Voto: 6.5/10 Titolo originale: Civil War , uscita: 10-04-2024. Budget: $50,000,000. Regista: Alex Garland.
Civil War: la recensione del film utopico-giornalistico di Alex Garland
18/04/2024 recensione film Civil War di William Maga
Kirsten Dunst e Wagner Moura sono al centro di un'opera ai limiti del reale più importante che pienamente riuscita
L’anno esatto è imprecisato: potrebbe essere qualche decina di mesi in un futuro alternativo, oppure potrebbe essere anche adesso. Il presidente, un tipo integerrimo interpretato da Nick Offerman, non è mai chiamato per nome, il suo partito e le sue affiliazioni politiche non sono chiare (anche se la sua retorica in un discorso alla nazione suona inquietantemente autoritaria).
E non viene spiegata la natura precisa del conflitto interno che ha lacerato gli Stati Uniti e trasformato le principali città in zone di guerra aperta.
In Civil War, il provocatorio quarto film di Alex Garland (Ex Machina, Annientamento, Men), i dettagli sul perché e sul come l’America sia sprofondata nel caos violento sono irrilevanti. Il regista inglese vuole infatti calarci nel bel mezzo di quel disordine impetuoso, facendoci vedere ambienti familiari – normali isolati costellati da normali negozi come farmacie e boutique di abbigliamento – trasformati in campi di battaglia, con cecchini sui tetti e milizie locali che fanno rispettare le loro sadiche versioni della legge.
Una cosa che la sceneggiatura di Alex Garland, a volte frustrantemente opaca, si sforza di chiarire è che le spaccature ideologiche in questa versione alternativa degli Stati Unite si verificano lungo linee di faglia diverse da quelle rimaste dai tempi della vera guerra civile del Paese.
La principale minaccia a quella che chiameremo ‘amministrazione Offerman’ è il gruppo secessionista delle Forze Occidentali, un’alleanza tra Texas e California che è volutamente impossibile estrapolare dall’attuale divisione tra Stati rossi e Stati blu.
C’è anche una sorta di movimento ribelle separato con sede in Florida, ma soprattutto c’è una violenza di strada incontrollata e un disordine sociale generale. Un primo scambio di dialoghi suggerisce che la guerra è in corso da circa 14 mesi, il che sembra un tempo troppo breve perché il Paese sia caduto nell’avanzato stato di distopia in cui ci troviamo: autostrade intasate di auto abbandonate, la maggior parte della popolazione che vive in clandestinità, Internet quasi del tutto inutilizzabile tranne che in pochi centri urbani.
Ma, ancora una volta, il punto non è tanto la plausibilità quanto la visceralità. Alex Garland ha iniziato scrivendo un film di zombie, 28 giorni dopo di Danny Boyle, e ha anche co-scritto un videogioco d’azione pluripremiato. Civil War, il film più costoso prodotto dalla A24 fino ad oggi (75 milioni di dollari), a volte suona proprio come un mashup di questi due generi, con lo spettatore nel ruolo di un giocatore in prima persona e i cittadini americani armati come non morti.
All’inizio del film, Lee Smith (Kirsten Dunst), una fotografa di guerra veterana, si trova a New York, rintanata in un hotel che funge da centro di comando improvvisato per la stampa.
Sapendo che le forze occidentali sono sul punto di conquistare la capitale, Lee e il suo partner professionale di lunga data, un reporter di nome Joel (Wagner Moura), stanno pianificando un pericoloso viaggio in auto a Washington, nell’improbabile speranza di ottenere un’intervista con il presidente in crisi. Il mentore di Lee, Sammy (Stephen McKinley Henderson), li avverte che il piano è pura follia e chiede se, nonostante l’età e la mobilità limitata, può comunque partecipare all’azione.
Mentre si preparano a partire, si unisce a loro, nonostante le proteste di Lee, Jessie (la Cailee Spaeny di Priscilla), un’aspirante fotoreporter poco più che ventenne che idolatra il lavoro di Lee ma non ha alcuna esperienza in zone di guerra. Portare con sé la clandestina che Lee denigra come una “bambina dell’asilo” non farà altro, sostiene, che metterli tutti ancora più in pericolo.
Questi dubbi si rivelano giustificati: la presenza di Jessie, un’energica ragazza con un’inclinazione a correre inutili rischi, rende il viaggio verso Washington ancora più imprevedibile, costringendo Lee a confrontarsi con quanto lei sia diventata esausta dopo anni di compartimentazione dei suoi ricordi più dolorosi.
Durante il viaggio verso la capitale, il quartetto multigenerazionale si imbatte in alcuni vigilanti di una stazione di servizio, in una sparatoria in un parco di divertimenti abbandonato a tema natalizio e in un incontro sconvolgente con un militante razzista interpretato dal marito della Dunst nella vita reale, Jesse Plemons.
Al di là dei precedenti più o meno affini come La seconda guerra civile americana di Joe Dante (1997) e Bushwick del 2017 (la recensione), nella sua visione del giornalismo come forma di ‘avventura amorale’, Civil War si inserisce in una lunga tradizione di film hollywoodiani su corrispondenti di guerra incalliti in luoghi lontani, comeA Private War (2018) e Un anno vissuto pericolosamente(1982). Ma il fatto che la carneficina che questi reporter stanno documentando sia di origine interna cambia notevolmente l’inflessione generale della narrazione.
Improvvisamente è impossibile esoticizzare o comunque estraniarsi dallo spargimento di sangue sullo schermo, il che ci porta a chiederci perché mai avessimo esoticizzato situazioni simili in altre occasioni. Questo effetto di immediatezza morale è il più grande punto di forza di Civil War, e il motivo per cui appare come un’opera soprattutto importante in questo momento storico più che del tutto coerente o anche solo costantemente perspicace.
L’idea di Alex Garland di gettarci in medias res durante una guerra civile in corso è una mossa audace, e il suo istinto cinematografico – il suo senso di dove posizionare la macchina da presa e quanto a lungo far durare un momento di suspense – è spesso acuto.
Le orribili realtà che ci fa vedere – i combattimenti intra-civili, le torture fisiche e psicologiche, le profondità quotidiane della depravazione umana – sono evocate con sufficiente forza che Civil War rimane emotivamente e fisicamente coinvolgente anche se le idee che cerca di esplorare rimangono per lo più confuse.
È una critica al giornalismo contemporaneo o un omaggio al coraggio dei reporter in prima linea? Se è destinato a rimanere sospeso da qualche parte nel mezzo, come si posiziona il regista su questa linea e come dovremmo sentirci noi, il pubblico, di fronte alle scelte talvolta dubbie dei protagonisti?
Anche mentre documentano battaglie di strada ed esecuzioni a bruciapelo, i ‘drogati di adrenalina’ Jessie e Joel si scambiano di tanto in tanto sorrisi diabolici. Nel frattempo, Lee è quasi del tutto incapace di intrattenere normali relazioni umane a causa del suo PTSD non riconosciuto.
Una sequenza li vede ufficiosamente inseriti in uno squadrone della morte particolarmente spietato; sembrerebbe importante stabilire se questo allineamento è inteso a significare la loro definitiva ‘corruzione giornalistica’ o un ‘compromesso’ necessario per la sopravvivenza del Quarto Potere.
Anche a livello di logica della trama, Civil War pone una domanda a cui la sceneggiatura, curiosamente scarna, non risponde mai: se Internet e la maggior parte delle infrastrutture industriali della nazione sono in rovina, come fa la gente comune a leggere gli articoli di Joel e a guardare le foto che la stessa Lee fatica per ore a caricare?
Se è invece inteso in parte come una satira dell’opportunismo giornalistico, Civil War dovrebbe essere più specifico sulle condizioni dei media del ventunesimo secolo in tempo di guerra, soprattutto se si considera che esce in un momento in cui i reporter in prima linea affrontano più pericoli fisici che in qualsiasi altro momento a memoria recente.
Tutto ciò che apprendiamo del background di Lee è che, come Jessie, proviene da una cittadina agricola dell’interno degli Stati Uniti, con genitori che negano ostinatamente lo sgretolamento della repubblica. Ma poiché Kirsten Dunst è un’artista straordinaria, rende questo personaggio un po’ dimesso, che invece sulla carta avrebbe potuto essere uno stoico stereotipo di ‘duro’, una presenza complessa e indelebile.
Inoltre, forse per la prima volta, l’attrice perde la qualità femminile che aveva portato in precedenza nei suoi personaggi di mezza età: Lee Smith è una donna semplice e accigliata, con un’aria cupa e persino abrasiva. È una persona la cui prospettiva di vita si è ridotta alle dimensioni dell’obiettivo di una macchina fotografica, ma è anche una giornalista impegnata e una collega ferocemente leale.
Per quanto riguarda gli altri tre protagonisti, Wagner Moura, Stephen McKinley Henderson e Cailee Spaeny offrono interpretazioni raffinate che conferiscono ai loro personaggi una profondità che va al di là di quella fornita dalla sceneggiatura, ma è la Dunst che, con il suo sguardo profondo e il suo profondo dolore, rimane impressa.
“Che tipo di americani siete?“, chiede pl personaggio di Plemons in tuta mimetica e occhiali da sole dalle lenti rosa ai giornalisti uno per uno mentre li terrorizza sotto la minaccia di un mitra nella sequenza più spaventosa e riuscita del film (non a caso, è anche il momento che suggerisce con più forza che il conflitto vagamente definito in questa America fittizia abbia a che fare con la razza …).
Questa potrebbe essere la singola frase più intelligente della sceneggiatura, in quanto rinuncia alla qualità metaforica della distopia politica immaginata da Civil Ware e ci presenta la vera domanda che molti americani si stanno ponendo tra loro – e con se stessi – in questo momento, a volte in modo auto-riflessivo, a volte in modo conflittuale o apertamente minaccioso.
Come chiarisce lo svolgimento dell’incontro con Plemons, non appena viene posta con un’arma in mano, diventa una domanda trabocchetto, posta non per avviare una conversazione ma per tendere una trappola.
E Civil War lascia spesso il pubblico intrappolato in un incubo a occhi aperti fin troppo realistico, ma quando finalmente molla la presa, fortunatamente prima delle due ore, ci spinge a discutere una volta usciti dal cinema.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Civil War, nei nostri cinema il 18 aprile:
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