Titolo originale: Wolf Creek , uscita: 16-09-2005. Budget: $1,000,000. Regista: Greg McLean.
Dossier: Wolf Creek di Greg McLean, il cuore nero dell’Australia che ispira film horror
12/05/2020 news di Redazione Il Cineocchio
Nel 2005, il filmmaker Aussy prendeva spunto dalla cronaca locale per costruire la figura del maniaco omicida Mick Taylor, personaggio in grado di sovvertire gli stereotipi positivi diffusi precedentemente
Nel 1986, Mr. Crocodile Dundee di Peter Faiman creò lo stereotipo secondo cui l’entroterra australiano fosse popolato di cittadine in stile Walkabout Creek che ospitavano personaggi rozzi ma dal cuore tenero. Nonostante il simpatico film abbia fatto grandi cose per l’industria cinematografica e turistica locale, molti filmmaker dell’Australia trascorsero i successivi 20 anni cercando di ‘rieducare’ il mondo per quanto riguarda l’inospitale Outback.
Ad esempio, in Priscilla – La regina del deserto (1994), il regista Stephan Elliot ha cercato di definire l’entroterra come sede di redneck omofobi, mentre in Benvenuti a Woop Woop (1997) ha descritto quella lande desolate e assolate come dimora di individui ignoranti e razzisti, per nulla sofisticati e omofobi, dediti solo alle bevute di birra.
Con lo slasher Wolf Creek del 2005, Greg McLean si è infine fatto ‘paladino’ di quella frangia dell’industria australiana intenzionata a ridimensionare lo stereotipo positivo del Mr. Crocodile Dundee interpretato da Paul Hogan, ma affermando che i suoi film si basavano su terribili eventi reali.
Va comunque precisato che Wolf Creek non è direttamente basato su una storia vera, anche se all’inizio un titolo dice ‘basato su eventi realmente accaduti’. In effetti, Greg McLean – autore anche della sceneggiatura – venne in parte ispirato dai raccapriccianti dettagli dei ‘delitti dei saccopelisti‘ (Backpacker Murders) commessi da Ivan Milat nel corso degli anni ’90 (ufficialmente 7 ragazzi, ma qualcuno specula possano essere addirittura 37), che però avvennero in una foresta vicino a Sydney, nel Nuovo Galles del Sud.
Wolf Creek – che è ambientato nel 1999 – sposta la follia assassina del serial killer in un paesaggio molto meno ‘tranquillo’ e più solitario, ovvero nel pieno deserto australiano, in parte perché voleva esaltare la potenza di quei territori isolati, e in parte perché si poggiava sul ‘mito’ dell’amichevole boscimano ritratto da Michael J. Dundee. Mick Taylor (John Jarratt) è il suo gemello sadico e spietato.
Seguono SPOILER sulla trama. La storia di Wolf Creek vede due turiste britanniche, Kirsty e Liz (Kestie Morassi e Cassandra Magrath), in compagnia di un uomo del posto, Ben (Nathan Phillips), si ritrovano a un certo punto con l’automobile in panne. Mick Taylor sopraggiunge per aiutarli, e rapidamente conquista la loro fiducia con il suo comportamento affabile.
Li guida al luogo in cui vive e gli offre un po’ d’acqua per rifocillarsi. Dopo aver scambiato qualche battute alla Dundee sul “non è un coltello, è un coltello”, il gruppetto si addormenta.
Il pomeriggio successivo, Liz si risveglia legata dentro una baracca. Riesce a fuggire e trova Mick che sta torturando la sua amica. Spara all’uomo e pensa che sia morto, salvo scoprire in seguito di essersi terribilmente sbagliata. Quando alla fine Mick riesce a raggiungerla, le spezza la spina dorsale, le taglia le dita di una mano e la tortura in un modo che il maniaco sostiene sia stato usato nel corso della guerra del Vietnam, il che implica che lui avrebbe fatto parte dall’orgogliosa tradizione dell’Anzac (Australian and New Zealand Army Corps).
Una delle sue ‘tradizioni’ sarebbe quella di attuare la “testa su uno stecco“, un’atroce pratica che Mick dice fosse tranquillamente applicata durante il conflitto per ottenere informazioni dal nemico, assicurandosi che poi non potesse scappare.
Per quanto riguarda Kirsty, viene uccisa da Mick Taylor mentre è sul punto di fuggire. A quanto pare, grazie alla sua ‘passione’ per gli animali selvatici, l’uomo è anche un tiratore esperto. Infine, Ben appena riprende i sensi si ritrova inchiodato a una trave accanto a due cani randagi e a dei cadaveri parzialmente sbranati. Riesce a darsi alla fuga, viene salvato da un paio di viaggiatori svedesi di passaggio, ma poi accusato dell’omicidio della ragazza. Il film si chiude cupamente con l’immagine di Mick Taylor che cammina verso il tramonto, ancora a piede libero e pronto a fare altre vittime.
Come detto, Wolf Creek è stato pubblicizzato come “basato su eventi reali”. I fatti a cui si fa riferimento sono la convinzione da parte del regista Greg McClean che gli australiani siano psicopatici bigotti. Secondo le sue stesse parole, infatti:
La cultura australiana è tutta spiagge assolate e luminose, Crocodile Dundee e quel tipo di cazzate, ma il lato oscuro di quelle cose è la xenofobia, l’omofobia, il sessismo, il razzismo, tutto quel tipo di sentimenti che schiacciamo ma che sono in realtà vivi e vegeti.
L’idea per il film venne dall’incontro con una guida turistica dell’Outback politicamente scorretta, che Greg McClean ha poi usato come modello per lo psicopatico Mick Taylor.
Dopo che la sceneggiatura di Wolf Creek fu quasi completa, le notizie di serial killer nazionali iniziarono a raggiungere le prime pagine dei giornali, così il regista decise di intrecciare aspetti delle reali uccisioni dentro la trama che aveva scritto, per provare che gli australiani dell’entroterra fossero effettivamente dei maniaci, al pari di quelli americani. Uno dei serial killer era il già citato Ivan Milat. Il secondo era Bradley John Murdoch. Il terzo erano gli assassini di Snowtown.
Nessuno dei killer assomigliava lontanamente ai personaggi di Mick Dundee o persino all’esasperato Mick Taylor. In particolare, Ivan Milat – che si professò innocente fino alla morte in carcere nell’ottobre 2019 – era il figlio di un migrante croato in una famiglia di 14 persone. Il suo modus operandi era di dare passaggi agli escursionisti prima di ammazzarli nei meandri della foresta della stato di Belanglo, tra Sydney e Canberra. Se Wolf Creek avesse voluto essere più in linea con questa verità, avrebbe quindi dovuto chiamare l’assassino “Ivan Yankovich” e gli avrebbe fatto raccontare storie sulle sue gesta in quelle zone.
Brad Murdoch – attualmente 62enne – ha invece ucciso nel 2001 il turista britannico Peter Falconio; tuttavia, le modalità dell’omicidio restano ad oggi sconosciute, perché il corpo non è mai stato trovato e nessuna prova è stata trovata per indicare che fosse un omicida seriale. Anche in questo caso, il comportamento dell’uomo, che sta scontando il carcere a vita, fu molto diverso da quello tipicamente affabile degli abitanti del solare Outback.
Era un solitario, affiliato ai suprematisti bianchi, che faceva uso di droghe mentre spacciava tra una città dell’Australia e l’altra. Certo, un individuo adulto che guarda un film R-rated dovrebbe essere in grado di astenersi dall’estrapolare un personaggio di finzione da una popolazione di persone reali. Detto questo, un giudice ritenne che Wolf Creek avesse offuscato i confini tra fatti e fiction al punto da poter pregiudicare addirittura il processo di Brad Murdoch. Di conseguenza, il film non venne distribuito nella zona del Northern Territory fino a quando il processo non fu completato e la sentenza di condanna emessa.
Si diceva anche che gli omicidi di Snowtown avessero influenzato certi aspetti della trama di Wolf Creek. I delitti furono compiuti tra il 1992 e il 1997. Un gruppo di cinque uomini e una donna della città di Adelaide ammazzarono ben 11 persone, depositando poi i corpi in barili di acido immagazzinati dentro un caveau di una banca in disuso nella piccola città di Snowtown.
Il gruppo di squilibrati aveva poi provveduto a riscuotere gli assegni per le prestazioni di sicurezza sociale delle vittime. Il modus operandi qui fu particolarmente disumano. Ai malcapitati – spacciati dal capo branco per dei poco di buono – venivano schiacciate le dita dei piedi, venivano fulminati i testicoli e venivano bruciati con le sigarette. Gli assassini alla fine furono catturati quando due membri della banda si fecero notare per una furioso litigio notturno in mezzo alla strada.
Pare che l’uomo a cui erano stati assegnati i doveri di tortura avesse ‘oltrepassato’ i suoi limiti uccidendo una delle vittime. L’uomo il cui compito era quello di uccidere era pertanto rimasto sconvolto dal fatto di essere stato ‘privato’ del suo ruolo e aveva deciso di rendere pubblico il fatto che non ne fosse contento. La polizia, chiamata per indagare sul battibecco, trovò infine i resti dei corpi e le altre tracce.
Con l’eccezione dell’efferatezza, non vi è quindi alcuna comunanza tra i dettagli geografici, storici o culturali degli assassini di Snowtown e il Mick Taylor di Wolf Creek. Quei pazzi omicidi erano infatti il sottoprodotto di situazioni famigliari e sociali devastate, e non portatori di ‘valori rurali’ conservatori, dei pub dell’Outback o degli anni di servizio militare in Vietnam. Nel caso dei maniaci di Snowtown, tutti sui 25/30 anni, il fatto che abbiano massacrato in gruppo sembra indicare che stessero cercando una sorta di appartenenza a una comunità perversa che gli era stata negata nel fuoco individualistico dell’urbanismo.
Se Greg McClean ha dunque affermato che Wolf Creek si baserebbe su eventi di cronaca nera realmente accaduti e su un personaggio decisamente ‘archetipico’ dell’Australia, la realtà è, a conti fatti, piuttosto diversa, dato che non si hanno evidenze dell’esistenza di serial killer dalle caratteristiche fisiche / sociali o che hanno agito esattamente come Mick Taylor. Siamo piuttosto dalle parti di Ed Gein, ispiratore di classici del cinema horror e thriller come Non aprite quella porta, Psyco e Il silenzio degli innocenti.
Resta una campagna marketing non troppo apprezzata dall’ente del turismo australiano, ma gestita certamente molto bene (forse ‘spronata’ anche dalla premiere tenutasi nella prestigiosa cornice della Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2005), con Greg McClean che cercò di confondere ulteriormente i confini tra finzione e realtà, arrivando ad assicurare che lui stesso avrebbe paura ad addentrarsi impreparato nell’Outback e consigliando ai potenziali viaggiatori di portarsi appresso “un fucile molto grande.”
L’impatto di Wolf Creek a livello globale fu comunque importante, visto che è riuscito a generare un sequel (2013) e addirittura una serie TV in 2 stagioni (2017).
Di seguito la terribile scena della ‘testa sullo stecco’ di Wolf Creek:
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