Alien Love Triangle: la storia del corto sci-fi di Danny Boyle che non vedremo mai
12/06/2017 news di Redazione Il Cineocchio
Kenneth Branagh, Courtney Cox ed Heather Graham nel cast dell'opera, mostrata una sola volta nel 2008
Due futuri grandi nomi della cinematografia contemporanea stavano negli anni ’90 muovendo insieme i loro primi passi, seppure avrebbero poi preso strade molto differenti: il primo è il messicano Guillermo del Toro, che nel 1993 debuttava con Cronos con grande successo; il secondo è il britannico Danny Boyle, capace nel 1996 di concretizzare in un film l’essenza della sua generazione con Trainspotting. Ebbene, queste due voci iconiche di quel periodo per poco non hanno partecipato alla medesima antologia fantascientifica in tre capitoli. Avrebbe dovuto trattarsi di The Light Years Trilogy, una raccolta sci-fi affine ad alcune produzioni della Amicus degli anni ’60 e ’70, come La casa che grondava sangue. Entrando più nel merito del fascinoso progetto, ciascun segmento sarebbe dovuto durare 30 minuti, diretti oltre che da del Toro e Boyle, anche da Gary Fleder, regista nel 1995 di Cosa fare a Denver quando sei morto.
Purtroppo però The Light Years Trilogy non si concretizzò mai, sebbene due delle tre storie non girate allora trovarono un’altra via per il grande schermo, e senza cambiare registi. Da una parte difatti il iniziale concept è stato elaborato nel 1997 da del Toro con Mimic, pellicola su giganteschi scarafaggi mutanti che strisciavano nella metropolitana di Manhattan, terrorizzando la popolazione fino all’intervento della scienziato incarnata da Mira Sorvino. Ad essere precisi, i mostri nella mente del regista avrebbero dovuto essere enormi coleotteri, ma la produzione impose parecchi vincoli alla creazione artistica, nonché l’aggiunta del materiale girato dalla seconda unità, non approvato dal regista. La forma primigena venne comunque in parte ricostruita, come spesso accade in tali frangenti, grazie all’edizione in Blu-Ray da lui approvata nel 2011, in cui le componenti spurie sono state rimosse (scoprite di più sulla dicotomia tra edizioni cinematografiche e director’s cut nella nostra riflessione).
Il secondo capitolo tratto dal mai realizzato The Light Years Trilogy che in qualche modo rinacque come l’Araba Fenice, fu Impostor, diretto da Fleder e adattato dall’omonima storia breve di Philip K. Dick con Scott Rosenberg, il medesimo sceneggiatore di Cosa fare a Denver quando sei morto. A differenza di Mimic tuttavia, il regista aveva in principio girato, come peraltro era stato pensato sin da principio, un cortometraggio di 30′. Visto il cambio di destinazione però, una serie di sceneggiatori – tra cui Ehren Kruger e David Twohy – vennero ingaggiati per scrivere delle scene aggiuntive, progettate per portare la storia alla lunghezza di un lungometraggio, in un’operazione piuttosto singolare. Il film, collocato durante un’apocalittica invasione aliena della Terra, seguiva un gruppo di ostili extraterrestri in grado di creare perfetti replicanti degli esseri umani, che celavano delle bombe, e vedeva protagonista Gary Sinise nei panni di Spencer Olham, prima rispettato cittadino poi sospettato di essere un infiltrato. Impostor venne distribuito nel 2002, ma gli incassi furono – comprensibilmente – assai deludenti (8 milioni di dollari a livello mondiale a fronte di 30 di budget).
All’appello mancherebbe però il terzo segmento, quello di Boyle: Alien Love Triangle, che a differenza degli altri due avrebbe dovuto essere una fanta-commedia. Il suddetto, come Impostor, era stato girato già all’epoca, nel 1999 per l’esattezza, su una sceneggiatura di Boyle e John Hodge, collaboratore regolare che prese parte anche a Trainspotting, e vedeva protagonista Kenneth Branagh nei panni di Steven Chesterman, uno scienziato creatore del teletrasporto che scopriva che la moglie, incarnata da Courtney Cox, era un’aliena. Non solo, il personaggio della donna “era invero un extraterrestre maschio in femminili spoglie”, mentre Heather Graham sarebbe apparsa come sua simile in versione femminile, incaricata di riportare il succitato visitatore extraterrestre sul pianeta natale. Secondo Boyle, se all’apparenza avrebbe potuto essere percepito dagli spettatori come una “commedia superficiale”, in realtà avrebbe dovuto essere un’acuta disamina su ciò che gli inglesi “erano disposti a fare per proteggere la propria famiglia apparentemente perfetta”. Sebbene accattivante, almeno sulla carta, l’unica proiezione di Alien Love Triangle in pubblico fu resa possibile solo grazie agli sforzi di Mark Kermode. Nel febbraio del 2008, il critico volle infatti celebrare la chiusura del più piccolo cinema del Regno Unito, La Charrette, in Galles, mostrando qualcosa di strano e unico quanto la location stessa.
Per somma sfortuna di tutti coloro che purtroppo non poterono presenziare all’evento, ossia praticamente chiunque, non ci furono repliche di Alien Love Triangle, che con ogni probabilità rimarrà impantanato per sempre nell’infausto limbo generato dagli studios e dai loro infiniti nodi legali. A un certo punto si era vociferato peraltro che il cortometraggio sarebbe stato inserito nei contenuti speciali del DVD di The Millionaire (Slumdog Millionaire), ma – come palese ormai – quel progetto non è andata a buon fine. I fan di Boyle non possono quindi che incrociare le dita o rimanere con la curiosità per questo film ‘maledetto’, accontentandosi di immaginarne l’aspetto basandosi sulle immagini che trovate qui sopra (i costumi sono opera di Susannah Buxton).
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Fonte: io9