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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Alma & the Wolf , uscita: 20-06-2025. Regista: Michael Patrick Jann.

Alma and the Wolf: la recensione del film horror di Michael Patrick Jann

22/10/2025 recensione film di Gioia Majuna

Tra licantropi e colpa, un prodotto che incanta e irrita con la stessa intensità

alma and the wolf film horror 2025

Alma & the Wolf è il classico film che divide: da un lato un’indagine di personaggi sul fallimento e sull’autoinganno, dall’altro un racconto di mostri con un lupo bipede che parla, minaccia e trascina con sé un corteo di capre. Il risultato è un ibrido volutamente spiazzante che gioca con le attese dello spettatore fino a un colpo di scena finale capace di ribaltare il senso di quanto visto. Questa ambivalenza è il cuore della discussione: è un limite o la sua vera forza?

Ren Accord (Ethan Embry), ex promessa del baseball oggi vice-sceriffo nella cittadina costiera di Spiral Creek, tira avanti tra alcol, un matrimonio in pezzi e la speranza che il figlio Jack realizzi i sogni sportivi che lui ha perduto. Una sera incontra Alma (Li Jun Li), l’ex ragazza “irraggiungibile” del liceo, sanguinante e con il cane morto in braccio: giura che un enorme lupo l’ha attaccata, scortato da capre che sembrano uscite da un rituale. Poco dopo, il lupo parla, si fa vedere e scompare come un’ossessione. Quando Jack svanisce nel nulla, Ren è certo che la bestia c’entri. Intorno a lui piovono segnali: un palloncino rosso che ritorna come un richiamo, sogni a occhi aperti, visioni di processioni campestri, una comunità che pare complice o delirante. Il confine tra minaccia sovrannaturale e crollo psicologico si assottiglia fino a spezzarsi.

Il film seduce per come alterna registri. Il folk horror del lupo, dei boschi umidi dell’Oregon e dei corpi che si trasformano convive con una commedia nera secca, fatta di battute laterali e situazioni volutamente stridenti, e con un dramma realistico su dipendenza, colpa e paternità.

La confezione, con effetti volutamente spigolosi e un costume del lupo che pare troppo “visibile”, non è una goffaggine: è una scelta. L’immagine scivola spesso nel grottesco per dirci che lo spettacolo del mostro conta meno dell’uomo che lo guarda. Alma & the Wolf funziona allora come parabola sul bisogno di nominare il male: Ren ha bisogno del lupo per spiegarsi tutto ciò che non controlla – l’alcol, la carriera mancata, l’amore che non tiene, un figlio che gli sfugge – e lo insegue come si insegue un alibi.

Qui la regia costruisce un percorso di sospensione riuscito, sorretto da due interpretazioni complementari. Embry dosa ironia e disperazione, facendo percepire quanto Ren sia prigioniero di se stesso e di una provincia che trattiene chiunque “provi a uscire”. Li Jun Li lavora per sottrazione: Alma è vittima, tentazione, specchio e infine enigma. La loro chimica tiene insieme il film quando i toni cambiano d’improvviso e la narrazione si frantuma in dialoghi spiazzanti, apparizioni caprine in mezzo alla strada e sogni di rituali col fuoco.

Il punto dolente è l’atterraggio. Il terzo atto, pur emotivamente serrato e con qualche guizzo visivo notevole, sceglie una via esplicativa che chiude i conti “troppo bene”. Laddove la prima ora procede come un rebus su identità, dipendenze e menzogne condivise, la risoluzione mette in fila le risposte e arruota gli eventi verso un chiarimento che può risultare un cliché. La sensazione è duplice: da un lato appaga chi vuole una spiegazione; dall’altro depotenzia il fascino allucinato, come se il film avesse bisogno di giustificarsi dopo aver giocato con generi e aspettative. Per qualcuno può essere un tradimento del patto; per altri la conferma che Alma & the Wolf è, sotto la pelle del licantropo, un ritratto di uomo che si racconta favole per non guardare il proprio naufragio.

Resta il valore del sottotesto. Spiral Creek è più di un’ambientazione: è la gabbia sociale in cui prosperano risentimento, autoindulgenza e bugie collettive. Il lupo diventa simbolo plurale: il predatore delle dipendenze, la maschera che la comunità adopera per nascondere responsabilità, l’animale interiore che Ren non sa addomesticare. Le capre, comparse surreali e quasi buffe, spostano l’asse dal terrore al rito: la paura non è solo biologica, è culturale, è teatro pubblico. Anche il baseball e quel palloncino rosso, ricorrenze quasi infantili, fissano l’idea di un’adolescenza mai archiviata, che rende ogni adulto un eterno “quasi”.

Sul piano del “film di mostri”, chi cerca brividi ortodossi resterà a metà. La violenza c’è, gli effetti pratici pure, ma il terrore vero non è nel ringhio del lupo: è nella discesa di Ren verso un punto di non ritorno. Sul piano del “cinema d’autore”, la scrittura è più ambiziosa degli esiti: dialoghi talvolta programmatici, figure di contorno che servono il meccanismo invece di respirare, e un finale che annoda senza far vibrare davvero il tema centrale. Ma proprio questa frizione tra intenzione e risultato genera una visione curiosa, a tratti ipnotica, che lascia addosso un retrogusto di farsa amara.

In definitiva, Alma & the Wolf è una creatura bifronte: come il suo lupo, parla e ringhia. Quando studia Ren e la provincia che lo trattiene, è potente, personale, persino commovente; quando vuole consegnare “la verità”, si fa prevedibile. Rimangono immagini che si stampano (il palloncino nel campo, la scia di capre nella nebbia, la stazione di polizia come sala d’attesa del destino), due prove attoriali generose e un’idea chiara: il vero orrore non è il mostro nel bosco, è l’uomo che smette di riconoscersi allo specchio. Per chi ama i racconti contaminati e le “opere da discutere”, è un film da vedere, magari litigandoci sopra. Per chi cerca un lupo che morda e basta, il morso arriverà, ma forse senza lasciare il segno che prometteva.

Di seguito trovate il trailer di Alma and the Wolf, disponibili su Paramount+:

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