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Dossier: Il Ritorno dei Morti Viventi 2, 3, 4 e 5, la saga continua (non troppo bene)

24/06/2021 recensione film di Francesco Chello

Ripercorriamo il franchise inaugurato nel 1985 dal film cult di Dan O’Bannon, cui han fatto seguito quattro capitoli non esattamente all’altezza del capostipite

il ritorno dei morti viventi 3 Melinda Clarke film

Considerato il riscontro positivo di Il Ritorno dei Morti Viventi (la prima parte del dossier), un sequel era tutto sommato preventivabile. Anzi, considerato il periodo orrorificamente fertile, forse è pure strano ci siano voluti tre anni.

Il progetto viene proposto a Dan O’Bannon, che rifiuta ritenendo di non avere nulla di nuovo da raccontare. Peccato aggiungo io, non sarebbe stato male un seguito sulla falsariga del predecessore la cui traccia invece non viene seguita a puntino da Ken Wiederhorn, scelto per scrivere e dirigere Il Ritorno del Morti Viventi 2 – che gli permette di tornare sul tema degli zombie undici anni dopo L’Occhio nel Triangolo (Shock Waves); Wiederhorn in realtà avrebbe voluto distaccarsi da un genere come l’horror che paradossalmente dichiarerà di non amare particolarmente, ma aveva uno script già pronto sul tema dei morti viventi (quindi non pensato per il franchise) che arriva a Tom Fox, il quale si propone di finanziarlo a patto di trasformarlo nel sequel di Return of the Living Dead.

Parlando del film originale avevo usato il termine ‘equilibrio’ riferendomi al mix di elementi presenti al suo interno. Equilibrio che in questo sequel viene a mancare, provocandone parte dei demeriti. La vena umoristica diventa marcata, il tono ulteriormente leggero, c’è una ricerca più frequente della gag che a tratti rende il film quasi parodistico. Gag affidate anche agli stessi non morti come la testa parlante, la mano che fa il dito medio o lo zombie che crede che il presidente sia ancora Harry Truman, oltre a qualche caduta nel demenziale come la ragazza che decide di farsi mangiare il cervello dal fidanzato.

il ritorno dei morti viventi 2 filmCosì come la scelta di arruolare nuovamente James Karen e Thom Mathews (che ‘stranamente’ nelle interviste parlano sempre e solo del primo film …), affidandogli però due personaggi nuovi, differenti (spiazzando lo spettatore meno attento), che allo stesso tempo vivono dinamiche simili ai precedenti (scherzando sui déjà vu e infilando autocitazioni diretta come “Watch your tongue if you like this job” o il discorso sulla cremazione), ma con un atteggiamento maggiormente buffo. Quasi inutile dire, quindi, che il risultato non è nemmeno paragonabile a quello del capostipite del 1985.

Tutto da buttare, allora? Non direi, anzi a dirla tutta ed al netto dei suoi difetti, Il Ritorno dei Morti Vivent 2 i è quello che preferisco tra i quattro seguiti. Se è vero che sbaglia la miscela, è altrettanto vero che tenta quanto meno di mantenere lo spirito del predecessore, così come l’aria del periodo con annessa impostazione da avventura per ragazzi lo rendono briosamente scorrevole. Inoltre, ha dalla sua un comparto effettistico di buon livello, e la sensazione è che il confermato Kenny Myers abbia voluto dimostrare di potersi migliorare giovando anche di un budget superiore e di tempi di programmazione meno stressanti.

Il risultato è riscontrabile in una serie di piacevoli trovate, dal make-up putrefatto evidentemente curato di buona parte degli zombie (specie se consapevolmente inquadrati in primo piano) a simpatici momenti splatter con efficaci effetti prostetici (la scena della resurrezione è certamente inferiore, ma funziona ancora). Il numero di morti viventi è generoso, le scene di massa ben gestite, c’è giusto un po’ di confusione sui movimenti visto che in alcuni momenti corrono, in altri claudicano.

C’è pure un cameo di Allan Trautman nelle viscide vesti di un nuovo Tarman, mentre Brian Peck torna per interpretare alcuni zombie – su tutti il Michael Jackson di Thriller. L’incipit dell’incidente è lo stesso, la storia si ricollega alla triossina ed i fusti (con cadavere) del 1968, piccolo aggancio di stampo militare che permette a Jonathan Terry di vestire ancora l’uniforme del Colonnello Glover.

Il Ritorno dei Morti Viventi 2 costa di più del predecessore ma incassa meno, esce negli States nel gennaio del 1988 racimolando 9 milioni di dollari a fronte di un budget di 6 (di cui 50 mila dollari spesi per la realizzazione a mano, frame by frame, delle scariche elettriche blu presenti nella sequenza finale). Il DVD italiano targato Warner è fuori catalogo e di reperibilità non semplicissima, ne esiste una variante con cover con errore (c’è scritto ‘Venti’ anziché ‘Viventi’) che per alcuni collezionisti matti ha assunto ancora più valore. La mia copia (presa al tempo) ha la cover giusta ma la serigrafia del disco sbagliata, non so questo ibrido come si collochi in ambito collezionistico ma tanto non ho intenzione di venderla. A meno che non vogliate offrirmi un Tarman domestico chiuso in bidone pieno di triossina.

Ilritornodeimortiviventi3.jpgDopo il secondo episodio, il clima intorno alla saga si è raffreddato. Tom Fox però non demorde e si accorda con la Trimark per un film a budget ancora più basso (circa 2 milioni). Per la regia de Il Ritorno dei Morti Viventi 3, la Trimark sceglie Brian Yuzna, che da un po’ di tempo ambiva a dirigere un nuovo capitolo della serie. Anche se poi dichiarerà di aver avuto in mente titoli alternativi per il film, come ‘Kurt & Julie’ o ‘Mortal Zombie’. Questo potrebbe spiegare il perché di un’impostazione che non c’entra nulla con i primi due, quasi come se nelle intenzioni iniziali ci fosse l’idea di un progetto slegato dal franchise.

Ed è questa la differenza eclatante che balza subito all’occhio, a prescindere da quale possa essere il giudizio dello spettatore.

La Trimark non pone particolari paletti a Brian Yuzna sulla continuità di tono o di cast, chiede giusto qualche accenno che funga da gancio, e così il regista sceglie di trasformare una saga che si era contraddistinta per tono leggero ed ironia, in una seriosissima storia d’amore e morte, un racconto di sofferenza che trova uno sfogo da body horror con una metamorfosi fisica (e metallica) degna delle Tortured Souls di Clive Barker.

La connotazione tragico/romantica farebbe pensare a reminiscenze di Re-Animator, non a caso Brian Yuzna dirà di aver concesso quanto più spazio possibile al personaggio di Julie dopo essere rimasto insoddisfatto dallo screentime insufficiente del mostro femminile presente nel suo Bride of Re-Animator del 1989. Un’inversione troppo netta, non si tratta solo della visione personale del regista che è giusto dia la sua impronta, quanto di un distacco eccessivo nei confronti delle regole non scritte della saga.

La storia, invece, ha un flebile collegamento nella solita triossina, ci viene mostrato come i militari la utilizzino per resuscitare i morti, tentando anche di dare una spiegazione più ‘scientifica’ alla loro necessità di cibarsi di cervelli umani (hanno bisogno dell’elettricità presente nei neuroni). James Karen e Dan Calfa rifiutano un ruolo, mentre Brian Peck accetta un cameo nei panni di un agente governativo, risultando l’unico attore presente nei primi tre film. Cameo anche per Anthony Hickox (regista di titoli come Waxwork ed Hellraiser III), che interpreta uno degli scienziati uccisi durante il test iniziale.

In generale, comunque, siamo al cospetto di un film complessivamente imperfetto ma con qualche freccia al suo arco. La love story problematica tende a ripetersi portando con sé qualche passaggio a vuoto, specie nella fase centrale che è quella più debole di Il Ritorno dei Morti Viventi 3. Che, se ci pensate, è un po’ il limite di Society – il film più rappresentativo di Brian Yuzna – che arranca per tre quarti di visione tra confusione, noia e fastidio per poi esplodere in un finale fortissimo (che immagino di non dovervi raccontare) che vale l’intera visione.

La confezione ricorda quella di una serie tv di inizio anni ’90, specie nella fotografia e nella scelta delle scenografie di un prodotto che viene girato per la maggior parte in interni – mentre la prima bozza di sceneggiatura prevedeva lo svolgimento dell’atto conclusivo in un cimitero, opzione poi scartata per contenere i costi. Il punto di forza di Il Ritorno dei Morti Viventi 3 è lo splatter, trucco ed effetti si fanno apprezzare, a partire dal look tormentato di Julie (più di 100 pezzi e circa 8 ore di sessione necessarie per l’applicazione) per arrivare alle violenza/mattanza di una parte finale che finisce per essere la quota migliore di tutto il girato. Effetti speciali realizzati da ben cinque compagnie, in modo da accorciare i tempi di realizzazione così come le riprese vengono affidate a due crew differenti in modo da poter essere completate in soli 24 giorni.

Return of the Living Dead Necropolis film horrorLa Trimark prevedeva inizialmente un’uscita cinematografica, ma dopo il flop al botteghino di Warlock: The Armageddon decise di optare per una limited release in alcune sale per poi puntare quasi tutto sul DTV (in versione uncut rispetto a quella cinematografica).

A suo modo vedibile, negli anni ha conquistato un seguito di nicchia (perlopiù di fan durissimi di Brian Yuzna) di cui non mi sento di fare parte. Uscito in DVD italiano per Eagle Pictures, anche in questo caso fuori catalogo e di difficile reperibilità.

Nonostante Brian Yuzna mostri l’intenzione di realizzare un quarto capitolo (con gli zombie che scappano dalla base militare diffondendo l’epidemia), i risultati de Il Ritorno dei Morti Viventi 3 finiscono per mettere la saga in standby per il lasso di tempo più lungo (inteso tra un capitolo e l’altro) registrato fino a d allora. La carriera da produttore di Tom Fox non è mai realmente decollata, solo tre film prodotti al di fuori della saga zombesca, con una pausa di addirittura undici anni tra il capitolo diretto da Brian Yuzna nel 1993 e Madhouse del 2004, anno della scomparsa di Fox, in cui fa giusto in tempo a mettere le basi al ritorno dei suoi amati morti viventi che si concretizzerà l’anno successivo.

E chissà cosa avrebbe pensato se avesse avuto la sfortuna di vedere un dittico che arriva sullo schermo e che fondamentalmente si rivela un insulto al franchise. Sto parlando di Return of the Living Dead: Necropolis e Return of the Living Dead: Rave to the Grave, rispettivamente quarto e quinto capitolo, girati back to back dallo stesso team produttivo nell’estate del 2004 ed usciti entrambi nel 2005. Tipiche produzioni a basso costo degli anni 2000, dagli scarsi valori produttivi, realizzate in paesi come Romania ed Ucraina per usufruire di benefici fiscali, a cui mette mano anche Sci-Fi Channel che poi ne cura la distribuzione televisiva.

Un’accoppiata di titoli che ad un certo punto sembrava destinata alla regia di un Tobe Hooper (ancora lui) in fase calante e ‘alimentare’, poi passata a un irriconoscibile Ellory Elkayem, uno che in passato aveva attirato l’attenzione di Roland Emmerich e Dean Devlin, che avevano deciso di produrgli lo spassoso Arac Attack. Attualmente entrambi inediti in Italia, io ho optato per il DVD tedesco (con audio inglese), una di quelle versioni ‘scrause’ che comprimono due film su un unico disco.

Partendo da Return of the Living Dead: Necropolis il quadro è chiaro fin da subito: pochissimi mezzi, altrettante idee. Personaggi irritanti in situazioni ridicole. Con l’aggravante di essere anche una visione noiosa. In un film del genere se vuoi compensare certi limiti devi almeno puntare sulla presenza degli zombie; i morti viventi purtroppo latitano, per tre quarti del tempo si tratta di apparizioni sporadiche, sono quasi tutti concentrati alla fine in cui, comunque, non ripagano l’attesa. Non si vede nemmeno un morso, per dire. Anche se l’ibrido zombie robot è un delirio che va visto. Fotografato male, insieme alla scarsa qualità video del DVD tedesco la visione diventa tostarella. Unici collegamenti con l’inarrivabile originale sono la consueta triossina e gli zombie che chiedono cervello, oltre a una citazione del “Send more paramedics!”.

Return of the Living Dead 5 Rave to the Grave film horrorNon va molto meglio con Return of the Living Dead: Rave to the Grave. Siamo negli stessi territori del predecessore, al punto che potrei quasi copincollare il commento per risparmiare tempo. D’altronde il back-to-back fa sì che, in sostanza, li si possa considerare come un’unica cosa.

Confermati anche alcuni membri del cast come Peter Coyote (unico nome mediamente noto), Aimee-Lynn Chadwick, Cory Hardrict e John Keefe; sarebbe dovuta tornare anche Jana Kramer, fermata però da un’infiammazione alla cistifellea che porterà all’uccisione del suo personaggio.

Dovendo scegliere tra i due, questo Rave to the Grave si fa leggermente preferire (ma non salvare) per una presenza un po’ più corposa degli zombie (molto più deboli rispetto ai canoni, distribuiti in maniera equilibrata fin dall’inizio). E poi c’è il graditissimo cameo del Tarman, che era presente nei primi due capitoli del franchise. La saga aveva già avuto due sequel non all’altezza del cult formato da Dan O’Bannon ma, come detto, si trattava di due film in qualche modo passabili (per motivi diversi) nonostante imperfezioni sparse; quarto e quinto sono un’offesa alla saga su cui hanno contribuito a mettere una pietra tombale.

Il franchise è fermo da ormai 16 anni, strano che in quest’epoca di frenetici rifacimenti nessuno si sia ancora preso la briga di tentare la via del reboot. Poco male. Se avete voglia di rivedere i morti viventi in azione non vi basta che togliere il bluray del cult di Dan O’Bannon dalla cella frigorifera e inserirlo nel lettore. Il nostro approfondimento sulla serie de Il Ritorno dei Morti Viventi finisce qui (per il momento …), se avete apprezzato significa che avete un cervello succulento, per cui… send more internet users!

Di seguito trovate il trailer internazionale di Il Ritorno dei Morti Viventi 2: