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Voto: 6/10 Titolo originale: Galveston , uscita: 10-10-2018. Regista: Mélanie Laurent.

Galveston: la recensione del film di Mélanie Laurent con Foster e Fanning

09/11/2020 recensione film di Sabrina Crivelli

I due attori sono i protagonisti assai poco adatti di questo debutto americano, un crime drama dai toni cupi e dal ritmo estenuante, che adatta un romanzo di Nic Pizzolatto

galveston fanning foster film

Privo di mordente e snervantemente lento, Galveston di Mélanie Laurent approccia il genere crime story con una nota decisamente cupa, decadente, ma i due protagonisti Ben Foster e – soprattutto – Elle Fanning non riescono a rendere sufficientemente credibile la drammaticità del materiale messo in scena.

Roy Cady (Foster) è un killer professionista, assoldato da un boss criminale (Beau Bridges) per un lavoro che si rivela però essere una trappola. L’uomo si ritrova così nel mezzo di una sparatoria e, durante una rocambolesca fuga, si imbatte in una escort legata e imbavagliata, Raquel (Fanning), che libera e porta via con sé. Roy è consapevole che il suo ex datore di lavoro lo cercherà per eliminarlo, così decide di far perdere le sue tracce e dirigersi – per l’appunto – verso la cittadina di Galveston, dov’è nato.

Intenerito, si fa però convincere a portare con sé la giovane fuggiasca, che con l’inganno lo induce a rapire e portare con loro anche la sorellina. I tre approdano quindi in un motel sperduto, in cui attendere nascosti lo sviluppo degli eventi, ma fin troppo presto gli spettri dal loro passato faranno loro visita.

La storia, piuttosto lineare e prevedibile, riprende e rielabora parecchi spunti già visti, con un risultato non esattamente esaltante, fatto che stupisce, dacché si tratta dell’adattamento dell’omonimo romanzo scritto da Nic Pizzolatto, ossia l’autore e creatore dell’acclamata serie (almeno nella prima stagione) True Detective.

E’ possibile che il rimaneggiamento ad opera dello sceneggiatore Jim Hammett abbia smarrito in parte lo smalto originario, ma è difficile credere che già in principio si trattasse di qualcosa di inedito o particolarmente sorprendente. Difatti, i protagonisti stessi sono piuttosto convenzionali: abbiamo il criminale pentito in cerca di redenzione (un po’ alla Leon) che soffre di una grave malattia e la ragazza che cerca di scappare dalla famiglia problematica da cui proviene con alle spalle una storia di abusi.

A ciò si somma un concept che sembra l’incrocio tra quello di Hitman – L’assassino di Xavier Gens (il sicario caduto in disgrazia che cerca vendetta ed è affiancato da una donna) e la classica fuga on the road alla Bonnie e Clide. Sventuratamente, tuttavia, di nessuno di questi modelli Galveston riprende la verve, al contrario, per gran parte dello sviluppo di fughe e di movimento ce n’è ben poco. Ciò che domina invece è il tono amaro, triste, che accomuna i traumatici trascorsi di lei con l’inverecondo patrigno e l’esistenza piena di errori e di scelte sbagliate di lui (che ha anche trascorso qualche tempo in prigione). Ci sono addirittura apici nostalgici da vero e proprio viale dei ricordi, in cui Roy si reca a trovare l’ex amante, in cerca di non si sa bene quale conforto.

Lo sviluppo è quindi dilatatissimo nonostante i 94′, la sensazione è quella che per gran parte del minutaggio non succeda nulla, l’azione e la tensione assenti ingiustificati. Scelta singolare per un thriller, ma non del tutto sbagliata, se gli interpreti sono all’altezza. Purtroppo, l’intimismo intriso di tragicità a cui mira Mélanie Laurent, tratto che caratterizza la sua precedente produzione francese (Galveston è il suo primo film americano) in titoli come Respire o Plonger, difficilmente può essere replicato con dei protagonisti così poco adatti.

Da un lato Ben Foster, che ha dato ottima prova di se nel notevole Hell or High Water di David Mackenzie (la recensione) ha dimostrato senza ombra di dubbio di saper reggere sulle proprie spalle un ruolo ad alto tasso di drammaticità, ma in questo caso appare apatico, inespressivo, incapace di comunicare quel profondo travaglio interiore che le circostanze richiederebbero.

Assai peggio è altresì la prova di Elle Fanning, ‘musa’ di Nicolas Winding Refn che, se può ancora ancora essere in grado di incarnare un’algida giovane modella in The Neon Demon, risulta addirittura ridicola quando deve esprimere sentimenti profondi. In una sequenza in cui scoppia in una disperata crisi di pianto, sembra una bambina che fa i capricci perché le hanno appena rubato le caramelle …

Non tutto di Galveston è da buttare, è necessario sottolinearlo. La fotografia dai colori spenti, quasi fossero stinti, di Dagmar Weaver-Madsen comunica perfettamente l’atmosfera deprimente che ammanta il film. Inoltre, Mélanie Laurent dà prova di una certa maestria nella direzione, in particolare in un lungo piano sequenza a un soffio dal finale che segue il Roy in una lunga, interminabile corsa, mentre errabonda per un edificio labirintico e fatiscente. Ogni aspetto positivo, però, è immediatamente cancellato dalla conclusione eccessivamente edificante, che lascia addirittura basiti per quanto è melliflua.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Galveston:

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