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Titolo originale: The Return of the Living Dead , uscita: 25-04-1985. Budget: $4,000,000. Regista: Dan O'Bannon.

Dossier | Il Ritorno dei Morti Viventi: Dan O’Bannon dissacra (con successo) Romero

14/06/2021 recensione film di Francesco Chello

Nel 1985 arrivava nei cinema un horror imprevedibile, capace di lanciare un sottogenere e generare ben quattro sequel, non esattamente alla sua altezza

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In occasione del recentissimo Army of the Dead di Zack Snyder (la recensione), c’è stato un accenno fugace a Il Ritorno dei Morti Viventi (The Return of the Living Dead). Una menzioncina di striscio, quasi impercettibile. Che a me è sembrata l’occasione (leggi: la scusa) per riguardare il film di Dan O’Bannon del 1985. Già che c’ero, ho fatto partire il rewatch dell’intera saga, in cui quattro sequel non raggiungono manco per sbaglio il livello del capostipite. Ma non è il caso di spoilerarvi subito la fine dell’articolo, per cui mettiamoci comodi e parliamone.

Il Ritorno dei Morti Viventi è un film che ha saputo conquistarsi lo status di cult della sua generazione (e non solo). Uno dei (tanti) titoli a cui, da buon figlio degli anni ’80, sono affezionato. Inevitabile poi l’accostamento ad altri ricordi nostalgici come il Venerdì con Zio Tibia (1989/1990) e Notte Horror (dal 1991 in poi), rassegne estive di film a tema andate in onda su Italia 1 in quel periodo; fu proprio grazie al simpatico Zio Tibia che, il 10 agosto del 1990, avvenne il primo passaggio televisivo nostrano – addirittura in prima serata, alle 20.30. Altri tempi.

Ilritornodeimortiviventi.jpgCult, quindi, ma anche uno dei migliori zombie movie mai realizzati. Un filone, quello dei morti viventi, in cui il top è fin troppo ovviamente rappresentato dalle opere di George A. Romero. Ed il motivo (nonché merito) per cui Il Ritorno dei Morti Viventi finisce in quella lista è proprio per la consapevolezza con cui non tenta di replicare un modello sostanzialmente inimitabile, quanto piuttosto di cercare (e trovare) una riuscita variazione sul tema. A partire da un tono che mi offre l’occasione per una precisazione magari non richiesta: il film viene spesso definito come una horror comedy, categorizzazione che farebbe pensare ad un genere differente, dalle parti di quella che oggi viene definita zombedy.

In realtà non è proprio così, a mio parere. L’impostazione è quella di un horror in piena regola. Per tematiche, atmosfera, argomenti ed avvenimenti. Un setting che viene rinfrescato dall’inserimento, quello sì, di frangenti di ironia e umorismo, da un tono leggero che però non diventa mai comico o demenziale e sa farsi serio nel momento in cui i vari personaggi fronteggiano violenza e morte. Elementi quindi distintivi ma non preponderanti, che non stravolgono quello che di base resta un horror, appunto. Un mix che sa essere fondamentalmente equilibrato e diventa la ricetta azzeccata per la rielaborazione di un sottogenere.

Per un film dal ritmo sostenuto e l’anima punk rock (sia nella composizione delle musiche di sottofondo che nella scelta dei tanti brani presenti nella soundtrack), che abbina elementi esploitativi come tette, sangue e parolacce e indovina il numero giusto di sequenze e battute da ricordare – come, per dine una, il memorabile “send more paramedics” pronunciato da uno zombie in cerca di altri cervelli da sgranocchiare.

Il nome di Geroge A. Romero non è solo il punto di riferimento generico di categoria, il collegamento è proprio diretto. Il Ritorno dei Morti Viventi si può considerare una sorta di seguito spirituale alternativo de La Notte dei Morti Viventi, un sequel apocrifo ma non troppo. Ma visto che mi sto incasinando con le definizioni, faccio prima se ve lo spiego. Night of the Living Dead, pietra miliare del 1968, nasce da un’idea (poi sceneggiatura) di John A. Russo e George A. Romero con quest’ultimo che ne cura anche regia, fotografia, montaggio e musiche. In seguito, i due decidono di dividere le loro strade arrivando all’accordo di poter proseguire individualmente il percorso e realizzare ognuno i propri sequel, col primo che mantiene la possibilità di utilizzare la dicitura ‘Living Dead’, mentre l’altro opterà per la declinazione più semplice ‘of the Dead’.

Accordo che, a dire il vero, passa anche per cause e tribunali, motivo per cui sono rimasto piacevolmente sorpreso dallo scoprire che, nonostante le vicissitudini legali, John A. Russo parla ancora in termini affettuosi dell’illustre collega quando invece mi sarei aspettato parole al veleno (soprattutto in considerazione della differenza abissale di talento e carriera tra i due). Così, mentre George A. Romero sforna, nel 1978, un capolavoro come Zombi (Dawn of the Dead), Russo per il suo sequel opta per la destinazione cartacea, realizzando il romanzo The Return of the Living Dead, che attira l’attenzione dell’aspirante produttore indipendente Tom Fox che ne acquista i diritti per una trasposizione cinematografica.

il ritorno dei morti viventi film 1985 linneaSale a bordo la Hemdale mentre la Orion Pictures si aggiudica la distribuzione, Russo e Fox pensano ad una realizzazione in 3D e si accordano con Tobe Hooper per la regia. E’ nel momento in cui Hooper si trova costretto ad abbandonare il progetto per virare su Space Vampires (Lifeforce), che arriva la vera svolta. La svolta è Dan O’Bannon, che di Space Vampires aveva firmato la sceneggiatura, uno che tre le altre cose aveva scritto una robetta come Alien, a cui viene offerta la possibilità di esordire alla regia (prima di appena due in carriera).

O’Bannon accetta a patto di poter riscrivere (praticamente da capo) la sceneggiatura, con Russo che resta accreditato tra gli autori del soggetto insieme Russell Streiner (già produttore de La Notte dei Morti Viventi, in cui aveva interpretato anche il ruolo di Johnny) – a conferma di quanto fosse ‘stimato’ come autore. Il filmmaker parte da una certezza, la sua intuizione è quella di distaccarsi quanto più possibile dal lavoro incredibile di George A. Romero. Non solo nel tono, di cui abbiamo già parlato. Ma proprio nella mitologia dello zombie, che cambia profondamente.

Si fa riferimento esplicito a La Notte dei Morti Viventi parlandone proprio come di un film ispirato a sua volta ad eventi realmente accaduti, quegli eventi che quindi diventano l’antefatto della versione di Dan O’Bannon, che a questo punto può spaziare nelle modifiche come meglio crede senza dover badare ad un canone che non lo riguarda più. I morti tornano in vita grazie alla triossina 245 (mentre il contagio si propaga con l’inalazione) ovvero un fantomatico gas frutto di esperimenti militari, gli zombie si nutrono prevalentemente di cervelli umani, non basta colpirli alla testa per neutralizzarli ma bisogna distruggerli del tutto, sono semi senzienti (capaci, in alcuni casi, di parlare), non più claudicanti ma abili corridori – in barba alle polemiche recenti, quando poi alcuni di loro avevano iniziato a correre già con Umberto Lenzi nel suo Incubo sulla Città Contaminata del 1980.

Lo stesso look è diverso, non più pallido e con segni di lesioni, ma marcio e putrescente. Merito di William Stout, accreditato come production designer ma in realtà factotum che cura in prima persona il design di creature e scenografie, supervisionandone poi la realizzazione; per i suoi morti viventi, Stout studia le mummie di Guanajuato (Messico) e si ispira ai fumetti della EC Comics (come Tales from the Crypt e Vault of Horror) ed il lavoro di Graham Ingels e Jack Davis, oltre che di Bernie Wrightson della DC.

il ritorno dei morti viventi film 1985In particolare, alcuni zombie di Il Ritorno dei Morti Viventi vengono pensati, ideati e delineati come veri e propri personaggi, a partire dall’iconico Tarman (letteralmente uomo catrame) dal corpo liquefatto, per il quale viene indetto persino un casting vinto dal magrissimo Allan Trautman (attore ma prevalentemente puppeteer, anche sotto la guida di Jim Henson) che trova i giusti movimenti dinoccolati per dare vita alla creatura più riconoscibile del film – di cui consiglio una fighissima (ma un po’ rara) action figure della Amok Time. E ancora, il cadavere giallo della cella frigorifera che non vuole saperne di morire neanche dopo essere stato fatto a pezzi (per i quali vengono utilizzate scimmiette giocattolo per simulare i movimenti e gli spasmi nelle buste nere), senza dimenticare l’half corpse, vale a dire un busto di una donna che funge anche da espediente narrativo per spiegare la necessità dei resuscitati di nutrirsi di cervelli umani (che alleviano la loro sofferenza).

Make-up di vario tipo (con buona predisposizione per il prostetico) e cari effetti speciali tradizionali necessari a portare in scena roba gustosa tipo cervelli divorati o sangue che zampilla come una fontana che vengono gestiti, in seguito ad un avvicendamento, da più persone in momenti differenti: all’inizio viene assunto Bill Munns – è lui ad esempio a realizzare buona parte del Tarman utilizzando una miscela tra Methocel (un addensante utilizzato nei frullati che diventerà uno degli ingredienti anche del Blob del 1988) e resina vinilica fusa su fogli di alluminio poi applicata a strati sul costume dell’attore, viene licenziato dopo tre settimane dopo alcuni risultati insoddisfacenti come lo scheletro che spunta dal terreno (rimasto nel girato) o l’idea poi fortunatamente scartata per portare in scena il cadavere giallo decapitato; al suo posto viene chiamato in tutta fretta Kenny Myers, che col suo team riesce in breve tempo (e pochi mezzi) a realizzare una serie di creazioni all’altezza della situazione.

Il 21enne Tony Gardner, già allievo di Rick Baker, sale a bordo di Il Ritorno dei Morti Viventi dopo aver realizzato una protesi dentaria (per l’attore e amico Brian Peck) che incuriosisce il regista il quale decide di aggregarlo alla squadra come jolly prezioso, sarà proprio Gardner a realizzare il busto della donna animatronic di cui parlavamo in precedenza e altre cosette come lo split dog. La combinazione tempo/budget deve necessariamente incidere anche negativamente su alcuni aspetti, come il make-up un po’ superficiale delle comparse che non vengono inquadrate in primo piano.

il ritorno dei morti viventi film 1985 horrorOrde di zombie per le quali viene reclutato chiunque, anche membri del cast principale o della crew, si lavora in condizioni faticose tra pioggia e fango, con Dan O’Bannon che decide di offrire 5 dollari in più alle comparse disposte a mangiare cervelli veri (animali, ovviamente) che col caldo emanavano un tanfo insopportabile, non prima però di aver provato l’esperienza in prima persona come riscontro etico morale. Non mancano trovate semplici ma efficaci come i ventilatori che fanno muovere le ali delle farfalle risorte, mentre per l’esplosione finale vengono utilizzati modellini in diverse scale. Il lavoro scenografico progettato da Stout è efficacissimo, dal magazzino alle pompe funebri, ma il fiore all’occhiello è il suggestivo cimitero tanto raccolto quanto affollato, che annovera lapidi, mausolei e targhe di vario tipo (il più recuperate alla Universal, altre realizzate per l’occasione) ed ospita la bellissima sequenza della resurrezione sulle note di Partytime dei 45 Grave, tra le migliori mai viste sullo schermo, dall’atmosfera perfetta. Dite quello che volete, ma io non resisto agli zombie che sbucano dal terreno.

Il cast è un mix di esperienza e gioventù, gli attori esperti sono tre: James Karen, scelto da Tobe Hooper e confermato da Dan O’Bannon, il suo Frank infonde ironia ma si prende l’uscita di scena più intensa emotivamente (da lui stesso ideata) con quel bacio alla fede prima delle fiamme; l’eccentrico Dan Calfa è l’impresario delle pompe funebri di origine tedesca (il nome Kaltenbrunner è lo stesso di un gerarca nazista), tuta sportiva e capelli (tinti) biondo platino; il carismatico Clu Gulagher viene assunto a pochi giorni dalle riprese di Il Ritorno dei Morti Viventi per interpretare Burt, dopo che la produzione aveva vagliato i nomi di Robert Webber (che odiò lo script), Scott Brady (al tempo già molto malato) e Leslie Nielsen (che chiese un cachet troppo alto).

Tra i giovani (e semisconosciuti) è Thom Mathews ad avere il ruolo più incisivo, quello di Freddy, la spalla di Frank – i due sono protagonisti di una sottotrama incentrata su una trasformazione progressiva, vivi che diventano morti in contrapposizione ai morti che tornano in vita; al tempo, Mathews era compagno di stanza di George Clooney (che visiterà anche il set), in due anni prende parte ad una doppietta horror niente male – l’anno dopo è infatti Tommy Jarvis, la nemesi di Jason Voorhees in Venerdì 13 parte VI: Jason Vive.

il ritorno dei morti viventi film 1985 zombieBeverly Randolph è l’innocente Tina, scream girl della situazione, racconterà di essere scappata da un provino a casa di Dan O’Bannon dopo aver notato una pistola sul tavolino e un porno trasmesso in tv. Brian Peck conquista la parte di Scuz, a dispetto di un agente che continuava a offrirgli ruoli da nerd, sul set si prodiga in qualsiasi cosa, interpreta anche diversi morti viventi (tra cui il crawling zombie che risale il terreno durante la resurrezione, oltre a fare da doppiatore all’half corpse); l’eccentrico Miguel A. Nunez Jr. cerca di sbarcare il lunario, ottiene l’ingaggio per Spider in un momento della sua vita in cui era praticamente un senzatetto; John Philbin indossa i panni di Chuck, lo sfigato del gruppo, mentre lo sfortunato Mark Venturini (morirà qualche anno dopo di leucemia) è il minaccioso Suicide, leader della gang che sottolinea fieramente il suo stile di vita punk.

Jewel Shepard viene notata da O’Bannon mentre si esibisce in uno strip club, generando il pettegolezzo (smentito dalla stessa attrice) di aver ottenuto la parte andandoci a letto; le viene inizialmente offerto il ruolo di Trash, che l’attrice rifiuta (sarà poi Casey), in quanto stanca di spogliarsi a differenza di Linnea Quigley, un nome conosciuto in ambito horror, che si esibisce in uno spogliarello su una tomba e recita praticamente quasi tutto il film completamente nuda (anche in versione zombie), con una placca vaginale color carne che impediva di vedere l’anatomia delle sue parti intime che era diventata ancora più evidente dopo che la produzione le aveva chiesto di radere i peli pubici.

Dan O’Bannon compensa la mancanza di esperienza in regia con le sue capacità (e la sua visione) da storyteller, che gli permettono di saper costruire una scena madre e più di un frame capace di entrare nell’immaginario collettivo, ha una fissazione quasi maniacale per i dettagli (che a volte lo distolgono da aspetti maggiormente prioritari). La direzione degli attori non è il suo forte, ma la sua fortuna è quella di usufruire di una situazione insolita, specie per un film a basso budget in cui i tempi di lavorazione sono spesso compressi: durante la pre-produzione di Il Ritorno dei Morti Viventi, l’intero cast (ad eccezione di Gulagher) trascorre due settimane insieme in cui prova ripetutamente il copione e, soprattutto, fa gruppo creando feeling e sintonia; questa cosa si ripercuote positivamente sulle riprese, gli attori sono preparati sul da farsi ed affiatati, basti pensare a James Karen che si presentava sul set anche nel suo giorno libero per essere di supporto ai colleghi.

il ritorno dei morti viventi film 1985 horror tony gardnerIl regista, inoltre, è assistito con meticolosità e grande pazienza dal sopracitato William Stout. Parlo di pazienza perché il limite più grande di Dan O’Bannon è di natura comportamentale. Se già di base il suo era un caratterino particolare, nella gestione degli uomini (che sia il cast o la crew) venivano fuori tutte le sue lacune d’atteggiamento sociale; saranno svariati gli scontri, da Clu Gulagher che arriva a lanciargli una lattina di birra, a Beverly Randolph che quasi ci resta secca nella scena dello scalino (che O’Bannon aveva sostituito senza avvertirla per rendere il momento più veritiero), passando per il produttore Tom Fox che gli chiese il favore di far comparire moglie e figli tra le comparse/zombie col regista che, per dispetto, li fece sottoporre a sessioni interminabili di trucco scomodissimo per poi comunicargli che la scena sarebbe stata girata il giorno dopo (insomma, una bastardata gratuita).

Le riprese de Il Ritorno dei Morti Viventi iniziano il 9 luglio 1984 per concludersi il successivo 18 agosto. Esattamente un anno dopo (il 16 agosto 1985) arriva la release in patria dove incassa 14 milioni di dollari a fronte di un budget di 4, per poi incrementare gli introiti tra estero, passaggi televisivi e parecchio home video.

A proposito di home video, qualora non lo abbiate già fatto, è doveroso consigliarvi di recuperare la bellissima edizione Midnight Factory che vi avevamo presentato puntualmente a suo tempo (la recensione del BD nostrano). Nota di biasimo per l’adattamento italiano dell’epoca che cambia il senso a molti dialoghi e, soprattutto, decide inspiegabilmente di rimuovere tutte le battute di Tarman, grave mancanza il famosissimo “Brains!” citato ormai a destra e manca – mi viene in mente l’app game Stupid Zombies, giusto per fare un esempio totalmente a caso.

Continua …

Di seguito trovate il trailer internazionale di Il Ritorno dei Morti Viventi: