Voto: 4/10 Titolo originale: Fountain of Youth , uscita: 19-05-2025. Regista: Guy Ritchie.
Fountain of Youth: la recensione del film avventuroso di Guy Ritchie (su Apple TV+)
24/05/2025 recensione film Fountain of Youth - L’eterna giovinezza di Marco Tedesco
Natalie Portman e John Krasinski sono al centro del perfetto esempio di contenuto streaming da 'secondo schermo': un prodotto che non chiede attenzione, non offre avventura e svuota il mito per riempire il minutaggio

Guy Ritchie firma con Fountain of Youth – L’eterna giovinezza il primo vero kolossal pensato interamente per il second-screen entertainment, ovvero quella modalità di fruizione passiva e distratta tipica delle piattaforme streaming, in cui lo spettatore guarda con un occhio solo, mentre scrolla il telefono o si addormenta.
Non è un’iperbole critica: ogni elemento del film sembra progettato per accompagnare, non per coinvolgere. Dialoghi ridondanti e spiegazioni continue sostituiscono l’azione, le motivazioni dei personaggi sono dichiarate a voce ogni volta che accade qualcosa, come se gli autori non si fidassero del pubblico, o peggio, sapessero che quel pubblico non sta davvero guardando.
È in questo che Fountain of Youth eccelle: non come film, ma come contenuto, cioè un prodotto destinato a riempire il tempo e lo schermo, non a offrire un’esperienza cinematografica.
La trama è un collage dichiarato di franchise precedenti: il protagonista Luke Purdue, interpretato da un irritante John Krasinski, è un derivato tra Indiana Jones, Nathan Drake e i peggiori echi di Il mistero dei Templari. Ruba un quadro, scappa su uno scooter a Bangkok, coinvolge sua sorella Charlotte (una Natalie Portman sprecata e maldiretta), e parte alla ricerca della Fontana della Giovinezza, un pretesto narrativo che ricalca in modo imbarazzante il Santo Graal de L’ultima crociata.
Il film si muove tra Londra, Vienna, il fondo dell’oceano e le piramidi egiziane come un videogioco a livelli, ma senza logica drammaturgica. La collezione di location esotiche e set ipertrofici serve solo a mascherare l’assenza di un’anima.
La sceneggiatura di James Vanderbilt, erede del vero Vanderbilt morto sul Lusitania, include anche una sequenza ambientata nel relitto della nave, ma anche qui il legame emotivo si perde in un montaggio pensato per lo zapping mentale. I dialoghi sono da manuale del cliché: “È da lì che è partito tutto”, “Non pensavo che l’avresti fatto davvero”, “Sono passati dieci anni, Luke”, “Quella donna mi ha puntato una pistola alla testa!”.
Nessun personaggio sembra capace di comportarsi come un essere umano, tutti ripetono informazioni, si correggono, verbalizzano emozioni e azioni già viste. Charlotte, in particolare, è vittima di una scrittura schizofrenica: prima rifiuta l’avventura, poi vi partecipa, poi si lamenta, poi ‘salva la situazione’.
Suo figlio undicenne la accompagna nel climax finale, risolvendo un enigma musicale, come se fossimo finiti in una versione PG-13 de Il codice Da Vinci. L’intero film è un manuale di sceneggiatura algoritmica: ogni personaggio è ridotto a una funzione, ogni scena è un’interruzione dell’azione per dire “dove siamo” e “chi è chi”.
Il montaggio di James Herbert alterna dinamismo e frustrazione, come se fosse stato costretto a salvare il salvabile da una sceneggiatura inerte. Guy Ritchie impone qualche trovata registica (ralenti, gag visive, transizioni ipercinetiche), ma nulla che restituisca senso all’insieme.
Persino Domhnall Gleeson, che almeno si diverte, viene sacrificato a un finale ridicolo tra CGI, simbologie posticce e derive da Hudson Hawk. Il personaggio di Esme (Eiza González), con cui Luke flirta e lotta, è la classica antagonista-alleata che perde progressivamente ogni coerenza.
Il resto del cast, da Stanley Tucci a Carmen Ejogo, è solo funzionale alla checklist del genere: il miliardario morente, il poliziotto in giacca elegante, il team hacker. Niente ha davvero peso.
Fountain of Youth non tenta nemmeno di costruire un universo credibile: i colpi di scena sono telefonati, gli enigmi sono risolti in tre secondi, i luoghi segreti sono raggiunti con due click su Google. C’è perfino una scena in cui i protagonisti devono letteralmente “googlare” le sette meraviglie del mondo antico, come se la sceneggiatura non si fidasse del proprio impianto mitologico.
Alla fine, non resta nulla: né spettacolo, né emozione, né mito. Solo contenuto. Insomma, Fountain of Youth non è né arte, né intrattenimento. È il Quarto Potere dei contenuti fatti per non essere guardati. E proprio per questo, rappresenta il punto di non ritorno per un certo tipo di cinema da piattaforma: cinema che non vuole essere cinema, ma solo presenza. Passiva, invisibile, inutile.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Fountain of Youth – L’eterna giovinezza, dal 23 maggio su Apple TV+:
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