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Dossier | L’orrore dentro: guida al cinema di Philip Ridley

25/02/2020 news di Pietro Russo

L'artista inglese, con tre film essenziali (Riflessi sulla pelle, Sinistre ossessioni, Heartless), conduce lo spettatore nelle oscure profondità dell'animo umano, secondo la sua personale visione tra horror psicologico e drama

riflessi sulla pelle

Il nome di Philip Ridley non fa parte sicuramente dell’elenco dei cineasti più in vista. Avendo diretto “solo” tre lungometraggi, usciti in sordina con budget risicati e di scarso successo commerciale, a caldo il suo lavoro si può definire strano ed è difficilmente ascrivibile a un genere. I suoi film sono spesso circoscritti al horror, ma di certo fuori dall’accezione canonica. Poliedrico, psicologico, triste, perfetto mix di orrore, thriller e drama, il cinema di Ridley si è ritagliato uno spazio personalissimo nell’abisso senza fondo dell’underground, che vale la pena di recuperare.

Il suo primo film da regista e autore, Riflessi sulla pelle (The Reflecting Skin), risale al 1990. Segue Sinistre ossessioni / Darkly Noon – Passeggiata nel buio (The Passion of Darkly Noon) del ’95 e infine Heartless, nel 2009. Ma prima di parlare nello specifico di questi film e scoprirne le peculiari caratteristiche è necessario fare una breve introduzione sul lavoro di Philip Ridley. Avendo composto opere in svariati ambiti artistici, più che un cineasta il filmmaker londinese si può considerare un artista a tutto tondo. Esordisce come pittore e fotografo, ma ben presto si dedica a quella che è la sua reale vocazione: la scrittura. Ridley è autore di libri per ragazzi e adulti, canzoni, poesie e soprattutto sceneggiature teatrali, per le quali è forse maggiormente riconosciuto. Si intuisce insomma che il suo interesse per l’Arte, la curiosità e la ricca fantasia ne fanno un uomo che si fatica a classificare entro i confini di un filone o di un genere. Per quanto riguarda il cinema si cimenta in due cortometraggi nel 1987 e nel 1988 e fa il suo debutto vero e proprio come sceneggiatore per il film The Krays, del 1990, sulla vita dei criminali gemelli Ronald e Reginald Kray, per il quale vincerà un premio come miglior esordiente (in tempi più recenti la medesima storia sui due gangster inglesi è stata raccontata nel film Legend, con Tom Hardy nel ruolo dei due protagonisti).

Jeremy Cooper in riflessi sulla pelle (1990)Nello stesso anno Philip Ridley scrive e dirige il suo primo film vero e proprio, in cui dà libero sfogo al suo lato più inquietantemente fantasioso. In Riflessi sulla pelle seguiamo le vicende di Seth, un bambino di otto anni che vive con i genitori in una località agreste negli Stati Uniti degli anni ’50. Accanto a questi vi è una vedova, Dolphin Blue (sì, si chiama così) alla quale Seth e i suoi amici giocano macabri scherzi, e il fratello maggiore di Seth, Cameron, via per servizio militare e che compare solo dalla seconda metà in poi, ma di cui si attende la comparsa in scena. Quando Seth si convince che Dolphin sia un vampiro sarà l’inizio di una serie di eventi sempre più assurdi e dolorosi, mentre un oscuro male, ben più reale, si aggira nella zona. Il tutto si complica ulteriormente al ritorno del fratello, fino a un finale tragico e spiazzante.

Due cose sono subito evidenti nel film: il punto di vista e l’ambientazione. Riflessi sulla pelle è girato secondo la prospettiva di Seth, noi seguiamo il bambino per tutto il tempo, non c’è una scena dove lui sia assente. Testimone di tutto quello che succede, il piccolo protagonista filtra e reinterpreta i fatti secondo la sua visione distorta. Bambino dalla classica “fervida immaginazione”, Seth è ancora incapace di distinguere la realtà dalla fantasia e il bene dal male. La madre estremamente rigida e il padre debole e distante di certo non aiutano. Al suo ritorno, cerca conforto nel fratello, ma ben presto le attenzioni di Cameron si spostano. Seth è solo, uno a uno i suoi amici scompaiono e vengono trovati morti. Lui sa chi è stato, o crede di saperlo, ma per una serie di traumi e fraintendimenti non fa niente e se ci prova, a causa della sua ingenuità, finisce per fare anche peggio. Jeremy Cooper, l’attore che interpreta Seth, fornisce una prova più che convincente ed è un peccato che dopo questo film sia praticamente sparito. Parlando di attori, spicca senza dubbio anche l’interprete di Dolphin, la britannica Lindsay Duncan, più celebre in patria che all’estero, perfetta vedova tormentata. Da ricordare e riscoprire anche un giovane Viggo Mortensen nel ruolo di Cameron.

Il secondo elemento è l’ambientazione: Riflessi sulla pelle non avrebbe lo stesso fascino se non fosse ambientato in mezzo a sterminati campi di grano. Esclusi i pochi sbiaditi interni e i notturni, tutto il film è girato da Philip Ridley in pieno giorno e all’esterno. Il cielo sempre sgombro da nuvole, un sole accecante che si riflette sul mare giallo di spighe mosse dal vento e l’ottima gestione della luce donano al film un’aura allucinatoria e straniante, filtrata sempre secondo l’ottica di Seth, e rende Riflessi sulla pelle un validissimo esempio di daylight horror allo stesso livello di The Wicker Man (la recensione) e simili o del David Lynch migliore. Ritratto poco rassicurante della bigotta e isolata America rurale, sofisticata analisi della psicologia infantile, ribaltamento dell’ideale bucolico e persino critica al nucleare e alla pericolosa ignoranza cui il governo lasciava i propri uomini, Riflessi sulla pelle è questo e molto altro e si impone come un gioiellino dei primi anni ’90, disturbante ed eclettico, ricco di scene che non si dimenticano e decisamente il miglior film di Philip Ridley.

Ashley Judd and Viggo Mortensen in sinistre ossessioniNel 1995 presenta il suo secondo film, The Passion of Darkly Noon, noto in Italia anche come Sinistre ossessioni. Darkly (Brendan Fraser), il cui nome deriva da un passaggio della Bibbia, è un giovane in fuga dopo che la comunità ultracristiana in cui viveva ha subìto un non meglio specificato attacco, nel quale i suoi genitori hanno perso la vita. Sfinito in mezzo ai boschi della Carolina, viene recuperato da un uomo che lo porta nell’isolata casa di un’amica, Callie (Ashley Judd), che si prende cura di lui. Il fidanzato di Callie, Clay (Viggo Mortensen) è un falegname ed è via per alcuni giorni. Darkly è timido e ingenuo e ben presto si infatua della disinvolta Callie, cosa che innesca in lui un conflitto interiore a causa del rigore della sua educazione religiosa. Ovviamente quando Clay farà il suo ritorno, la situazione prenderà una piega ancora peggiore e precipiterà verso la fine.

È facile fare similitudini con il film precedente. Un protagonista solo, dubbioso e in contrasto coi sentimenti, realtà isolate come luoghi in cui il male può fiorire e una natura (in questo caso i boschi temperati) che nasconde quel male e lo circoscrive. Interessante notare come sia in Riflessi sulla pelle sia in Sinistre ossessioni Viggo Mortensen compaia in scena solo dopo il primo atto e la sua presenza sia il catalizzatore della deriva definitiva del protagonista. Tuttavia, Sinistre ossessioni si distacca notevolmente, nel male, dal precedente lavoro di Philip Ridley. Innanzitutto il protagonista non suscita alcuna empatia. Il personaggio non è certo positivo, ma manca anche di qualsiasi forma di carisma che in genere i personaggi negativi possiedono. Inoltre la prova di Fraser non è per nulla all’altezza della complessità che il regista vorrebbe far trasparire (per sua fortuna, Brendan Fraser troverà il suo posto come attore in ruoli più leggeri, per i quali è decisamente più portato), complice anche una sceneggiatura semplicistica e con dialoghi che sfiorano quelli di una soap opera. Alla fine non proviamo alcuna pena per Darkly, quanto piuttosto per la coppia di comprimari, persone “normali” che anzi cercano di aiutarlo.

Non mancano momenti interessanti quali il passaggio di una scarpa gigante lungo un fiume, che poi sarà usata come pira funebre per un cane, e l’apparizione come allucinazione dei genitori di Darkly, che lo istigano alla violenza dai rami di un albero. Da segnalare in un ruolo minore la presenza di Grace Zabriskie, celebre caratterista dallo sguardo folle che i più ricorderanno come la madre di Laura Palmer in Twin Peaks, la cui presenza è senza dubbio inquietante. Tutti questi piccoli elementi però sono solo dei lampi di luce in mezzo a un’opera confusa, fredda e ben lontana dal disagio che Riflessi sulla pelle trasmette. Per altri quattordici anni Ridley sta lontano dagli schermi. Scrive, fotografa, scrive ancora. Finché, verso la fine del primo decennio del nuovo secolo, scrive e dirige un altro film, più tradizionale dei precedenti, ma altrettanto buio. Questa volta lascia le ambientazioni campestri americane e torna in patria, nella più familiare Londra, proprio dove è cresciuto.

Jim Sturgess in Heartless (2009)In Heartless, Jim Sturgess interpreta Jamie, un giovane fotografo dell’East End londinese (nota zona “problematica” della città) con una grossa voglia a forma di cuore sul viso, a causa della quale è molto introverso, impacciato e fatica a relazionarsi. Nel suo girovagare fra i sobborghi scopre che la città è infestata da gruppi di mostri/demoni incappucciati dediti a violenze di ogni sorta. Inoltre a un certo punto incontrerà nientemeno che Satana, con il quale siglerà il fatidico patto: la voglia sparisce, permettendo a Jamie di vivere una vita normale, in cambio di alcuni favori. Ma, si sa, il Diavolo pretende molto. Il finale rivelatore, ormai lo sappiamo, è privo di ogni speranza.

Al di là dell’elemento faustiano al quale è spesso etichettato, il film riprende il tipico tema dell’outsider di Philip Ridley, questa volta per l’aspetto fisico. Jamie sente così tanto la sua “malformazione” da aver problemi non solo nei rapporti con gli altri ma anche con sé stesso e di essere disposto a fare davvero qualunque cosa perché sparisca. Jim Sturgess si cala nel ruolo in maniera ideale, perfetto alter ego del regista che gli affida la personificazione del sé stesso più giovane, quando viveva in quella stessa zona della città e andava in giro a scattare foto. Il regista crea il suo personaggio esasperando le fantasie e i timori giovanili: le bande di delinquenti diventano dei branchi di mostri, la sua sensibilità si somatizza nella voglia facciale. Ma Ridley va oltre, perché quando Satana entra in scena Heartless cambia, diventando una sorta di thriller fantastico, per quanto poi il finale sveli una verità molto più cruda e terrena. In questo il film si rivela altrettanto coinvolgente e non annoia mai, merito anche della fotografia giallognola che ben si sposa con le ambientazioni sporche e decadenti della periferia.

Per questo possiamo perdonare gli scivoloni su una breve, per fortuna, e stonata parentesi amorosa, gli effetti visivi pacchiani o una storia che forse voleva raccontare troppo, e goderci quello che alla fine resta un validissimo thriller multiforme, scritto in maniera intelligente nonostante i fondi e il film più personale di Philip Ridley.

In attesa di capire quando potremo rivederlo all’opera dietro alla mdp, di seguito trovate il trailer internazionale di Riflessi sulla pelle: