Voto: 5/10 Titolo originale: Glass , uscita: 16-01-2019. Budget: $20,000,000. Regista: M. Night Shyamalan.
Glass: la recensione del film diretto da M. Night Shyamalan
11/01/2019 recensione film Glass di William Maga
Il terzo film della trilogia 'diversamente supereroistica' con James McAvoy, Samuel L. Jackson e Bruce Willis si perde in grandi chiacchiere, dimenticandosi di costruire un finale soddisfacente e adeguato alle ambizioni
Split, film del 2017 diretto da M. Night Shyamalan (la recensione), era sostanzialmente – soprattutto a causa del budget molto contenuto (9 milioni di dollari) – un dramma psicologico da camera imbevuto di elementi superomistici … almeno fino a quando una rivelazione negli ultimi secondi non ne rivendicava l’appartenenza a un impensabile, fino a quel momento, universo condiviso di Unbreakable – Il Predestinato del 2000. Il classico twist shyamalaniano che probabilmente nessuno aveva intuito.
E così giungiamo ora a Glass, sequel dalla lunga gestazione nonché punto di arrivo della trilogia a sfondo supereroistico iniziata in sordina 19 anni fa e che ha introdotto al pubblico l’insolitamente forzuto David Dunn di Bruce Willis e il fisicamente fragilissimo – ma acutissimo nella mente – Elijah Price di Samuel L. Jackson, detto Mr. Glass.
Probabilmente non tutti si ricordano di come Unbreakable – Il Predestinato fu generalmente accolto con noncuranza e superficialità all’epoca, specie perché solo l’anno prima l’allora sconosciuto regista di origine indiane era sbucato fuori dal nulla centrando un clamoroso jackpot con Il Sesto Senso, thriller soprannaturale divenuto in breve un enorme successo sia di critica che commerciale, capace anche di guadagnarsi 6 nomination agli Oscar, tra cui quelle per Miglior film e Miglior regia.
Col senno di poi, come spesso accade, proprio il terzo e il quarto lungometraggio (prima ci sono gli obliati Praying with Anger del 1992 e Ad occhi aperti del 1998), sono stati senza dubbio tra i migliori lavori realizzati in carriera da M. Night Shyamalan, risultati che da allora ha artisticamente solo sfiorato in qualche altra occasione.
E Glass, purtroppo, non fa eccezione. Sulla carta, sembrava piuttosto promettente (ne avevamo anche parlato in esclusiva col regista durante l’ultimo Festival di Sitges): dopo gli eventi di Split, “Il Sorvegliante” David Dunn si è messo attivamente sulle tracce del serial killer dalla multi-personalità Kevin Wendell Crumb, detto “La Orda” (James McAvoy). Alla fine riesce a localizzarlo e ne consegue un inevitabile scontro frontale, che presto viene però interrotto da una squadra speciale guidata dalla Dott.ssa Ellie Staple (Sarah Paulson), che li cattura e li spedisce in un ospedale psichiatrico, dove lei stessa li interroga e tiene sotto osservazione.
Nella struttura è presente anche Elijah Price, che si aggira sulla sua sedia a rotelle in uno stato semi-vegetativo e che non sembra essere in grandi condizioni a causa della pesante sedazione. La Dott.ssa Staple può quindi iniziare il suo approfondito esame / test sui tre peculiari soggetti, convinta fermamente che i loro sedicenti superpoteri non siano altro che il frutto di disordini deliranti e puramente psicologici.
La cifra stilistica di M. Night Shyamalan è ormai nota da tempo, uno stile pacato e metodico, senza montaggi frenetici e lazzi, del tutto conveniente, almeno fino a quando la storia raccontata è in maniera abbastanza coinvolgente da tenere lo spettatore incollato al grande schermo.
E sebbene Glass offra qualche momento avvincente (come la scena d’apertura nella fabbrica di mattoni), il film soffre di un ritmo incoerente che diventa via via sempre più faticoso da gestire, soprattutto quando sposta – completamente – il suo focus all’interno delle mura dell’ospedale psichiatrico.
E non è di molto aiuto che il personaggio interpretato con malcelata (stocca)fissità da Sarah Paulson trascorra la maggior parte del suo tempo a provare a psicanalizzare ciascuno dei tre pazienti / prigionieri impiegando paroloni che fluiscono più vuoti che davvero stimolanti nel loro tentativo di depistare. Sembra quasi che il regista abbia voluto prendersi – per qualche ragione ignota – tutta il tempo del mondo per arrivare alla meta dei 129 minuti complessivi, incerto su come gestire l’incombenza che il successo inaspettato di Split gli ha calato improvvisa tra capo e collo.
Si potrebbe dire che il film è un prodotto della auto-indulgenza di M. Night Shyamalan, un rifiuto a darsi una regolata. E’ palese che le idee espresse siano interessanti per lui, e così ha presunto che lo fossero di riflesso anche per gli altri. Non aveva necessariamente torto, ma sembra aver qui dimenticato – come tanti altri prima di lui – che le buone intenzioni spesso da sole non bastano. Il pubblico, così desideroso di abbracciare Glass, vorrebbe infatti essere coinvolto attivamente, ritornare nel cupamente affascinante universo – espanso – di Unbreakable dopo quasi vent’anni (e non soltanto attraverso scene scartate allora e reinserite oggi per non ricorrere alla CGI patocca …).
Invece, il timido Manoy opta per tenere a distanza questa eccitazione e attesa, mentre le chiacchiere divampano. Come successo per Lady in the Water nel 2006, ci si preoccupa di spendere molti minuti a sviluppare una mitologia dal grande potenziale e molti meno sui personaggi o sulla storia, col risultato che la narrazione meta-testuale di Glass, senz’altro intrigante e molto più ricca e avvincente su carta, sia annichilita nel concreto.
Quando finalmente arriva l’atteso ‘scontro finale’, è così poco brillante e mal concepito che sembra quasi che M. Night Shyamalan non avesse realmente un piano, essendo così concentrato sulla dichiarazione di intenti da scordare di scrivere un apogeo. E dopo che la foga si è attenuata, viene sganciato un colpo di scena così assurdo che lascia sbalorditi (e non in positivo) per come sia stato costruito su fondamenta che si rivelano a posteriori fragili come le ossa di cristallo di Mr. Glass.
Tolti i ‘ripescati’ per convenienza Spencer Treat Clark, Charlayne Woodard e Anya Taylor-Joy, il parco attori principale fa quel che può – specie James McAvoy, la cui prova vocale viene irrimediabilmente comunque azzoppata dal doppiaggio -, lavorando soprattutto sulle espressioni facciali e poco altro. Se è un piacere vedere Samuel L. Jackson emergere dal suo torpore e diventare il cerebrale villain che ha sempre dovuto essere, la mutazione arriva così tardi nel film che si ha pochissimo tempo per godersi il lato più eccessivo della performance. Sottotono – ma non è una novità – la prova di Bruce Willis, che sembra più annoiato da quello che gli accade intorno che realmente oppresso dalle perdite che il suo personaggio ha subìto negli anni, dalla vecchiaia e da un lavoro ingrato.
C’è uno scopo che David, Kevin ed Elijah devono ancora realizzare, ma nessuno spazio in cui i tre possano crescere. Il tempo trascorso non ha complicato o approfondito le loro singolarità. Ciascuno – a modo proprio – conserva una certa dose di umanità, eppure M. Night Shyamalan non riesce a trovare l’angolo giusto per raccontare il compimento del loro percorso e non si avverte alcuna reale connessione tra i tre.
Anche il tema di come i fumetti posseggano il potere nascosto in bella vista di rivelare le nostre identità segrete non sfocia mai nel discorso magniloquente sul genere tanto caro a Marvel / Disney e DC / Warner che vorrebbe essere. E mentre i protagonisti hanno l’evidente scopo di rievocare i classici archetipi dei supereroi, la loro estrema mancanza di profondità o sviluppo non può passare inosservata neppure al meno attento.
L’altro problema che balza all’occhio è che in Glass viene a mancare forse la più grande forza del regista, ovvero il teso fascino del non visto (pensiamo a Signs o The Village). Qui non viene nascosto nulla, con James McAvoy che si arrampica sui soffitti e il ‘grande burattinaio’ che ci guarda sornione dritto in faccia già dai trailer (come dimostra l’immagine in apertura).
M. Night Shyamalan non scegli mai di rifugiarsi nel suo antico splendore compositivo, non ricorrendo mai al potere dell’oscurità per rendere lo spettatore bramoso della luce.
In definitiva, la sceneggiatura di Glass ricorda da vicino una prima stesura, con lunghi passaggi dialogati che M. Night Shyamalan – che ha goduto evidentemente di ‘carta bianca’ dopo gli stratosferici incassi del capitolo precedente (quasi 280 milioni di dollari) – ha ritenuto apparentemente troppo preziosi per essere tagliati, mettendo in crisi un copione già abbastanza indolente e involuto, incapace di tirare al pettine i nodi di un discorso nella sua mente molto più complesso di quanto – purtroppo – esprimibile su pellicola.
Ah, per chi se lo chiedesse, NON ci sono scene a sorpresa durante o dopo i titoli di coda.
Di seguito trovate il full trailer internazionale di Glass, nei nostri cinema dal 17 gennaio:
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