Titolo originale: The Purge , uscita: 04-09-2018. Stagioni: 3.
The Purge | La recensione della serie di James DeMonaco (Stagione 1)
30/12/2018 recensione serie tv The Purge di Jayenne
Dopo quattro film, James DeMonaco sposta la terribile notte dello Sfogo in TV, replicando senza grosse novità - nel bene e nel male - una formula ormai collaudata
Negli Stati Uniti circolano oltre 270 milioni di armi da fuoco tra i civili e pare che le morti tra la popolazione dovute al loro utilizzo siano ancora in increscioso aumento. Questa premessa, volutamente critica, aiuta a collegare questo triste fenomeno dei tempi che viviamo all’ispirazione (parziale, visto che ci sono già quattro film) per la serie televisiva The Purge. Dal punto di vista meramente lessicale, ‘to purge’ si può letteralmente tradurre con ‘purgare’, ‘epurare’. Si usa quindi per definire l’eliminazione fisica di persone indesiderate e/o socialmente deboli, reietti insomma, dalla comunità da parte di chi detiene il potere, nel caso dello show i Nuovi Padri Fondatori (NFFA). L’obiettivo ultimo è di estirpare i possibili oppositori o soffocare gli istinti di rivolta, in modo da assicurare la stabilità del Paese attraverso appunto la ‘riduzione’ di quella frangia di popolazione ritenuta scomoda, indigente, inutile, controllando il livello di disoccupazione e rafforzando la crescita economica, ottenuta però – ahinoi – con grande spargimento di sangue.
The Purge è naturalmente un’estremizzazione della situazione socio-politica americana attuale, dove prolificano il fanatismo e l’industria delle armi e la loro conseguente diffusione per le strade, una nazione che mai sarebbe in disaccordo con il loro uso o il possesso personale. Il franchise de La Notte del Giudizio – iniziato cinque anni fa – si basa sull’irrazionale desiderio di dare sfogo alla violenza cieca e impunita da parte dei cittadini nel corso di una sola notte lunga 12 ore, così da liberare la propria rabbia repressa ed evitare – auspicabilmente – che durante il resto dell’anno commettano crimini violenti e si sentano meno in colpa per averli compiuti.
Di certo, l’ideatore della saga James DeMonaco non ha mai inteso giustificare gli atti barbari che ha di volta in volta messo in scena, bensì catalizzare piuttosto con verve critica l’attenzione su quella violenza istituzionalizzata inserita all’interno dei film e che ha fatto prosperare un sottogenere del cinema horror come quello degli home invasion, che, diciamocelo pure, dai tempi di Funny Games (diretto da Michael Haneke nel 1997, in cui due ragazzi prendono in ostaggio una famiglia torturandone i membri – tra cui un ragazzino – con vari giochetti psicologici e non solo) e Battle Royale (di Kinji Fukasaku, uscito nel 2000, adattamento dell’omonimo romanzo di Koushun Takami dove un gruppo di compagni di scuola, portati su un’isola, veniva obbligato a uccidersi a vicenda fino a quando non fosse rimasto un solo vincitore, che sarebbe potuto ritornare a casa), ha avuto ben pochi picchi.
Con uno share del 93% e ascolti vicini agli 1.4 milioni di telespettatori per la prima puntata (poi attestatisi intorno al milione per le seguenti), The Purge ha dimostrato che l’interesse per il franchise de La Notte del Giudizio è ancora alto. Trasmessa negli Stati Uniti da USA Network a partire dallo scorso 4 settembre e arrivata in Italia grazie ad Amazon Prime Video il giorno dopo in lingua originale (per il doppiaggio si è dovuto aspettare fino al 23 novembre), la serie prodotta da Jason Blum con la sua Blumhuse Television e dalla Universal Cable pProduction è già stata rinnovata per una seconda stagione, in arrivo nel 2019. L’idea di spostare la saga dalle sale ai salotti si è rivelata una mossa tanto immaginabile quanto alla fine vincente da parte di James DeMonaco, sceneggiatore e produttore (e regista in tre casi) di tutti e quattro i film usciti (La notte del giudizio, Anarchia, Election Year e La prima notte del giudizio).
Il fascino indiscusso delle pellicole e il notevole incasso globale al botteghino nonostante il budget di produzione limitato hanno quindi portato all’inevitabile messa in cantiere di questa serie, ambientata tra il secondo e il terzo capitolo cinematografici (10 anni dopo gli eventi di The First Purge) e composta da 10 episodi della durata di 45 minuti l’uno. Il filmmaker sfrutta qui giustamente – visto il medium e il tempo a disposizione – l’immediatezza dei personaggi e le diverse storie che si intrecciano e, nonostante la violenza venga portata all’esasperazione, esagerata, scollegata e ai limiti del gore, ma altamente contemporanea, gli sceneggiatori riescono a unire tutte le linee narrative tra loro.
The Purge si muove tra quattro storie principali: Miguel (Gabriel Chavarria), un marine alla ricerca della sorella Penelope (Jessica Garza) che pare essersi unita a una setta sacrificale; Rick (Colin Woodell) e Jenna (Hannah Emily Anderson), una giovane coppia che parteciperà alla festa dei Nuovi Padri Fondatori, nonostante siano in disaccordo sullo ‘Sfogo’, per chiedere un prestito atto a finanziare la loro impresa; Jane (Amanda Warren) – tra i personaggi meglio caratterizzati e riusciti – una donna afroamericana in carriera che si trova in ufficio e che sfrutterà la nottata per vendicarsi dei suoi capi (oltre che dall’assistente tanto odiata) e che pare anche avere un legame morboso con la madre; Joe (Lee Tergesen), che – stanco dei suoi fallimenti – deciderà di unirsi agli NFFA ma inizierà a coltivare qualche dubbio di carattere etico.
In queste ore di follia dilagante, ogni tipo di arma può naturalmente esser usata, tranne quelle da guerra di grosso calibro, e resta l’immunità per i funzionari governativi di ‘livello 10’, ma nulla di più. Queste le poche regole, eccezioni se così vogliamo chiamarle, che valgono durante la ‘notte dello Sfogo’. Stesso copione quindi già visto nei film, ad esclusione del terzo capitolo del 2016, nel quale anche questi limiti venivano per cercare di colpire la protagonista, la senatrice Roan (Elisabeth Mitchell), candidata alla presidenza degli USA e intenzionata a cancellare la sciagurata tradizione in caso di vittoria.
Tuttavia, viene ora introdotto una significativa novità. Se nei lungometraggi non c’è nessun posto dove potersi nascondere, nella serie invece c’è un vecchio bar (il Pete’s Cantina) gestito da un poliziotto, dove le persone di ogni etnia, razza ed estrazione sociale possono fermarsi, bere e poi uscire, senza paura di rimanere uccise nel mentre. E’ un po’ una zona neutrale, un luogo dove sentirsi al sicuro in mezzo al caos. Inizialmente creato per dare la possibilità agli epuratori di riflettere sul da farsi prima di commettere qualunque tipo di violenza, sottolinea il messaggio di anti violenza che James DeMonaco vuole dare agli spettatori, ovvero che ogni individuo ha sempre davanti una scelta, che lo ‘Sfogo’ non rende affatto persone migliori, che uccidere a sangue freddo non fa sentire bene e che la vendetta non è – e mai sarà – la soluzione ai problemi. E’ meglio sedersi, bere una birra e attendere la fine delle 12 ore!
Quello che contraddistingue The Purge – tra i cui special guest figurano Lili Simmons, William Baldwin e Fiona Dourif – è la tensione palpabile fin dal primo episodio, in cui vengono descritte le poche ore precedenti alla fatale notte, che mostrano come i cittadini inizino a manifestare delirio ed eccitazione oppure ansia e tensione. Politicamente, ed è una delle poche in circolazione capace di farlo, la serie mostra il divario sociale tra i ricchi e i ceti meno abbienti, ma non attraverso metafore o giri di parole poco chiari, lo fa in maniera plateale ed è anche questo che probabilmente piace agli spettatori.
Il futuro distopico di un’America non così diversa da quella reale dove queste distinzioni di reddito possono fare la differenza tra il sopravvivere e il morire. Mentre i film sono una specie di pugno in faccia, dove le esplosioni di violenza devono necessariamente arrivare presto e senza sconti, i tempi televisivi garantiscono la possibilità di analizzare con maggiore calma le motivazioni che portano i cittadini di varie estrazione a comportarsi in un certo modo. Vengono prese in esame allora le varie ore della nottata e le sfumature dei comportamenti di protagonisti e comprimari in un modo non pleonastico come al cinema.
Guardando The Purge è inevitabile domandarsi almeno una volta cosa potrebbe realmente accadere qualora una situazione del genere diventasse realtà, specie in un’America che vive quotidianamente a stretto contatto con l'(ab)uso di pistole e fucili. Fortunatamente, possiamo solo ipotizzarlo, per adesso. Nella finzione, la società risponde nei migliori dei modi a questi scatti di violenza inaudita, crudele, perchè quella parte di popolazione “scomoda”, povera, emarginata, senza fissa dimora, verrà indubbiamente decimata e offerta come ‘agnello sacrificale’. Perchè questa follia legalizzata ha come risultato la consapevolezza di eliminare questa fetta di società. Una delle scene più sconvolgenti, proprio durante l’episodio pilota, vede un ragazzo fatto scendere da un autobus guidato da un gruppo di ragazze ‘punitrici’, incappucciate e vestite da una tunica azzurra, che offrono all’ “invisibile” la loro prima vittima, inneggiando all’immolazione come vera e propria elevazione al Paradiso. Pronto a farsi uccidere dunque, consapevole dei maniaci già in circolazione nella città, il suo volto è impaurito, quasi fosse pentito. Scende lentamente dal mezzo, allarga le braccia e attende l’inevitabile. Il gioco al massacro non potrebbe iniziare nel migliore dei modi.
Nonostante tutto, il riutilizzo della struttura già ampiamente collaudata nei capitoli cinematografici spicca per scarsa originalità, con conseguente soglia minima di attenzione e personaggi che scivolano addosso senza lasciare un segno tangibile, conditi – oltre che dalle maschere che indossano – soltanto da qualche flashback qua e là in cui vengono palesate le influenze delle loro azioni precedenti al rispettivo Sfogo. Proprio le maschere ricordano bizzarramente quelle realizzate dai bambini per una qualunque festa in costume, usando come modello figure normalmente considerate positive dalla società – ma non solo – come dottori e religiosi, che tuttavia vengono estremizzate, sfigurate e distorte, per farle apparire il più possibile orribili e perverse.
Sempre nel primo episodio, al party a cui partecipa la nostra coppia protagonista vengono offerte agli ospiti maschere raffiguranti David Berkowitz (il killer noto negli anni ’70 con il nome di “figlio di Sam”). Attraverso tale oggetto, tutti quanti possono coprire una parte o la totalità del volto, e questo è un modo per rendersi emotivamente invisibili agli altri, per cercare di ‘uniformarsi socialmente’ senza distinzioni di ceto o cultura, oltre al fatto di rendersi irriconoscibili da altri carnefici. La maschera quindi assume un significato grottesco, quasi ironico, certamente simbolico ma anche familiare. Non sapere chi si nasconda dietro essa rende inconsciamente inquieti, per cui un individuo qualunque può indossarla, recitare il ruolo di un personaggio durante questa notte, scegliendo di fingere che sia quello il suo vero volto. Una visione tanto pazza quanto umana, familiare, di individui a cui siamo abituati ad attribuire una connotazione benevola
In definitiva, gli ascolti hanno dimostrato che tutto sommato il pubblico non è ancora stufo della blanda violenza gratuita che scaturisce dalle 12 ore di degenero attuate durante l’epurazione di massa di The Purge. Nell’attesa di capire cosa succederà nella seconda stagione – il format si presta potenzialmente a infiniti seguiti e spin-off – io vi consiglio di barricarvi in casa e guardarvi bene le spalle!
Di seguito il full trailer originale di The Purge:
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