla.

L’incipit è programmatico: non si entra subito nella testa di Sam Fisher, ma si segue Zinnia McKenna durante un’operazione finita male. È un riavvio calcolato del mondo di “Fourth Echelon”, con episodi iniziali che funzionano quasi da “primi livelli” didattici: recupero di informazioni, ritirata sotto fuoco nemico, spostamenti per la campagna polacca, mercenari alle calcagna. Questa scelta premia la chiarezza, ma diluisce l’aggancio emotivo; serve pazienza per arrivare al punto in cui Sam rientra davvero al centro della scena e la storia comincia a “cantare”. Da quel momento, il passo migliora: il rapporto tra Zinnia e la figura di Diana Shetland rivela strati inattesi, alcuni antagonisti guadagnano spessore contro ogni previsione, e affiorano più di una strizzata d’occhio ai capitoli storici senza scadere nel semplice citazionismo.

Sul piano tematico, la serie evoca modelli del “vecchio lupo” costretto a impugnare di nuovo le armi, con un Sam ritiratosi in campagna e refrattario a rientrare nel buio. L’idea funziona come cornice morale – il passaggio di testimone, l’insistenza perché la giovane agente non replichi i suoi errori – ma resta a mezz’aria: il legame tra i due protagonisti si sviluppa poco, la sete di vendetta di Zinnia rimane motore lineare, e le ragioni dell’addio di Sam al mestiere non vengono approfondite quanto basterebbe per lasciare il segno. C’è però un’eccezione notevole: la rielaborazione di un momento chiave legato a Doug Shetland, che qui acquista una gravità e un’ambientazione capaci di superare il ricordo del gioco, dimostrando che l’adattamento può migliorare il materiale d’origine quando osa davvero.

Il versante visivo è bifronte. L’animazione brilla nelle sequenze operative: movimenti credibili, coreografie di coltelli e armi da fuoco che restituiscono fisicità, montaggio serrato senza perdere leggibilità. Ogni scontro è pensato come una piccola sceneggiatura di spazi, luci e suoni: si avverte il peso dell’età sulle spalle di Sam, lo sforzo nel corpo, la memoria muscolare che compensa. Quando però la serie rallenta per i dialoghi, emergono limiti evidenti: bocche poco espressive, rigidità in alcune interazioni, una resa dei volti non sempre all’altezza dell’intensità richiesta. È un paradosso tipico di molte produzioni animate ibride: l’azione convince più dei momenti in cui bisognerebbe sostare sulle sfumature.

Le scelte di rappresentazione sono più crude rispetto ai videogiochi: coltellate alle tempie, proiettili a bruciapelo, dettagli anatomici espliciti. Non è gratuità fine a se stessa; serve a ricordare che l’infiltrazione fallita ha un costo fisico e morale, e che questi operatori agiscono ai margini della legalità. Al tempo stesso, la maggiore violenza sposta l’identità della serie verso un terreno meno “ombra e attesa” e più scontro frontale, avvicinandola alla stagione più divisiva della saga videoludica. Chi cercava il brivido del passaggio senza tracce potrebbe storcere il naso di fronte al conteggio dei caduti lasciati da Fisher, per quanto coerente con il nuovo contesto narrativo.

splinter cell serie netflix 2025Il doppiaggio è destinato a dividere. Liev Schreiber non è Michael Ironside, né potrebbe esserlo, ma compone un Sam stanco e coriaceo, asciutto nell’ironia, capace di far pesare ogni pausa e ogni respiro. La sua prova restituisce l’idea di un professionista che deve fare i conti con limiti nuovi e con un mondo che non riconosce più. Zinnia, interpretata con energia e nervi scoperti, è la vera sorpresa: rabbia trattenuta, disciplina che cede nei momenti peggiori, progressiva presa di coscienza.

Attorno, la squadra funziona per ruoli: Grim diretta e pragmatica, Jo come contrappeso, Thunder nel registro del tecnico spavaldo. Tra i volti avversi, la famiglia Shetland è usata con intelligenza per intrecciare memoria e presente, pur senza evitare qualche semplificazione.

Sul disegno più ampio, Deathwatch cammina su una linea stretta. Per i nuovi arrivati non è sempre amichevole: introduce concetti e legami con misura, ma dà per scontato un bagaglio minimo che molti non hanno. Per chi vive la serie da vent’anni, è insieme carezza e ferita: rivedere Sam invecchiato e ancora pericoloso scalda il cuore, sapere che il racconto si colloca così avanti sulla linea temporale alimenta il timore di averlo per poco. La chiusura della stagione, per una volta, non si rifugia nel gancio facile: le trame principali trovano un esito, lasciando però spazio per nuove missioni. È una scelta corretta, in un’epoca in cui troppe opere tirano a campare senza garanzie di rinnovo.

Cosa resta, allora? Una serie che onora la memoria della saga quando mette in scena metodo, pazienza e uso dell’ambiente, e che perde quota quando scivola nell’automatismo dell’ennesima cospirazione con miliardari salvamondo e conflitti geopolitici raccontati con mano pesante.

Una resa visiva notevole nell’azione e zoppicante nella conversazione. Un protagonista credibile nella sua usura e una partner che merita di crescere oltre la semplice vendetta. Un ponte, non una meta: rimette Splinter Cell al centro dell’immaginario, riaccende il dibattito sull’adattamento e, forse, avvicina quel ritorno videoludico che molti attendono. Insomma, una solida esperienza d’intrattenimento, non priva di limiti, consigliata agli appassionati delle serie animate da piattaforma e a chi vuole rivedere Sam Fisher in un contesto nuovo, pur consapevole che la perfezione resta altrove.

Di  seguito trovate il full trailer internazionale di Splinter Cell: Deathwatch, a catalogo dal 14 ottobre: