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Voto: 6.5/10 Titolo originale: 60 Minuten , uscita: 19-01-2024. Regista: Oliver Kienle.

60 minuti: la recensione del film di arti marziali tedesco di Oliver Kienle (su Netflix)

01/02/2024 recensione film di Francesco Chello

La library del colosso dello streaming si arricchisce di una piccola e insospettabile chicca del cinema di mazzate. Emilio Sakraya è l’azzeccato protagonista di una corsa contro il tempo contraddistinta da adrenalina e, soprattutto, botte da orbi

Emilio Sakraya in 60 minuti (2024)

L’esperienza ci insegna che a volte dietro titoli usciti insospettabilmente in sordina, si nascondono alcune delle release più interessanti delle piattaforme streaming. E’ il caso di 60 Minuti, che dal titolo originale in cui i minuti diventano minuten potete capire si tratti di un film tedesco.

Laddove sordina vuol dire che a me era sfuggito. Mi è stato segnalato dalla redazione e vi dirò, mi lusinga che ci sia un alert a tema che mi riguarda: esce un film di botte, pensano a me. Che è tipo una medaglia al valore del cinema di genere. In questo periodo leggo di cinefili che si azzuffano sui Golden Globe, le nomination agli Oscar, le velleità psicosociali di un certo cinema impegnato che io probabilmente non guarderò mai; ecco, se osservate bene sullo sfondo di un’ipotetica immagine della suddetta rissa, in un angolo ci sono io con un sorrisone genuino che me la spasso per un’ora e mezza davanti alla tv guardando gente che si picchia male per le vie di Berlino. E subito dopo corro qui, a consigliarvi quella visione.

Ho sottolineato la provenienza, perché non mi pare che dalla Germania arrivino spesso film incentrati sulle arti marziali. Che è un merito per loro, ma anche un modo per punzecchiare (sull’argomento) il nostro di cinema. E non mi riferisco a quello di genere in toto, che anzi negli ultimi tempi sembra regalarci segnali incoraggianti con una certa continuità che io sostengo puntualmente, per dire anche solo in ambito di action più o meno vagamente manesco io sono tra quelli che hanno apprezzato abbastanza film come La Belva o Il Mio Nome è Vendetta (la recensione).

60 minuti (2024) film posterMa se parliamo di action prevalentemente marziale ci tocca constatare che siamo fermi a quella robaccia di Karate Man (la recensione), su cui meglio stendere un kimono pietoso. Non è una critica, diciamo che vuol essere uno stimolo verso un filone nel quale non abbiamo tradizione. E no, Il Ragazzo dal Kimono d’Oro non vale come tradizione.

Lo spunto di 60 Minuti è molto semplice. Una corsa contro il tempo con un protagonista che parte dal punto A per raggiungere il punto B (con tanto di percorso che compare ogni tot in sovraimpressione). La cosa bella (molto) è che quel percorso è quasi interamente colorato da botte, violenza, sangue, lividi, escoriazioni.

La motivazione della corsa in questione viene costruita su quello che di base è un po’ un cliché come il padre separato che suo malgrado non riesce ad avere tempo per la figlioletta motivo per cui rischia di perderne la custodia e via discorrendo, eppure dopo due o tre passi l’incipit riesce a diventare subito funzionale, rendendo l’intero itinerario un misto di ansia e adrenalina. Dillo alla mamma, dillo all’avvocato.

No, sul serio, la colpa è proprio di questi due personaggi che in una sola scena si dimostrano così stronzi da farti tifare immediatamente per il protagonista affinché riesca a tornare dalla sua bambina ed a mettere le cose a posto. Dettaglio non da poco, un’intera organizzazione criminale che nel frattempo si mette sulle sue tracce rendendo il tragitto, diciamo così, alquanto tortuoso.

Per portare lo spettatore in focus, il prologo introduce in qualche modo la disciplina. Una palestra, il riscaldamento, la preparazione ad un atteso match di MMA. Il palazzetto, gli spogliatoi. Ti senti pronto ad assistere ad almeno un incontro canonico, quando arriva la svolta inattesa. Sul ring non ci si arriverà mai, il match non viene disputato.

Quello che sembra volutamente un freno è in realtà l’innesco di una quantità di scontri e botte che nemmeno in un torneo intero. In sostanza l’MMA viene portato in strada, il nostro eroe affronterà un numero indefinito di nemici che si frappongono tra lui e la figlia. Non necessariamente uno alla volta, spesso in tanti contro uno.

Scontri di vario tipo e di diversi livelli di difficoltà, con ambientazioni che vanno dal vicolo all’interno di un abitacolo, passando per l’ingresso di una pasticceria o il cemento di un edificio abbandonato. Combattimenti corpo a corpo che diventano pregio di un film che capisce come valorizzarli. Campi larghi, pochi stacchi, montaggio intelligente, la capacità di rendere sempre tutto chiaro e comprensibile, anziché buttarla sull’inutile caciara si mette lo spettatore in condizioni di poter apprezzare la chiarezza di coreografie che trovano il giusto punto d’incontro tra realismo e spettacolarizzazione.

E l’impiego di gente che viene dal mondo marziale e/o degli stunt. Il repertorio d’azione viene occasionalmente allargato, dall’incidente d’auto all’utilizzo di armi bianche o da fuoco. Una direzione oculata che mi ha incuriosito al punto da farmi andare a vedere il curriculum di un regista che chiaramente non conoscevo, Oliver Kienle, e scoprire che prima di questo film aveva diretto generi completamente diversi, dalla commedia al dramma.

Così come non conoscevo colui che di 60 Minuti è protagonista e punto di forza, il 27enne Emilio Sakraya. Nato a Berlino da padre serbo e madre marocchina, trova in questo mix genetico quei lineamenti sufficientemente ruvidi da poter essere credibile in un ruolo di questo tipo.

Emilio Sakraya e Aristo Luis in 60 minuti (2024)Credibilità che poi rafforza con una performance che unisce atletismo marziale, intensità, mood giusto. Ho provato a saperne di più pure (se non soprattutto) su di lui, anche solo per capirne il background, togliermi il dubbio se fosse un atleta prestato al cinema o viceversa. Le orecchie a cavolfiore mi facevano propendere per la prima ipotesi, la disinvoltura davanti alla macchina da presa per la seconda.

Viene fuori che è praticamente entrambe le cose. Attore che colleziona le prime esperienze sul set a soli 9 anni, età in cui si appassiona anche di karate e kung-fu arrivando a vincere importanti tornei giovanili. E le orecchie sono un intelligente tocco di make-up, le sue non sono realmente a cavolfiore. Quella di Sakraya è un’interpretazione prevalentemente fisica, è chiaro che finisci per giudicarlo in primis per le botte.

E va detto che il ragazzo sa darle. Muscolatura asciutta, un fisico scolpito ma non pesante, si fa notare per atletismo e agilità, tanta corsa, oltre che per un buon repertorio marziale. Ma non sottovaluterei nemmeno la quota attoriale, per un registro che alterna l’incazzatura con la vita, l’impossibilità di esprimere le proprie emozioni positive, la rabbia più o meno repressa, l’amore sincero per la figlia.

Emblematico il finale tenerissimo, quasi poetico, un’immagine intensamente dolce che dopo tanta violenza potrebbe stridere ed invece assume una connotazione liberatoria. Nota per Marie Mouroum, stunt-woman ed attrice, che in un paio di circostanze spacca culi insieme al protagonista in nome della parità di sessi delle mazzate.

Non mi resta che ribadire il consiglio. Se, come me, siete amanti del cinema marziale, delle botte, dei sani pugni in faccia, dei calci volanti, allora date un’occhiata a 60 Minuti, piccola chicca di categoria. Stavo per aggiungere ‘nascosta’, ma a giudicare dalla sua presenza nella top 10 dei più visti (nel momento in cui scrivo) direi che qualcuno ha iniziato ad accorgersene.

Di seguito trovate il trailer internazionale di 60 Minuti, nel catalogo di Netflix dal 24 gennaio: