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Dossier | RoboCop saga (Parte 1): i film, le serie TV, i cartoni animati e i videogiochi

08/07/2019 news di Sabrina Crivelli

Nel 1987, il regista Paul Verhoeven faceva conoscere al mondo in un'opera controversa il tutore della legge cibernetico, dando il la a una progenie che ha spesso rinnegato le idee del capostipite

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RoboCop di Paul Verhoeven è la perfetta combinazione di azione, cupa fantascienza, gore, giustizia sanguinaria, dramma e storia delle origini per il paladino della legge biomeccanico incarnato da Peter Weller, il tutto racchiuso in 102 minuti di durata. Il film del 1987 può poi contare su una buona dose di imprecazioni, di una satira pungente che non risparmia nessuno, di un sound design architettato con destrezza da Basil Poledouris e su un paio di villain dal notevole carisma, primo tra tutti lo spregiudicato Richard “Dick” Jones (Ronny Cox), capo della Divisione Sicurezza della OCP (o Omni Consumer Production), in combutta con il pluriomicida Clarence Boddicker (Kurtwood Smith). Insomma, RoboCop è stato sin dall’uscita nei cinema destinato a diventare rapidamente un cult controverso (i detrattori non mancano certo …), ma a rimanere comunque indelebilmente impresso nella memoria di almeno un paio di generazioni e a definire un modello di ‘distopia squadrista’ tutt’altro che banale e certo non retorica, anzi.

Robocop 1987 posterNei 25 anni successivi alla nascita del mito, molti sono stati gli sforzi per cercare di ottimizzare il potenziale del franchise di RoboCop. Tuttavia, che sia stato a causa delle limitate possibilità di sviluppo del personaggio, o più probabilmente della scarsa immaginazione delle persone coinvolte nel processo di volta in volta, nessuno è mai riuscito ad arrivare a un risultato soddisfacente o almeno in grado di eguagliare per impatto il capostipite.

RoboCop è, anzitutto, un prodotto del suo tempo. Intriso del cinismo tipico della piena era reaganiana e di tutti gli eccessi di quell’epoca d’oro del cinema fanta-action, riesce a rimanere in bilico sul filo del rasoio. Da un lato, quella di Paul Verhoeven non si può definire del tutto una critica sociale caustica, benché indubbiamente sia un elemento centrale del lungometraggio del 1987; dall’altro non è nemmeno un mero avvallo di uno Stato di polizia in cui imperversano violenza e uccisioni sommarie. Comunque sia, RoboCop riesce in maniera disinvolta a miscelare una brutalità estrema con effetti speciali pratici estremamente disturbanti e un’ironia pungente sulle derive del consumismo, della cultura d’impresa e dei media.

Poi ci sono i cattivi, e ce n’è per tutti i gusti. Anzitutto i rapinatori dal grilletto facile guidati da Clarence Boddicker, che nelle scene di apertura sparano senza pietà all’agente Alex J. Murphy lasciandolo in fin di vita (il suo cervello e alcuni tessuti del suo corpo ormai senza vita saranno utilizzati per creare un prototipo di poliziotto cyborg dalle capacità straordinarie). Poi Bob Morton (Miguel Ferrer), rampante nuova leva alla OCP disposto a tutto per far carriera e dedito alla cocaina e alla compagnia femminile a pagamento.

Quest’ultimo si scontra nella sua scalata al potere con il senior Richard “Dick” Jones, che si rivela un avversario tutt’altro che trascurabile e disposto a tutto per mantenere la sua posizione privilegiata, compreso assoldare Boddicker per eliminare il problema alla fonte. Tra la gang di questo e i membri della multinazionale senza alcuna morale, è messo in scena un microcosmo criminale più colorito e variegato rispetto a quello visto nella decadente Gotham City di Batman degli anni d’oro.

Le entrate al botteghino americano furono più che discrete, arrivando a oltre 53 milioni di dollari a fronte di un budget di 13 milioni; le recensioni della stampa furono in linea di massima positive, tacciando però RoboCop di eccessiva violenza, pur riconoscendone anche l’intelligente rilettura distopica e sarcastica del genere sci-fi.

Dunque è facile comprendere come stuoli di ragazzini in età scolare con genitori permissivi (o attraverso lo sporadico accesso a videocassette ‘proibite’ lasciate incustodite) si siano affezionati a RoboCop, che divenne così un’icona della loro adolescenza. La violenza non-stop, le parolacce, i robot giganteschi e terrificanti (ricordate il primo prototipo, l’ED-209, e l’infausta fine di Kinney?), un imprevedibile eroe tragico mezzo uomo e mezzo macchina, furono un richiamo irresistibile per molti.

Con tutti gli ingredienti al posto giusto e quel futuro inquietante e disperato che sembra sempre più sul punto di concretizzarsi, si aprivano infatti infiniti possibili scenari per nuove avventure del poliziotto più integerrimo di Detroit. Tuttavia, alcuni dei maggiori punti di forza del primo film risultarono decisamente difficili da trasportare su altri medium, dove potere ampliare il franchise (abbastanza comprensibilmente peraltro), oppure chi venne coinvolto nell’operazione non colse il vero nocciolo della questione.

Robocop videogioco arcade 1988Procediamo però con ordine. Le cose inizialmente parvero andare discretamente con l’uscita nel 1988 dell’omonimo videogioco arcade, uno sparatutto standard che però aveva alcuni dettagli grafici niente male. Anche gli effetti sonori accattivanti dell’ED-209 e le voci del cast originale, un livello bonus che permetteva di fare pratica sparando in POV e con i cattivi che – ad un orecchio non allenato – sembravano gridare “Shit!” quando venivano colpiti, il videogioco da sala giochi di RoboCop sembrava aver tutto ‘in ordine’.

La violenza spensierata mutuata dal film di Paul Verhoeven trovava in questa forma un degno supporto, riuscendo a spillare un gran numero di monete da 200 lire dalle tasche degli studenti appena usciti da scuola.

Dopo il salto dal grande schermo all’arcade, il successivo passaggio naturale per un supereroe come RoboCop nell’era post Star Wars furono così i cartoni animati della mattina e, naturalmente, i negozi di giocattoli. Anzitutto, fu la volta della serie animata di RoboCop (RoboCop: The Animated Series) in 12 episodi di circa 30 minuti ciascuno, che fu realizzata dalla Marvel Production e messa in onda negli Stati Uniti a partire dall’ottobre del 1988 e in Italia nel dicembre dello stesso anno. Nelle puntate si alternavano alcuni personaggi presi direttamente dal film, come l’agente Anne Lewis (Nancy Allen), il sergente Reed (Robert DoQui) o il dottor McNamara (Jerry Haynes), ad elementi del tutto inediti.

Sempre nel medesimo periodo venne  diffusa anche la relativa linea di giocattoli, chiamata RoboCop and the Ultra Police e prodotta dall’esperta Kenner, comprensiva del ED-260 (ossia ED-209), di due villain dai nomi suggestivi, Headhunter e Nitro, e di un manipolo di personaggi che sembravano scarti dei G.I. Joe del calibro di “Wheels” Wilson e “Birdman” Barnes. Insomma, una linea di action figures che non aveva alcuna intenzione di credibilità né tanto meno essere il veicolo di un qualche tipo di satira sociale. Allo stesso tempo, però, il personaggio di RoboCop spiccava sugli altri, non solo perché era dotato di pistole che sparavano veramente a salve emettendo un bel rumore, ma anche perché i giovani collezionisti potevano anche sfilargli il casco (rivelando un cranio piuttosto dettagliato) ed estrarre la pistola dalla fondina meccanica che si apriva sulla gamba.

RoboCop and the Ultra Police action figureTutto un altro discorso purtroppo invece per quanto riguarda la breve serie animata di RoboCop (RoboCop: The Animated Series). Perfino il più smaliziato del team che deve ideare i programmi che andranno in seconda serata sulla TV pubblica avrebbe dichiarato che, per fare il salto dalla versione cinematografica ‘per adulti’ di Paul Verhoeven al cartone per bambini, sarebbe stata necessario un significativo ‘adattamento’.

Insomma, va ricordato che si tratta di un peculiare paladino che, al suo primo giorno di uscita per le strade di Detroit come agente operativo, per sventare un tentativo di stupro spara più colpi senza rimorso ai gioielli di famiglia del potenziale violentatore … Nessuno naturalmente certo si aspettava nulla di simile nella versione televisiva per ragazzi, o che si sarebbe indugiato nel sangue e nel turpiloquio.

Tuttavia, è stato deludente vedere che la serie si sia limitata a essere nulla più che un mero tentativo di rendere l’eroe visto al cinema poto tempo prima ‘appetibile in termini di merchandising’, seppure riprendesse alcuni degli elementi centrali della mitologia alla base di RoboCop. A dirla tutta, non furono solo le modifiche, ma soprattutto l’eccessivo legame a un particolare aspetto del capostipite a dimostrarsi deleterio e a minare in seguito anche i successivi capitoli cinematografici della saga.

Nell’opera di Paul Verhoeven del 1987 primo film, nessuno avrebbe mai potuto confondere il RoboCop incarnato da Peter Weller con uno dei personaggi portati sul grande schermo da Bruce Lee o da Jackie Chan. Il cyborg umanoide aveva difatti una scarsissima mobilità, il suo incedere era meccanico e impacciato, un po’ per motivi tecnici (l’impressionante armatura creata dall’effettista Rob Bottin e il trucco prostatico avevano un peso complessivo di circa 36 chili), un po’ per una scelta volontaria tesa a intensificare la tragica, goffa natura da ‘Frankenstein robotico’ del protagonista. L’idea di pesantezza, di lentezza, con cui veniva rappresentato era concretizzata poi dal suono martellante dei suoi passi, un vero e proprio tratto caratteristico del franchise almeno quanto il respiro roco e innaturale del Darth Vader di Star Wars.

RoboCop Cartone MarvelD’altra parte, nonostante i suoi molteplici problemi, la serie animata di RoboCop fu il primo passo verso la canonizzazione dei caratteri tipici del protagonista come vero e proprio eroe buono in senso tradizionale. È vero, incedeva più lento di un tram in un giorno di traffico con stuoli di macchine in doppia fila, e porgeva su un piatto d’argento il proprio metallico fondoschiena a ogni malintenzionato che volesse eliminarlo.

Quando non era troppo impacciato per schivare un qualche pesante oggetto contundente scagliato dall’alto, si ‘spegneva’ per qualche cortocircuito o perché controllato in remoto da qualche ingegnoso villain; o ancora rischiava di essere sostituito da un modello più nuovo ed efficiente (pericolo che si ripropone anche nei sequel cinematografici). Insomma, per essere un uomo bionico dotato di super forza e ricoperto di spesso metallo, non ci voleva molto a metterlo fuori gioco. Si potrebbe anzi tranquillamente scrivere un pezzo su tutti i piccoli intoppi che lungo gli episodi hanno gravemente danneggiato il prode difensore della legalità di Detroit.

E non è tutto: a essere super pignoli il cartone presentava più di un’incoerenza con la contuinity del film del 1987. La più evidente si ha addirittura nella sigla di apertura, dove compare brevemente una versione cartoonesca (e chiaramente censurata) dell’esecuzione dell’agente Murphy per mano di Clarence Boddicker. Il criminale, come ricorderete, veniva ucciso in uno scontro decisivo con RoboCop e l’agente Lewis (ambedue rimangono feriti, lui schiacciato da pesanti lastre di metallo, lei da alcuni colpi). Nel corrispettivo televisivo pomeridiano, al contrario, ritroviamo Boddicker vivo e vegeto nell’episodio 1×12 (“Menace of the Mind”).

Stranezze e incongruenze a parte riservate ai più fanatici, nel complesso lo show animato è pressoché indistinguibile da uno dei tanti prodotti per adolescenti che popolavano il piccolo schermo nei tardi anni ’80, dai G.I. Joe a C.O.P.S. Gli va comunque riconosciuto di essere decisamente superiore all’inguardabile RoboCop: Alpha Commando (prodotta da MGM e Orion Pictures) e trasmessa in 40 episodi a distanza esatta di una decade.

Continua …

Di seguito il trailer di RoboCop del 1987:

Fonte: DoG