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Voto: 8.5/10 Titolo originale: Profondo rosso , uscita: 07-03-1975. Regista: Dario Argento.

Dossier: Profondo Rosso di Dario Argento, lasciarsi trascinare e perdersi nell’indagine

10/07/2023 recensione film di Jurij Pirastu

Uno dei film di genere che più ha lasciato il segno, ha esplorato l’occhio del cinema e giocato con lo spettatore

profondo rosso 1975 argento

A partire dal 10 luglio Cat People riporta in sala Profondo Rosso di Dario Argento in una edizione restaurata in 4K, con la missione di riproporre i classici italiani di genere. Ma cos’ha di grande ancora oggi il film del maestro del Giallo all’italiana, datato 1975?

Profondo Rosso è un punto di arrivo, in quanto prodotto compiuto, e un punto di partenza, in quanto svolta di uno stile d’autore e modello per diversi altri. È (ri)elaborazione sistematica di codici, dell’occhio cinematografico e di tecnica narrativa: assorbe le lezioni dei maestri del thriller, che diviene metagenere e fagocita poliziesco e tracce di horror; muove una ricerca sulle forme della visione. Usa l’indagine come oggetto e struttura narrativa, in cui il protagonista, e lo spettatore che in questo si immedesima, si perdono.

Il genere

Anni ‘70. Dai resti degli spaghetti-western, che nella fase crepuscolare avevano finito per parodiare se stessi, si costituisce il poliziesco all’italiana, noto anche come “poliziottesco”: i temi impegnati nel sociale e nella cronaca quotidiana, la violenza che riempie i fogli di carta e gli schermi, poliziotti tutti d’un pezzo, ma anche giustizieri della folla pronti a rimediare all’inefficienza delle istituzioni o malavitosi assetati di sangue sono aspetti caratteristici di questo genere tutto all’italiana, che si colora anche di horror e splatter; insomma un genere che già a quel periodo mostrava una certa fluidità e apertura alla contaminazione.

Profondorosso.jpgIl cinema thriller di Dario Argento prende piede in quegli decennio con la Trilogia degli animali (L’uccello dalle piume di cristallo, 1970; Il gatto a nove code, 1971; Quattro mosche di velluto grigio, 1971) e a partire dalle suggestioni del tempo vira verso uno stile autoriale, partorendo con Profondo Rosso una delle pellicole più emblematiche.

Qui la violenza omicida che in passato aveva provocato e celato una vittima sopravvive per molti anni e riemerge con vigore nel presente della storia.

Il pianista Marc Daly (David Hemmings), testimone casuale del primo omicidio, assume il ruolo di detective volontario supportato dalla giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi, una figura tipica della detective story: sempre nel posto giusto, testarda e abile nel districarsi e rielaborare gli indizi; vedi Zodiac o il recente La ragazza di neve), e insieme rimpiazzano un commissario tutt’altro che serio e affidabile, sempre a un passo indietro dai due.

La suspense, una specificità del thriller, è padrona del film e del cinema di Dario Argento. Essa si costruisce sui rapporti di sapere tra narratore e personaggi, uno di quei meccanismi narrativi della cosiddetta focalizzazione: se la focalizzazione è di tipo zero il narratore sa più dei personaggi e può informare di fatti passati, presenti o che stanno accadendo all’oscuro dei personaggi.

In questo caso si crea la suspense: noi sappiamo ciò che i personaggi della scena non sanno e siamo spettatori impotenti di un’azione che già immaginiamo ma di cui non conosciamo le impressioni fisiche ed emotive (quelle ci danno più apprensione).

In Profondo Rosso l’istanza narrante, attraverso le riprese in soggettiva, assume il punto di vista dell’assassino e si sovrappone a quella dello spettatore, che vede con gli occhi della Morte. La suspense perde quella dinamicità diffusa nel poliziesco che caratterizza gli inseguimenti e le sparatorie, e diventa una lenta e logorante attesa, preparata e accompagnata da una colonna sonora che ha fatto storia (Dario Argento afferma che John Carpenter ha ascoltato i Goblin per la composizione del tema di Halloween, anche se modello alla base sembra essere quello dell’Esorcista del 1974 per il forte richiamo).

L’horror, in particolare il gore/splatter, emerge con evidenza nelle esplosioni di violenza. La menomazione, l’accoltellamento sanguinolento, lo scontro con oggetti quotidiani (come gli spigoli dei mobili nell’aggressione allo psichiatra Giordani) che contribuisce alla costruzione del realismo rievocando traumi comuni, insieme al loro forte impatto visivo e sonoro, sono punti di esasperazione dell’orrore, e introducono all’horror il regista, che ne farà uso frequente nei successivi film.

L’occhio

L’occhio dell’istanza narrante è di frequente una presenza viva e autonoma durante la storia, un’assoluta cifra stilistica del regista: ci segnala il cattivo e ci fa muovere sui suoi passi, ma senza mai rivelarci la sua identità, fino allo scioglimento finale. Più il realismo è presente in un film, più il cinema riesce a immergere lo spettatore nella rappresentazione, tale da infondere uno stato di narcosi e rendere difficile la separazione tra realtà e simulacro.

Daria Nicolodi in Profondo rosso (1975)L’immersività è uno dei caratteri dei media elettrici – che verrà amplificato da quelli digitali – e ha l’obiettivo di rendere invisibile il medium, non farci accorgere di questo. Quando l’artificio tecnico è una novità e si rende evidente (spesso recuperato da altre forme mediali: schermi digitali nei film e in tv; strumenti del desktop dei pc, ovvero una vera e propria scrivania virtuale; una certa computer grafica al cinema), subentra l’ipermediazione, ovvero una convivenza conflittuale e ben chiara di diversi linguaggi nello stesso spazio.

La soggettiva argentiana sembra riflettere proprio questo caso attraverso la sua ampia libertà di movimento e le possibilità di narrazione che offre. Ha un aspetto quasi amatoriale, del singolo che ha il potere di raccontarci l’esperienza dal suo punto di vista, e ricorda le riprese televisive sul campo delle troupe giornalistiche; riprese che nel tempo si sono impresse nella memoria e nella percezione visiva per l’ampia esposizione al mezzo dell’audience televisiva. Una scelta originale come questa e l’accorgimento che ne deriva hanno il vantaggio di rendere coscienti e poter far riflettere sull’esplorazione tecnica del cinema e dei generi messi in campo.

Un’altra considerazione unisce le forme televisive a quelle filmiche di Profondo Rosso e del thriller. “Da quando le tecnologie elettroniche e l’occhio televisivo hanno fatto la loro comparsa sul set, la suspense ha cambiato la propria essenza: da tensione mentale risolta in un’azione liberatoria, si è fatta ricerca disperata di un altro vedere” (Fino all’ultimo film. L’evoluzione dei generi nel cinema, a cura di Gino Frezza, 2001).

I vari punti di vista, i tagli che stringono sempre di più su oggetti, dettagli e particolari, e caricano le impressioni e il senso dell’azione: sono tutti segni di un occhio ossessivo che disseziona lo spazio e lo ricostruisce sullo schermo impregnato di pathos, donandolo alla visione di uno spettatore che con l’esperienza televisiva si sta sempre più abituando e viziando mentre espande la sua conoscenza (mediata) del reale, annullando le distanze e i tempi dei luoghi, entrando nel privato delle persone e toccando emozioni e affetti.

“Una necessità avvertita dallo spettatore nel cercare la massima visione, angolata possibilmente a 360” (ibidem). La narrazione barocca, dai “cento occhi”, punteggiata di dettagli e particolari costruisce un iperrealismo e delle possibilità che l’occhio umano non ha nel suo approcciarsi alle esperienze quotidiane.

profondo rosso 1975L’immedesimazione spettatore / protagonista

Mentre il protagonista Marc si cimenta nell’indagine con – o senza – l’aiuto della giornalista, noi ci immedesimiamo nei suoi passi, ci scontriamo con i suoi dubbi, ragioniamo per confrontare gli indizi.

Anzi, vediamo e dunque possediamo più elementi grazie all’esperienza ravvicinata degli effetti del cattivo, dei suoi simboli e del suo immaginario, mentre ci vengono mostrati in alternanza alle vicende investigative. Ma pur privilegiati finiamo irrimediabilmente contro un muro. Perché?

La soluzione del caso non è per nulla scontata: l’abile costruzione delle scene sembra suggerire e additare più di una persona come omicida, ponendoci accanto al protagonista in uno stato tale da pensare che la minaccia sia sempre accanto. In fondo come farebbe il colpevole a essere dappertutto e sapere tutto, il ‘Dio assoluto’, o meglio il Diavolo, pronto a togliere la vita ai suoi bersagli, se egli non si trovasse nei paraggi?

Profondo Rosso non ha solo come oggetto un’indagine, ma si districa strutturalmente come un’indagine dal forte coinvolgimento, come un gioco, in cui noi siamo i detective e l’assassino è il regista che muove gli eventi e gioca con le nostre emozioni.

Anche se siamo circondati da indizi ci lasciamo andare alle abilità affabulatorie del film che ci trasporta, ma che non lascia abbastanza tempo per soffermarci. Cerchiamo di comprendere il meccanismo omicida ma restiamo sempre indietro, e quando pensiamo di avere la verità in pugno prima del finale falliamo, e le nostre convinzioni si frantumano.

È un gioco intraprendente ma anche frustrante, proprio come avviene in The Game di David Fincher (1996), un altro brillante thriller che ancor di più ri-media la struttura ludica e offre una metafora della realtà come simulazione in una fase storica di fine millennio in cui il videogame e il digitale diventano a poco a poco sempre più rilevanti.

Di seguito trovate il trailer di Profondo Rosso: