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Voto: 7/10 Titolo originale: Dogman , uscita: 17-05-2018. Regista: Matteo Garrone.

Dogman (2018): la recensione del film di Matteo Garrone sul ‘delitto del Canaro della Magliana’

11/01/2020 recensione film di Giovanni Mottola

Il regista porta al cinema la sua personalissima riflessione sulla vita filtrata attraverso la rielaborazione del terribile fatto di cronaca, aiutato da un Marcello Fonte in stato di grazia

Cominciamo da un doveroso excursus storico per contestualizzare Dogman, il film con cui Matteo Garrone è tornato alla regia a tre anni da Il Racconto dei Racconti – Tale of Tale e che è stato presentato in Concorso al Festival di Cannes 2018. La premessa è un semi-dimenticato efferato fattaccio di cronaca nera che nel lontano 1988 coinvolse l’apparentemente mite e timorato Pietro De Negri, detto ‘er Canaro’ per via del suo lavoro come toelettatore di cani nella zona della Magliana, a Roma, e Giancarlo Ricci, ex pugile 27enne dedito all’abuso di cocaina, noto e ‘rispettato’ tra gli abitanti e i negozianti della zona per l’indole violenta e imprevedibile.

Per farla breve, dopo anni di soprusi e angherie subite, e dopo essersi fatto quasi un anno di prigione al posto suo per non aver fatto ‘l’infame’ dopo un furto di cui avrebbe dovuto ricevere metà del bottino, De Negri – continuando come se nulla fosse successo a restare cornuto e mazziato – un bel giorno scoppiò, attirando con una scusa Ricci nel suo negozio e seviziandolo brutalmente per molte ore prima di concedergli infine la morte. Da lì il processo – con molti punti rimasti oscuri circa la ricostruzione dei fatti – che portò alla condanna del ‘Canaro’ a 24 anni di galera (è tornato in libertà nel 2005).

Un’altra premessa molto importante è che Matteo Garrone ha fin da subito tenuto a precisare che Dogman – film su cui ha iniziato a lavorare ben 12 anni fa – è ‘ispirato liberamente‘ al delitto del Canaro, e che ‘non vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti‘. Nella sua pellicola infatti, non soltanto i nomi dei protagonisti sono stati cambiati (Pietro diventa Marcello, aka Marcello Fonte, e Giancarlo diventa Simone, aka Edoardo Pesce), ma anche l’ambientazione viene spostata sul litorale e ai giorni nostri, anche se i dettagli che lo rivelano sono ben pochi.

In ogni caso, la storia è grossomodo invece la stessa, con Marcello, uomo gracile e benvoluto che passa le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani e le immersioni con la figlioletta Sofia (Alida Baldari Calabria), e la cui vita è tenuta in scacco da Simoncino, ex pugile che terrorizza l’intero quartiere a suon di pugni e testate.

Marcello non riesce mai a dire di no all’imponente e pericoloso ‘amico’, aiutandolo nei suoi furtarelli – senza guadagnarci nulla – e regalandogli dosi di cocaina che mai gli vengono ripagate. Un giorno, Simone gli propone una rapina nel Compro Oro che sta accanto al suo negozio per cani. Marcello accetta, spaventato, ma quando la polizia viene a fargli domande, lui si rifiuta di fare il nome dell’altro, e così finisce al gabbio. Uscito, va subito da Simone a chiedere la fetta promessa di malloppo, ma questi si rifiuta di dargli alcunchè. Bollato come ‘infame’ dagli ex-amici del quartiere e umiliato, Marcello decide allora che è giunto il tempo di riguadagnare, a qualsiasi costo, la propria dignità.

In Dogman si ritrovano elementi già visti sia in L’Imbalsamatore che in Gomorra, come la brutalità, un ambiente sudicio – costantemente bagnato da una pioggia ben poco salvifica e fotografato splendidamente da Nicolai Brüel – e la mancanza di una netta demarcazione tra “buoni” e “cattivi”, anzi, volendo fare voli nemmeno troppo pindarici, ci si può pure vedere qualcosa di opere come La Strada di Federico Fellini o Accattone e Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini. Se Simone è autodistruttivo e senza speranza, egoista, pieno di sé e reso instabile dalla droga, Matteo Garrone, con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ha scritto un eccellente personaggio multidimensionale con Marcello. All’inizio è un papà gentile e ingenuo – un incrocio tra Herbert Ballerina (Luigi Luciano) e i personaggi di Giovanni Esposito -, che tenta di vivere una vita pacifica e felice con la figlia Sofia e i cani, salvo poi concentrarsi sulla ricerca di rispetto e sulla redenzione.

I motivi di questo smisurato rispetto del secondo nei confronti del primo, al di là della paura di prendere le botte, sono molto vicini solo a quelli che potrebbe avere un fratello o un innamorato (la pista dell’omosessualità latente di Marcello è tutt’altro che da scartare), ma la sceneggiatura – così come nella realtà dei fatti – non si preoccupa di dare alcune spiegazione in merito, nel bene o nel male. Lo sfaccettato ritratto che il relativamente inesperto Fonte fa di Marcello è un vero e proprio tour de force emotivo.

La sua è una rappresentazione spiacevolmente accurata e dolorosa delle ripercussioni derivanti dalle decisioni che si scelgono di prendere – e con le quali bisogna poi continuare a convivere – e delle scelte di vita che ci hanno trasformato in chi siamo ora. Se nel primo atto il legame con la piccola Sofia appare infatti fortissimo, Marcello non sembra pensarci due volte ad ‘abbandonarla’ quando si tratta di scegliere tra lei e il carcere.

Marcello attraversa tutto un spettro di emozioni nelle quasi due ore di film, dalla pura compassione, alla disperazione, fino alla rassegnazione e alla follia, e la prospettiva impietosa che ne deriva aiuta a catturare l’ ‘evoluzione’ del personaggio, che arriva al cuore stesso della condizione umana.

Mentre la parabola del protagonista arriva al capolinea, tornano alla mente le scene di altruismo e bontà elargite soprattutto verso i ‘suoi’ cani. Sia chiaro, Marcello non è uno stinco di santo, sicuramente ha alle spalle dei trascorsi da piccolo delinquente, ma tutto sommato fa quello che può per campare in un ambiente che non sembra offrire altri sbocchi e possibilità per nessuno di quelli che nascono da quelle parti, cercando di non fare male a nessuno. Ma è la forza di volontà ad essere troppo debole. E’ un pavido Davide nei confronti di Golia / Simone. Purtroppo, è proprio l’ultimo anno a rivelarsi il più debole e meno convincente in Dogman.

Se era naturalmente impensabile che Garrone decidesse di indugiare sulle minuziose e sadiche torture inflitte alla vittima dal ‘Canaro’ – che mai viene appellato come tale nel film -, era lecito almeno aspettarsi che la scintilla che facesse alla fine scattare Marcello fosse un po’ meglio motivata.

Invece il regista romano non soltanto risolve la questione regolamento di conti piuttosto sbrigativamente, rendendolo peraltro quasi ‘casuale’ e forzato, senza tuttavia far capire allo spettatore perché Marcello abbia deciso di agire proprio in quel momento e non prima (considerate le innumerevoli angherie subite). E dire che nelle cronache di spunti se ne sarebbero trovati (oppure Garrone e gli altri avrebbero potuto prendere spunto da John Wick …). Così resta invece una soluzione insoddisfacente sia per chi cercava lo splatter (per quello bisognerà aspettare l’imminente Rabbia furiosa – Er Canaro di Sergio Stivaletti) che per quelli che avrebbero voluto un elemento scatenante maggiormente specifico.

A parte questo, Matteo Garrone dimostra senza dubbio di meritarsi il podio tra gli esponenti di spicco del cinema italiano contemporaneo e di essere tra quelli più capaci di raccontare piccole storie dalle grandi tematiche senza paura di dover per forza ricorrere a eccessive edulcorazioni o inficianti lieti fini, anzi.

Di seguito il breve trailer di Dogman: