Voto: 6/10 Titolo originale: His House , uscita: 27-01-2020. Regista: Remi Weekes.
His House | La recensione del film horror di Remi Weekes (su Netflix)
31/10/2020 recensione film His House di Marco Tedesco
Sope Dirisu e Wunmi Mosaku sono gli appassionati protagonisti del convincente esordio del regista, che sceglie il genere per affrontare temi di scottante attualità
Col 2020 che si avvia piano piano e mestamente alla conclusione, His House dell’esordiente Remi Weekes dimostra ulteriormente come le produzioni non americani siano quelle a cui guardare per vedere qualcosa di almeno vagamente diverso in campo horror. È un film britannico, ma affonda le sue radici nelle comunità africane più povere e afflitte dalle guerre e nei traumi dei migranti in fuga. Il regista ridipinge la classicissima tela del sottogenere della casa infestata, raccontando una storia di immigrazione estremamente orribile che appare piuttosto inedita nel suo retrogusto socio-culturale.
All’incrocio tra orrore ed esperienza di vita vera esistono storie che fanno di più che infestare palazzi di periferia con attività paranormali, in modi che forniscono un’ambientazione e una cornice decisamente più scomoda e attuale rispetto a una narrazione che si appoggia all’ennesima tenuta costruita sopra un antico cimitero indiano. Questo non vuol dire che non non ci siano eccezioni interessanti a Hollywood (pensiamo a The Witch In The Window del 2018 ad esempio), la – generalmente – chi cerxa un qualche grado di “originalità” meglio che guardi altrove, dove la volontà di uscire dagli schemi e osare è un po’ maggiore.
L’intrigante sceneggiatura di Remi Weekes, su una storia di Felicity Evans e Toby Venables, è incentrata su due rifugiati che fuggono dal loro villaggio dilaniato dalla guerra in Africa per cercare una fetta delle libertà e democrazia nel Regno Unito. Bol (Sope Dirisu), un ex impiegato di banca, e sua moglie Rial (Wunmi Mosaku) si trasferiscono da un barcone sferzato dalla tempesta e piena di disperati, a un centro di detenzione istituzionale, al loro appartamento fatiscente dove verranno ‘testati’ in vista della cittadinanza. È l’occasione di una vita per Bol, che mostra gratitudine verso un governo che chiede solamente a lui e a Rial di comportarsi bene durante il loro periodo di prova.
Se tutto andrà bene, otterranno la cittadinanza. L’accordo perfetto, tranne per il fatto che Bol e Rial vengono spinti in un quartiere povero, all’interno di un appartamento infestato da insetti e tappezzato di carta da parati vecchia e che non ha nemmeno l’elettricità adeguatamente cablata, ma – peggio ancora – anche i fantasmi del loro passato prendono residenza lì con loro. In particolare, ad apparire è la loro figlioletta annegata a metà del viaggio della speranza prima che arrivassero a baciare il suolo del Regno Unito.
I metri di paragone di His House sono abbastanza evidenti, da Scappa – Get Out di Jordan Peele (la recensione) alla recente serie TV Lovecraft Country della HBO (la recensione), passando a connessioni meno ‘popolari’ con Zombie Child e Vampires vs. The Bronx (la recensione), soprattutto nel modo in cui Remi Weekes attribuisce valore all’aspetto razziale e per come permette alle tradizioni altrui di diventare segni distintivi e portanti del film. Il regista contempla la rapidità di Bol nel gettare il suo passato tra le fiamme di un bidone della spazzatura in opposizione ai ricordi sudanesi a cui è disposto ad arrendersi quando ricorrere allo spirito vendicativo della figlia defunta, che si rifiuta di svanire dimenticata.
Rial nel frattempo alimenta il fuoco ardente dei loro peccati abbracciando l’entità che vive tra le loro mura degne di una baraccopoli, non importa quanto possa sembrare pazza per il pubblico ufficiale che li segue, Mark (Matt Smith). I fantasmi, in His House, rappresentano sia le malformate manifestazione del Male che quei ricordi che strisciano nella nostra mente una volta che i pensieri si velano di oscurità, specialmente quando sono paralizzati dal senso di colpa di chi è sopravvissuto a un evento drammatico.
I punti di contatto tra le visioni di Remi Weekes, Lovecraft Country e i lavori di Jordan Peele si rafforzano quando elementi puramente ‘di genere’ emergono dalle ombre. Assistiamo presto alla tragedia che colpisce la figlia di Bol, mentre condizioni meteorologiche avverse separano famiglie in preda al panico in mezzo ad acque agitate. Bol e Rial sono già abbastanza addolorati, ma avvertono un fruscio nelle viscere all’interno della loro nuova casa che si presenta sotto forma di maligna rivisitazione della suddetta bambina sotto una maschera spaventosa.
L’uomo prova a razionalizzare la situazione, ma le manifestazioni paranormali si intensificano. Remi Weekes mostra i cadaveri gonfi di altri poveracci morti in mare, insieme a un demone fatto e finito, uno stregone del Sudan, che rivendica la residenza britannica dei Bol come propria. His House si attiene alla formula classica della ‘tensione notturna’ che batte sui nervi di Bol, specie quando la visibilità è più scarsa, mentre incantesimi e discussioni circa sedute spiritiche al lume di candela vengono accentuati da resurrezioni tremendamente inquietanti di non morti entro spazi angusti. La paura è una fattore chiave.
La più grande rivelazione di His House, mentre Bol e Rial si allontanano gradualmente con uno che fantastica sui cori per il calciatore Peter Crouch e l’altra che si lamenta per il gusto “metallico” del cibo mangiato con gli appositi utensili da cucina occidentali, è l’assistere alle tensioni che opprimono quotidianamente e costantemente queste povere anime perdute anche senza la necessità di interferenze soprannaturali. Senza comunque screditare mai quelle sensazioni di pura paura soffocante che abitano i momenti da incubo in cui Bol si trova faccia a faccia con i ghoul veri e propri.
Piuttosto, più scopriamo retroscena che fanno riflettere sulla morte della sua piccola e sulle scelte fatte senza voltarsi indietro che Bol compie per garantire la sopravvivenza di Rial, più His House colpisce duro. Atrocità al di là della legge, disperazione estrema e condizioni di vita impossibili dipingono un quadro parecchio ambiguo nella scala valutativa del “Bene contro il Male”, fragoroso nelle sue conseguenze. Sope Dirisu (Gangs of London) e Wunmi Mosaku (Luther) sono splendidi sia mentre resistono alle ‘trasformazioni’ europee, che quando si riconciliano tra loro con ammissioni imperdonabili, oppure quando si ritrovano a sopportare dolori che entrambi pensano svaniranno ricominciando tutto da capo. Un posto diverso, un posto sicuro. Purtroppo, nella vita, la sicurezza è – forse – solo un concetto che ci creiamo nella mente per darci un sollievo momentaneo paragonabile a una goccia di speranza, o peggio, per giustificare azioni che non possono essere annullate.
Remi Weekes, in definitiva, merita per His House gli stessi riconoscimenti ricevuti da Jordan Peele dopo l’esordio fulminante di Get Out nel 2017. Stessa competenza, stessa importanza dei temi trattati all’interno del genere, stessa ipnotizzante capacità di mescolare riflessione e urla di terrore. Le architetture infestate del film si palesano con forza in innumerevoli aspetti, tra cui l’abile fotografia di Jo Willems, che spazia dalle fantasie bruciate dal sole che mostrano la minuscola cucina di Bol che galleggia sul mare, alla giustapposizione di toni cupi mentre la proverbiale tempesta di His House infuria intorno.
È un’opera dalla rilevanza sociale contestualizzata, dal terrore pilotato dal retroterra culturale che parla di rinnovamenti ultraterreni che enfatizzano gli orrori di quegli eventi quotidiani che rimangono troppo spesso invisibili dai privilegiati che vivono col paraocchi. Insomma, un’esperienza cinematografica doverosa, che padroneggia il concetto di “orrore” prima ancora che una singola figura spettrale appaia nell’inquadratura.
Di seguito trovate il trailer italiano di His House, nel catalogo di Netflix dal 30 ottobre:
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