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Titolo originale: Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni sessanta , uscita: 05-09-2019. Regista: Steve Della Casa.

Diario da Venezia 76 | Giorno 9, ovvero la recensione di Boia, maschere e segreti di Steve Della Casa

06/09/2019 recensione film di Giovanni Mottola

Parliamo del documentario dedicato al cinema horror italiano degli anni Sessanta, ma riserviamo uno spazietto anche all'anteprima di ZeroZeroZero, la serie crime diretta da Stefano Sollima che adatta il romanzo di Roberto Saviano

L’approfondimento sul cinema di genere alla Mostra del Cinema di Venezia 2019 ha avuto una coda grazie al documentario Boia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni Sessanta, realizzato dal critico Steve Della Casa. A differenza delle altre opere viste in questi ultimi giorni, la presente sceglie di dare uno spazio molto maggiore ad estratti significativi dalle opere inerenti al tema, limitando le spiegazioni e i commenti. Il genere trasse la propria origine dal successo ottenuto in Gran Bretagna dai film gotici di Terence Fisher, prodotti a basso costo e destinati al mercato internazionale. Il primo film italiano del genere fu I vampiri di Riccardo Freda, del 1957. Si rivelò un disastro dal punto di vista commerciale e lo stesso regista ricorda che gli spettatori, vedendo il suo nome associato a un film horror, si guardavano bene dal recarsi in sala perché non consideravano credibile che un italiano si cimentasse nel genere. Il nostro Paese era caratterizzato da un elemento che al tempo stesso lo rendeva il meno e il più adatto alla realizzazione di film horror: il cattolicesimo. Del concetto fornì mirabile sintesi Honorè de Balzac ne L’elisir di lunga vita: “Questa adorata Italia, dove la religione è perversione e la perversione è religione”. Da un lato, proprio la castità ufficiale dei costumi spingeva a sentirsi attratti dalla trasgressione; dall’altro, la presenza della Chiesa rendeva il genere osteggiato e inevitabilmente di nicchia, a causa delle esplicitazioni di perversioni come il sadomasochismo o l’omosessualità maschile e femminile, per arrivare fino alla necrofilia.

Boia maschere e segreti di Steve Della Casa posterSi ricorreva quindi a un trucco, realizzando i film in una doppia versione: castigata per il mercato interno e più spinta per quello straniero. Riccardo Freda sarebbe stato presto rivalutato – nel documentario si vede Bertrand Tavernier dichiarare la propria ammirazione per lui – e al suo fianco, anche in senso lavorativo dal momento che da lui imparò i trucchi del mestiere, si affermò Mario Bava, il cui primo film da regista, La maschera del demonio del 1960, fu anche il primo horror italiano a ottenere successo. Da quel momento iniziò ufficialmente questo filone, d’imitazione perché ripreso dalla tradizione inglese ma al tempo stesso reso originale dalla maestria tecnica di questi nostri autori. La penuria di fondi aguzzò il loro ingegno, fino a renderli eccezionali nella creazione di effetti speciali attraverso strumenti da poche lire: ghiaccio secco per dare l’idea del fumo o giochi di luci attraverso l’uso di specchi. Anche il grandissimo Carlo Rambaldi, tre volte premio Oscar per gli effetti di King Kong, Alien ed E.T., si fece le ossa su questi set costruendo mostri e ragni giganti in modo estremamente artigianale. Sempre nell’ottica del risparmio, si girava in castelli o in case private adattate alla bisogna nella zona di Roma, per evitare di pagare indennità di trasferta agli attori.

Ben presto la forza di questi lavori minori e il valore dei loro autori furono sdoganati anche presso i colleghi. Un regista come Camillo Mastrocinque, fino a quel momento dedito a commedie (tra cui alcune delle migliori di Totò come Totò, Peppino e la malafemmena o La banda degli onesti), dopo un primo omaggio al genere nel film I motorizzati girò due horror: La cripta e l’incubo (1964) e Un angelo per satana (1966). Quando Pupi Avati dovette realizzare il finale di Bordella, dove un uomo completamente fasciato di garze doveva levarsi le bende dal viso e far vedere che sotto non vi era la testa, nessuno riusciva a creare questo effetto. Così chiese aiuto a Mario Bava che glielo realizzò in un’ora. Ormai il genere aveva preso piede: negli anni Sessanta in Italia si girarono circa quaranta film horror. Bava riuscì ad avere sul set de I tre volti della paura persino il grande Boris Karloff, il che diede alle produzioni italiane un definitivo bollino di qualità. Pur essendo inglese, l’icona italiana del genere divenne Barbara Steele, grazie a un volto affascinante e inquietante al tempo stesso; ma anche altri attori, come per esempio Walter Brandi, si specializzarono in film horror. Dalla metà degli anni Sessanta, quando ormai il pubblico era “maturo” per il genere, l’horror cominciò gradualmente a passare da cinema in costume a cinema contemporaneo. Vi furono esempi di sperimentazioni ibride, come E Dio disse a Caino di Antonio Margheriti, dove gli elementi di horror e fantastico si fondono con quelli western. Si cominciò ad inserire l’ironia e l’elemento parodistico negli sviluppi delle trame. E si fece ricorso persino a fenomeni artistici come la Pop Art presente in La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi.

zerozerozero serie tv sollimaBoia, maschere e segreti: l’horror italiano degli anni Sessanta non può che terminare con una dichiarazione di colui che di questo cinema è indubbiamente figlio, cioè Dario Argento, il quale esprime la sua grande ammirazione per Bava e afferma di essere stato influenzato dallo stile del suo Sei donne per l’assassino al momento di realizzare L’uccello dalle piume di cristallo. Il bel lavoro di Steve Della Casa si chiude così, nonostante per ammissione dello stesso autore si sarebbe potuto andare avanti per molte altre ore.

Di fronte a quanto riuscissero a fare con due lire Mario Bava e Riccardo Freda, viene la tentazione di considerare uno spreco di risorse i capitali utilizzati da Cattleya per produrre la serie di Stefano Sollima (SuburraZeroZeroZero tratta dall’omonimo libro di Roberto Saviano, che verrà trasmessa prossimamente da Sky, Canal+ e Amazon. Il produttore Riccardo Tozzi ha dichiarato che è costata “più di moltissimo” e non stentiamo a crederlo: gli 8 episodi di cui si compone sono state girate in tre continenti (Europa, America e Africa) e in sei lingue (inglese, spagnolo, italiano, francese, wolof e arabo) e hanno richiesto un anno di riprese. Alla Mostra del Cinema di Venezia sono state presentate in anteprima le prime due e, pur non potendo dare un giudizio completo su una visione parziale, bisogna da subito dire che il prodotto non delude, anche se resta qualche perplessità sull’utilizzo di un tale dispiegamento di mezzi per spiegare al pubblico che nel mondo gira la cocaina e chi la smercia è sempre più potente. Per quanto ben fatta, questa serie rischia di finire confusa con le tante che ormai trattano il tema. Per il bravissimo regista Stefano Sollima, comunque, ci auguriamo che le cose vadano per il meglio. Un po’ meno per Roberto Saviano, perché nel vedere due ali di folla che, alla stregua di quel che si fa con i divi dello spettacolo, l’hanno acclamato una prima volta al termine della sua passerella sul tappeto rosso e una seconda al suo ingresso in sala, il pensiero è inevitabilmente corso alla lucidità del siciliano Leonardo Sciascia quando coniò il termine di “professionisti dell’antimafia”.

Di seguito il trailer di Boia, maschere e segreti e più sotto il teaser trailer internazionale di ZeroZeroZero: