[Film memories on the road] In Turchia sulle tracce di Yılmaz Güney (parte I)
31/03/2017 news di Mario Bulletti
Tra i vecchi vicoli del bazaar di Ankara alla ricerca di vecchie VHS, poster e ricordi di un grande attore
Eccomi di ritorno verso Jakarta, sul piccolo traghetto che dall’isola di Bali riporta all’Isola di Jawa … tre giorni a bestemmiare per una storia d’amore finita male e tre giorni per tornare al mio solito ostello tanto caro di Jalan Cikini Raya della capitale indonesiana. Cerco di non pensare a cosa è stato. Mi fumo una sigaretta ai chiodi di garofano e sul ponte del traghetto guardo tutto contento il VCD appena comprato di un horror mai trovato da altre parti: se qualcuno mi chiedesse “Dove l’hai comprato?” potrei benissimo rispondere “Su quella nave: se un giorno ti capiterà mai di prenderla, hanno ancora diversi titoli interessanti”.
Ecco, è da questa paginetta ritrovata frugando tra le vecchie cose che parte un viaggio alla ricerca dei ricordi. 15 anni di viaggi alla ricerca di ricordi: film, persone, luoghi, negozi, storie che rischiano di scomparire presto, troppo presto se consideriamo quanto velocemente il mondo (e l’Asia in particolare) sta cambiando. Ricordi di cui pochi anche del luogo si ricordano: film che nessuno guarda più e che ancor meno persone vendono più. Piccoli negozi vecchi e tradizionali, bancarelle e bazaar che un tempo erano la faccia dell’Asia da Istanbul all’Indonesia che adesso scompaiono nell’indifferenza generale, sostituiti da nuovi, asettici e inutili centri commerciali. La storia dell’Asia passa anche attraverso i suoi film, la storia dei viaggi passa attraverso la ricerca di questi posti. La storia delle città e dei paesi passa anche attraverso la (ri)scoperta di queste visioni alternative. Di luoghi misteriosi e di cinema sconosciuto. Camminando per ore e ore ogni giorno, per settimane e mesi nelle belle periferie di Kuala Lumpur o nei puzzolenti vicolini di Phnom Penh, nei freddi e grigi quartieri mongoli di Hohhot o nel caos umido e soffocante di Jakarta alla ricerca di un negozio, di un DVD per me o per un cliente, un poster, un magazzino, un libro o una vecchia videocassetta…spesso trovando ogni anno sempre meno film ma ogni anno sempre più nuove persone e vecchi amici. Collezionisti, vecchi attori, registi, commercianti. E amori. Begli occhi di ragazzine messe li a vendere film, sogni e speranze di tornarci ancora per comprare un altro film lasciato li apposta per poterla rivedere ancora.
Un film è fatto di milioni e milioni di fotogrammi, uno accanto all’altro. Con molta probabilità se si prende un pezzo di pellicola a caso è estremamente probabile che le decine di microscopiche immagini che vediamo possano sembrare tutte uguali. Una identica all’altra. Eppure, a film montato, proiettato e visto ci accorgiamo di aver assistito ad uno spettacolo pieno di azione, avvenimenti, luoghi, persone, spazi e tempi incredibili. Come è possibile se quel piccolo frammento sembrava solo mostrare una serie di immagini tutte uguali tra loro? Il viaggiare è come un vecchio film: anche dopo 5 mesi di Malesia, o due anni di Cina o 4 mesi tra Mongolia e Siberia in inverno, due mesi a Istanbul – per anni sempre così e sempre sarà così – cominci a pensare che i giorni siano tutti uguali, passano velocemente sempre uguali, in attesa di un nuovo visto, di una idea, di una ragazza o di decidere dove altro andare. Eppure guardando da vicino questi milioni di fotogrammi, mi accorgo che si tratta di un bellissimo film, quasi come un mondo movie o un vecchio spionistico ambientato nei luoghi più esotici e affascinanti. E come le vecchie pellicole, si taglia, si cuce e si incollano insieme tutti questi frammenti di girato sperando che alla fine ne venga fuori una storia interessante. Ecco, qui che nasce l’idea di Film memories on the road, rubrica di viaggi alla scoperta di vecchi film, attori, DVD, VHS, mercatini e negozietti in anni di viaggi a giro per il mondo. Fotogrammi che compongono un film che ancora – spero – è ben lontano dall’essere terminato di girare. Il viaggiatore non è un turista: sa quando parte, ha una idea più o meno vaga di dove vorrebbe andare, non sa nè come arrivarci ne quanto tempo ci può impiegare. Ed allora capita di fermarsi 5 mesi in Malesia alla scoperta e alla ricerca di vecchi film horror o fantasy degli anni ’70 ed ’80, in Cambogia per settimane sperando che qualcosa dal genocidio di Pol Pot sia sopravissuto, in Turchia per spedire poster e Supermen turchi sotto il bello sguardo di una bella ragazza curda che si chiede perchè tanti stranieri vogliono questi vecchi film.
La storia non comincia dall’inizio. Perchè trovare un vero inizio non sempre è facile e, nel mio caso, se ne son perdute le origini tra le sabbie del tempo.
Questa storia comincia oggi, inizio primavera, sugli spazi concessi dal Cineocchio e dal tavolo di camera mia a Prato, di ritorno dalla stagione di viaggi 2016-2017 durata un pò meno del previsto. Ma potrebbe benissimo cominciare in quel di Ankara, Turchia, nell’autunno di ormai già qualche anno fa. La storia e le storie che son accadute dopo o la storia e le storie che hanno portato ad essere lì forse potranno servire a tessere i fili della memoria, riannodare insieme pezzetti di passato, ricomporre frammenti di ricordi che si accumulano vorticosamente ormai da anni: viaggiare in continuazione porta ad accumulare così tanti ricordi che a volte risulta difficile ricollocarli nella loro giusta sistemazione spazio-temporale. Soprattutto quando ormai il viaggio è diventata l’unico dato di fatto della mia vita. Viaggio e cinema. Il primo alla ricerca del secondo, il secondo per dare linfa al primo.
E’ già da qualche giorno che vedo alla televisione il trailer di un nuovo film italiano al cinema che mi ha quantomeno incuriosito. Il permesso – 48 Ore Fuori narra le storie di alcuni carcerati ai quali viene concesso, appunto, una libera uscita dalle patrie galere per due giorni: ne approfitteranno per risolvere alcune situazioni personali e confrontarsi con il mondo esterno che nel frattempo è andato avanti senza di loro. Il concetto è interessante nella sua essenzialità ed è dai concetti più essenziali che nascono sempre le storie migliori. Ma non è originale. E da qui comincia il filo dei ricordi. Dalla Turchia all’Indonesia, dalla Malesia alla Mongolia, Iran, Emirati Arabi, Nepal, Tibet, e tutto quello che vi sta in mezzo. Da anni, per sempre, cercando vecchi film e nuove storie.
Il mio vecchio blog porta la data del 10 ottobre 2012 quando scrissi nella mia piccola cameretta di Ankara questa storia. Era notte, buia ma non tempestosa. Anzi calda e silenziosa. In arrivo da Istanbul dove avevo passato quasi un mese ad oziare sul tetto della Mavi Guesthouse davanti alla Moschea Blu. In viaggio con Joao, portoghese dalla dubbia onestà. In attesa di un nuovo passaporto e di un nuovo visto per l’Iran. Sotto, in strada, macchine a tutta velocità correvano impazzite – ogni tanto si sentiva il rumore di qualche incidente; giù nel buio e tetro androne dell’hotel i soliti baffuti 50enni a sorseggiare tè e guardare la TV.
Ed è qui che riprendo quanto scrissi in quella lenta e silenziosa notte nella cameretta del mio tetro albergo di Ankara. La storia e la memoria ripartono da qui. Perchè quella Turchia lì era ancora una Turchia nella quale credevo e sognavo. Guardiamo oggi! Com’è passato il tempo. Son solo sei anni ma il mondo, quel mondo, il mondo al quale credevo, sembra essere così lontano.
La bottiglia d’acqua e’ troppo lontana per arrivarci. Urge uno sforzo, non ne ho la forza. Questa sera non ho voglia di fare niente. CCCP al computer, clacson e fischietti di polizia fuori in strada. Brusio continuo che ormai anestetizza il cervello. Un taxi si scontra contro un’auto proprio sotto la mia finestra. Ad Ankara guidano tutti come pazzi.
Il grigiore di Ankara mi rilassa. Il suo silenzio fatto solo di macchine che corrono veloci e turchi che parlottano camminando in fretta mi da’ sicurezza. Non è come a Istanbul sempre così piena di musica, colori, rumori, stranieri, turisti, please mister come in, suoni di tamburi e cori di spettatori entusiasti.
Qui ad Ankara regna un silenzio grigio, fatto di gente sempre indaffarata tra palazzoni del governo e sporchi vicoli puzzolenti di pesce. Ankara non è una splendida città. E’ semplicemente una creazione voluta da Kemal Pasha, detto Atatürk (“Il padre dei turchi”) per spostare il potere economico e politico da Istanbul verso il centro dell’Anatolia. Anche la sera, poco prima dell’ora di cena, quando le tenebre calano e la megalopoli si illumina di mille fantastici colori al neon, mi sembra di essere ancora nella capitale finlandese. E’ strano anche perchè non ci potrebbero essere due mondi totalmente opposti e diversi, due città e due popoli uno agli antipodi dell’altro. Ankara non ha niente di interessante da vedere, ma non è brutta. E’ semplicemente una grossa, bella località moderna dove è piacevole camminare tutto il giorno. Ma la sera può essere triste. Quella tristezza che porta all’autoriflessione.
Joao, il portoghese puzzolente e volgare, violento e maleducato con il quale son arrivato fin qui, mi diceva che dopo Istanbul comincia il niente. Ed è vero. Dopo la periferia della periferia della periferia della sesta città più grossa del mondo, comincia la vera Turchia: comincia il niente fatto di campagne desolate e piccolissimi villaggi lontani e isolati l’un l’altro. Tutto in mezzo il niente, il silenzio, colline e valli deserte. Come un incantesimo, dopo centinaia di chilometri, Ankara appare dietro una collina e sembra non finire mai … all’improvviso, dopo oltre duecento chilometri di niente le valli e le colline fino ad allora immote e silenziose si riempiono di fittissime case e palazzi come dei grossi pandori farciti. Un luogo immenso che scorre sui fianchi di numerose colline, le scavalca e continua oltre, senza sosta. Senza fine. Perchè i grattacieli e gli enormi palazzi sono scarsi. Oltre la città, di nuovo il niente. Altri 200 km o più di silenzio prima di incontrare altri piccoli panettoni farciti di case sui loro bordi, sulla cima, tutto attorno come zucchero candito sparso alla loro base. E così via, fino agli estremi confini orientali di questo grande paese.
Yılmaz è curdo. Del nord, vicino all’Azerbaijian. Anche il suo socio è curdo, del sud, verso la Siria. Entrambi vivono e lavorano dentro uno splendido locale in pietra nel gran pazaar, nel cuore vecchio e cadente della città, ai bordi di una delle tante colline. In quel che rimane del vecchio villaggio di contadini, tra le sue stradine anguste delimitate da muri di pietra e fango si estende il dedalo dello Yeni Pazar … anche i negozi sembrano roba usata stessa …. grosse stalle o cantine adattare e riempite di ciarpame fino all’inverosimile, affascinanti quanto sporche, buie e illuminate solo da quella bella luce artificiale che filtra quando i raggi del sole attraversano i tetti di plastica trasparente. Il negozio di Yılmaz e del suo socio è semplicemente una meraviglia e non ho ancora capito quante stanze ci siano. Dietro una tenda c’è un’altra stanza sepolta nel buio, forse anche di più; attraversato un piccolo arco basso ci sono altre due stanzine sulla sinistra e due o tre sulla destra nelle quali è difficile arrivare da tanta roba che c’è per terra: dischi, videocassette, cd, poster e locandine dei cinema anni 70, bottiglie in vetro, lampade, bambole, scatole di accendini e polverosi scrigni di legno… soprattutto tantissimi poster del vecchio cinema turco, originali, bellissimi … è ancora facile torvarli in Turchia se si sa dove andare. E di mercati dell’antiquariato in Turchia ce ne sono ovunque: d’altra parte l’immagine del levantino con papalina che ti offre mercanzia usata a prezzi da rapina è ancora ben ancorata nel nostro immaginario di quelle terre e di quelle persone.
La stanza principale, che sembra la grotta di Ali Babà, è tappezzata di arazzi e tappeti, il tetto di plastica trasparente e’ trapuntato di vecchi 45 giri e il grosso palco/altare sulla destra, creato accanto al tronco di un grosso albero che fora il soffitto è addobbato con grazia tipicamente mediorientale di tutto quello che si trova sparso in giro per le stanze. Si entra da uno stretto e lungo corridoio pieno di poster di film, scaffali e altri poster ancora attaccati qua e la. L’entrata nella stanza/grotta principale è da favola: Yılmaz seduto sulla sua poltrona in velluto rosso accoglie i clienti offrendo loro tè caldo sul piccolo tavolino foderato, mentre accanto il giradischi suona un vecchio gruppo folk turco di 30 anni fa. Forse Cem Karaca? O Barış Manço? Oppure Erkin Koray? Seduti su altre piccole poltroncine vellutate non si può fare a meno di respirare l’aria di magia e di antico che emana da ogni misterioso anfratto. Prima della sala centrale ho visto altre due o tre stanzette separate da una tenda ma non son sicuro se ne esistano delle altre. Nella sala, oltre al grosso palco adornato di poster, cd, libri, cassette, bambole, gioielli (inutile contare quanti siano … è impossibile) dal quale parte il tronco di un grosso albero che buca il tetto, c’e’ anche una misteriosa stanzina rialzata dietro la poltrona di Yilmaz … dice che è il bagno ma secondo me esiste anche qualcos’altro.
continua…
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