Voto: 7/10 Titolo originale: L'ultimo treno della notte , uscita: 22-08-1974. Regista: Aldo Lado.
Dossier: L’Ultimo Treno della Notte di Aldo Lado, il rape & revenge arriva in Italia
30/11/2023 recensione film L'ultimo treno della notte di Francesco Chello
Ricordiamo il cineasta recentemente scomparso attraverso uno dei suoi lavori più amati. Un film crudo, morboso, visivamente forte, che attraverso un prepotente utilizzo della violenza psicofisica riesce a veicolare una serie di interessanti sottotesti sociali
E’ di questi giorni la notizia della scomparsa del quasi ottantanovenne Aldo Lado, spentosi a Roma dopo una breve malattia lo scorso 25 novembre. Regista e sceneggiatore, ma anche scrittore ed editore. Artista che ha saputo dire la sua in quel cinema di genere che da
questi parti apprezziamo tanto.
Nato a Fiume nel 1934, cresciuto a Venezia, dal 1967 al 1971 colleziona esperienze come aiuto regista, nel 1968 la prima volta da sceneggiatore con Carogne si Nasce, spaghetti western diretto da Alfonso Brescia. Il 1971 è anche l’anno del suo esordio dietro la macchina da presa col giallo dalle tinte orrorifiche La Corta Notte delle Bambole di Vetro. Saprà spaziare tra i generi, dal giallo poliziesco di Chi l’ha Vista Morire? del 1972 alla commedia agrodolce a tinte erotiche La Cugina del 1974, passando per il dramma in costume di Sepolta Viva del 1973 o la fantascienza de L’Umanoide del 1979 di cui vi abbiamo parlato proprio ultimamente (l’approfondimento).
Non disdegna la televisione, con lavori come Delitto in via Teulada del 1979 o La Pietra di Marco Polo del 1982, mette mano a molte delle sceneggiature dei suoi film ma anche a qualcuna che sarà diretta da altri, vedi il soggetto de La Vittima Designata, diretto da Maurizio Lucidi nel 1971 o lo script de Il Giorno del Cobra, uscito nel 1980 per la regia di Enzo G. Castellari.
La terza età sarà quella del sapersi reinventare, sia come scrittore che poi come editore quando fonda la Edizioni Angera Films. Uomo dotato di verve, ironia, umorismo, curiosità, gentilezza, cultura, saggezza, vivacità intellettuale, viene ricordato come una bella persona da buona parte delle persone (addetti ai lavori e non) che hanno incrociato il suo cammino.
Cineasta a cui piaceva cambiare, esplorare, parlare per immagini esplicite, provare a dire qualcosa, a metterci del suo anche quando il materiale di partenza poteva sembrare derivativo. Ultima affermazione inserita non a caso, visto che mi serviva il gancio per introdurre il film attraverso cui ho scelto di omaggiarne la memoria.
Mi riferisco a L’Ultimo Treno della Notte, rape & revenge all’italiana del 1975. Aldo Lado era reduce dal discreto successo del già citato La Cugina, risultati che avevano portato i produttori del film a spingere affinché il regista si convincesse a realizzare un sequel.
Niente di più lontano dalle sue intenzioni, che erano quelle di non volersi ripetere, di voler evitare di rifare la stessa cosa, ma piuttosto di mettersi alla prova con generi diversi.
Motivo per cui Lado non solo rifiuta la proposta (ed un buon cachet), ma nell’intento di sottrarsi alle pressioni della produzione opta per un soggiorno/fuga a Milano dove contatta il proprio agente chiedendogli di cercare qualcosa che fosse distante e differente da quel tipo di prodotto.
Gli arriva la proposta di un film a basso budget che finisce per intrigarlo. L’idea dei fratelli produttori Paolo e Roberto Infascelli è quella di rifarsi al successo de L’Ultima Casa a Sinistra, scritto e diretto da Wes Craven nel 1972, con Roberto che butta giù anche un soggetto insieme ad Ettore Sanzò.
Il film di Craven si ispirava a sua volta a La Fontana della Vergine di Ingmar Bergman del 1960, con cui condivide l’espediente narrativo degli aguzzini che finiscono involontariamente ospiti dei genitori della vittima che sarà ripreso anche dall’epigono nostrano. Aldo Lado sale a bordo con la possibilità di mettere mano alla sceneggiatura (che porterà la firma anche di Renato Izzo), ed è lì che può incidere e rendere personale – caricandolo di sottotesti sociali – un progetto che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto limitarsi a speculare sul prototipo statunitense.
Ne viene fuori un film crudo, morboso, visivamente forte, volutamente disagevole, che fa un prepotente utilizzo della violenza psicofisica per veicolare un contenuto pregno di critica sociale e tematiche più che mai (tristemente) attuali.
Innanzitutto l’analisi di due facce differenti di due tipi di borghesia. Quella che si sente intoccabile ed al sicuro all’interno del proprio castello di classe, emblematica in questo senso la frase del personaggio di Enrico Maria Salerno “Non mi aspetto violenza da nessuno” pronunciata nel mentre di un cenone natalizio le cui immagini si alternano con sapiente contrasto narrativo a quelle della tragedia vissuta dalle ragazze.
Un castello effimero per la cui costruzione si arriva a trascurare gli affetti in nome della carriera e del successo, vedi matrimonio in crisi dei due coniugi. Ma anche quel tipo di borghesia dalla personalità nascosta, fatta di desideri (e sadismi) proibiti e repressi, nella fattispecie quelli della signora perbene interpretata da Macha Méril che arriva a servirsi e manipolare due reietti sbandati per soddisfare il proprio piacere sadico attraverso azioni che da sola non sarebbe capace di fare.
Una doppia personalità che trova la sua corrispondenza metaforica nell’utilizzo della veletta che indossa la signora, abbassata quando vuole mantenere un certo contegno (da persona ‘perbene’, appunto) oppure alzata quando vuole mostrare la vera indole viziosa e perversa.
E ancora, il voyeur che prova a lavare la propria lussuria criminosa attraverso scrupoli di coscienza rigorosamente anonimi perché la reputazione prima di tutto. Uno dei temi, quindi, insieme al rapporto tra sesso e potere, il sesso visto come atto di controllo, di sottomissione. Erotismo e pulsioni dalla connotazione negativa, ai limiti del fastidio.
Che porta inevitabilmente all’attualità, a testimonianza di una freschezza di scrittura a cui non pesano i 48 anni trascorsi. Quella concezione malata del poter disporre del corpo altrui, magari dopo aver visto nella spigliatezza, nell’indipendenza, nell’intraprendenza presunti segnali di apertura e disinibizione che invece esistono solo nei pregiudizi della mente deviata di chi compie l’atto.
Detto del contenuto, passiamo anche alla forma de L’Ultimo Treno della Notte. Aldo Lado costruisce con accuratezza le varie fasi della vicenda. Si inizia in Germania, dove i due balordi italiani sembrano stiano esportando la nostra malavita, una rapina ai danni di un povero Babbo Natale da strada, scelta non casuale per evidenziare il degrado morale e l’assenza di valori di chi commette un crimine anche in presenza della sacralità di una festività solitamente positiva come può essere quella natalizia.
Poi la lunga fase di preparazione, in cui la tensione sale col contagiri in funzione di comportamenti ed atteggiamenti dei personaggi negativi che ti mettono in condizione di percepire l’arrivo di eventi nefasti, facendone solo una questione di tempo che alimenta un’attesa per certi versi snervante ed un clima ad un certo punto insostenibile.
L’evento clou è chiaramente la tragedia, una lunga tortura prima psicologica e poi fisica, umiliazioni pesantissime e dolorose sevizie, dalla ciocca di capelli allo stupro passando per lo sverginamento all’arma bianca, al punto che la morte diventa una liberazione.
Immagini forti, anche concettualmente – ed anche per un decennio tosto come i nostri Seventies, non a caso il film deve passare più volte dalla censura (con due donne della commissione che arrivano a vomitare e sentirsi male) che ne chiede dei tagli (che il regista finge di effettuare per poi reintegrare in qualche modo) ed ottenere un divieto ai minori di 18 anni anziché quello assoluto che invece gli viene affibbiato nel Regno Unito dove finisce nei video nasty per essere distribuito soltanto nel 2008 direttamente in home video.
La scelta del treno di notte come ambientazione è dello stesso Lado (che attinge ai suoi ricordi d’infanzia) e si rivela azzeccatissima, non so se avete mai viaggiato sul mezzo ferroviario in notturna, non dico necessariamente negli anni 70 ma almeno fino ai primi anni 2000: altro che il comfort dei treni veloci a cui siamo abituati oggi, ma vagoni fatiscenti che al calar del sole sembravano terra di nessuno.
Il regista lo sa bene e valorizza questa location mobile, le sequenze in movimento vengono girate su due carrozze del Roma/Pescara andata e ritorno, mentre per altre si ricorre al noleggio di una carrozza da riprendere strategicamente da varie angolazioni in un teatro di posa. L’illuminazione bluastra rende più tetri gli ambienti del treno, in cui si crea un’atmosfera a cui contribuisce il suggestivo score di Ennio Morricone che ricorre alla sua amata armonica per marcare la presenza dell’assassino.
Si arriva poi al gran finale, col capovolgimento di fronte ed una sacrosanta vendetta che assume un sapore liberatorio, per quanto Aldo Lado scelga di lasciare comunque la beffa di una persona impunita a sottolineare il discorso sul finto perbenismo di una certa borghesia che riesce a farla franca grazie alla propria facciata artificiosa.
Il cast de L’Ultimo Treno della Notte si rivela un ulteriore tassello al posto giusto. Enrico Maria Salerno è l’uomo di punta scelto direttamente dalla produzione come nome forte da mettere in locandina, Aldo Lado ne è chiaramente contento vista la bravura dell’attore che pur non avendo uno screentime elevatissimo sa come lasciare il segno con un finale a fucilate che vale da solo il prezzo del biglietto, oltre a mettere a disposizione gli esterni della propria villa per le riprese all’aperto.
La signora perbene di Macha Méril è sensuale e lasciva, fa trasparire nello sguardo un tocco di perversa follia. Lado sceglie personalmente Flavio Bucci, che insieme a Gianfranco De Grassi compone il duo di sbandati, capaci di trasmettere un senso di disagio in quasi ogni scena che li vede coinvolti. Franco Fabrizi accetta un ruolo apparentemente scomodo come quello del voyeur, per la gioia del regista che cercava un profilo attoriale in netto contrasto col ruolo da interpretare.
Il rape & revenge non è esattamente uno dei miei sottogeneri preferiti. Ma ciò non toglie che ci siano delle eccezioni. Come L’Ultimo Treno della Notte, che metterei addirittura tra i migliori della categoria, in barba alle origini di un progetto che nasceva come semplice epigono derivativo (non a caso, uno dei titoli alternativi con cui arriva negli States è The New House on the Left). Nonché uno dei titoli maggiormente apprezzati dal pubblico in un curriculum interessante come quello di un cineasta del livello di Aldo Lado.
Di seguito trovate il trailer di L’ultimo treno della notte:
© Riproduzione riservata